I mitocondri sono organuli fondamentali per la sopravvivenza: senza di essi le cellule eucariotiche non potrebbero produrre l’energia necessaria allo svolgimento delle funzioni vitali. Il ruolo chiave dei mitocondri emerge in modo ancora più chiaro quando il loro funzionamento è compromesso da un’anomalia genetica: si parla in questi casi di malattie mitocondriali (o mitocondriopatie), un gruppo di patologie rare ma molto gravi ereditate per via femminile. Per sviluppare terapie efficaci contro le mitocondriopatie è necessario che gli scienziati comprendano a fondo l’origine evolutiva e le peculiarità del DNA mitocondriale. Perché i mitocondri hanno un proprio DNA? I mitocondri delle cellule eucariotiche derivano dalla simbiosi tra due organismi unicellulari: per sopperire alle proprie esigenze metaboliche, l’antenato della cellula eucariotica sarebbe "entrata in società" con un batterio particolarmente efficiente nel convertire nutrienti e ossigeno in energia. Questa collaborazione si rivelò tanto vantaggiosa, che l’antenato del mitocondrio finì per essere inglobato stabilmente dalla cellula eucariotica.
La teoria che spiega l’origine dei mitocondri è conosciuta come teoria endosimbiotica e si basa su tre indizi fondamentali: i mitocondri hanno dimensioni paragonabili a quelle di un batterio, presentano una doppia membrana e sono dotati di un proprio genoma, ben distinto dal DNA nucleare e analogo al cromosoma batterico (per fare il punto sull'endosimbiosi e l'evoluzione delle cellule eucariotiche consulta questa news dell'Aula di Scienze). Nell’uomo, il DNA mitocondriale è lungo circa 17 kb e contiene al suo interno 37 geni, la cui sequenza, a differenza dei geni cellulari, non è interrotta da alcun introne. 13 dei geni mitocondriali codificano per proteine necessarie al corretto svolgimento della fosforilazione ossidativa.
Che cosa rende il DNA mitocondriale tanto speciale? Le caratteristiche che rendono il DNA mitocondriale un elemento genetico del tutto peculiare sono tre. In primo luogo, il modo in cui viene trasmesso: all’interno di una famiglia, il genoma mitocondriale si eredita attraverso la sola linea femminile. Nonostante gli spermatozoi siano ricchi di mitocondri (necessari a sostenere i movimenti del flagello), al momento della fecondazione non ne viene inoculato alcuno (o, se inoculati, vengono degradati da enzimi). Tutto il DNA mitocondriale di un nuovo individuo deriva quindi dalla cellula uovo: per questo motivo, nel caso del genoma mitocondriale si parla di eredità matrilineare. Questa caratteristica è utilizzata dai genetisti per capire, per esempio, se due persone sono imparentate attraverso la linea femminile oppure per seguire la trasmissione di malattie a carico dei mitocondri.
La seconda peculiarità del DNA mitocondriale è l'alto tasso di mutazioni cui va incontro, soprattutto a livello dell’ansa D (chiamata anche regione iper-variabile). Pertanto, se due persone presentano la stessa sequenza a livello dell’ansa D, è molto probabile che condividano un’antenata comune e siano imparentate attraverso la linea di discendenza femminile. In questi casi si dice che le due persone condividono lo stesso aplogruppo mitocondriale. Nell’ambito della ricerca antropologica, questa tecnica è impiegata per ricostruire l’albero genealogico dell’evoluzione umana, seguendo a ritroso la storia delle migrazioni umane e il loro mescolamento.
Infine, ogni cellula contiene molte copie di DNA mitocondriale (da 100 a 1000), che è quindi presente in una quantità molto maggiore rispetto al DNA nucleare. Rispetto a quest’ultimo, il DNA mitocondriale è anche molto più resistente alla degradazione. Per tutti i motivi elencati, la tipizzazione del DNA mitocondriale è stata utilizzata con successo non solo negli studi di antropologia, ma anche in medicina forense, per incastrare un sospetto a partire dal materiale recuperato dalla scena di un crimine oppure per l’identificare le vittime di disastri naturali, come nel caso dello tsunami che ha colpito la Thailandia nel 2004.
Che cosa sono le malattie mitocondriali? Come il DNA nucleare, anche il DNA mitocondriale può andare incontro a mutazioni, che in alcuni casi portano a mitocondriopatie, malattie ereditarie causate da un malfunzionamento dei mitocondri. A essere colpita è la catena di reazioni che permette la fosforilazione ossidativa (i cui passaggi fondamentali sono riassunti in questa animazione): alcune mutazioni ai geni mitocondriali possono infatti alterare gli enzimi della catena respiratoria e interferire con il suo normale svolgimento. L’esito di molte di queste mutazioni è una disfunzione nei meccanismi di produzione dell’energia cellulare. Le mitocondriopatie sono malattie ancora poco conosciute: oltre a essere malattie rare, sono anche molto difficili da diagnosticare e ancora di più lo è risalire alla loro causa. A oggi sono state descritte diverse mutazioni del DNA mitocondriale. Per esempio, la neuropatia ottica di Leber (LHON) è causata da una mutazione puntiforme, mentre la sindrome di Pearson è dovuta a una delezione di alcune basi. Esistono poi casi in cui la malattia è riconducibile a una deplezione generale del DNA mitocondriale: in altre parole, la sequenza del DNA è corretta, ma il numero di mitocondri presente in ogni cellula è molto più basso del normale, causando un deficit nella produzione di energia. Come si trasmettono le malattie mitocondriali? Le mitocondriopatie sono a tutti gli effetti malattie genetiche ereditarie, che possono essere trasmesse da una generazione all’altra. Poiché i mitocondri derivano esclusivamente dalla madre, per queste malattie si parla di trasmissione matrilineare, una forma di ereditarietà non mendeliana (o extranucleare). È tuttavia bene ricordare che, per la stretta interconnessione metabolica che esiste tra cellula e mitocondri, alcune alterazioni del metabolismo mitocondriale possono essere causate da mutazioni nel DNA nucleare: questo avviene, per esempio, quando a essere colpito è un enzima che partecipa alle reazioni bioenergetiche del mitocondrio. In questi rari casi la trasmissione della malattia seguirà le classiche leggi dell’ereditarietà mendeliana.
Come si manifestano le malattie mitocondriali e come si diagnosticano? La malattia colpisce in modo variabile i tessuti e gli organi delle persone affette. Se i mitocondri di una persona sana hanno infatti tutti lo stesso genoma (un fenomeno chiamato omoplasia), nelle mitocondriopatie le cose si fanno più complesse. A seconda di quanto è grave la malattia della madre, i figli possono ereditare un numero variabile di mitocondri con il DNA mutato: se insieme a quelli mutati vengono ereditati mitocondri sani, i sintomi saranno lievi. Tuttavia, nei casi in cui i mitocondri trasmessi siano in gran parte mutati la malattia apparirà più grave. Questo fenomeno, noto come eteroplasmia, è alla base dell’enorme variabilità di manifestazioni cliniche delle malattie mitocondriali e della difficoltà a diagnosticarle. Sebbene sia difficile prevederne la gravità, i sintomi di queste malattie sono sempre riconducibili a un inadeguato metabolismo bioenergetico. Le disfunzioni della catena respiratoria provocano sintomi soprattutto nel cervello e nei muscoli, che più di altri tessuti dipendono dalla produzione di energia per funzionare correttamente. Per questo, chi è affetto da malattie mitocondriali ha difficoltà a svolgere sforzi prolungati e si affatica facilmente. L’inefficienza della catena respiratoria causa un accumulo di acido lattico che, insieme alla biopsia dei muscoli, costituisce uno dei principali elementi per la diagnosi. Per diagnosticare le mitocondriopatie è inoltre importante studiare l’albero genealogico per verificare casi analoghi nella linea materna e individuare mutazioni al DNA mitocondriale.
Esiste una cura per queste malattie? A oggi non esiste una terapia risolutiva per nessuna della malattie mitocondriali note: è possibile solo alleviare i sintomi e, nelle migliori circostanze, rallentarne la progressione. La grande eterogeneità delle mitocondriopatie si riflette anche nella risposta ai trattamenti, la cui efficacia varia da persona a persona. Per esempio, l’integrazione nella dieta di vitamine e cofattori (come il coenzima Q10) importanti per le reazioni del metabolismo energetico dona beneficio solo ad alcuni pazienti e non hanno effetto sui danni neuronali), che rimangono irreversibili. In futuro, l’analisi del proteoma mitocondriale (ovvero l’insieme di tutte le proteine codificate dai geni mitocondriali) potrebbe individuare alternative più efficaci. Per esempio, si potrebbe ottenere un quadro dettagliato delle caratteristiche biochimiche di ogni paziente, che – con grande probabilità – sono diverse da quelle di altri con sintomi solo apparentemente simili. Questo approccio di medicina personalizzata aiuterebbe a identificare i geni responsabili e permetterebbe di scegliere la terapia (anche genica) più adatta a ogni singolo paziente. Immagine banner: Wikimedia Commons Immagine box: Wikimedia Commons
Anna
11 ottobre 2022 alle 17:08
Articolo molto interessante e chiaro pur nella complessità degli argomenti trattati.Un articolo che si legge tutto d'un fiato arrivando piacevolmente alla fine.Complimenti x il linguaggio chiaro e alla portata di tutti.Le pongo una domanda che mi faccio da tempo.Il cromosoma x materno può andare incontro ad inattivazione lasciando quindi attivo solo quello paterno?So che la scelta è casuale e avviene al momento della fecondazione che darà vita ad un individuo femminile.Se così fosse nn ci sarebbe quindi trasmissione del DNA mitocondriale alla figlia.Grazie mille e cordiali saluti.