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La grande scommessa

Il racconto del film premiato agli Oscar 2016, che ripercorre le tappe che hanno portato al grande crack finanziario di Wall Street del 2008

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«Un tizio che si fa tagliare i capelli da un giardiniere e gira in ufficio senza scarpe ne sa più di Alan Greenspan e John Paulson?».

«Sì».

Alan Greenspan e John Paulson sono due fra i più grandi nomi della finanza mondiale, mentre il tizio a piedi nudi è Michael Burry, un eccentrico e all’epoca semisconosciuto gestore di fondi speculativi. Oggi è famoso per essere stato uno dei primi a prevedere il grande crack di Wall Street del 2007-2008, che ha innescato la crisi economica globale. Come ci sono riusciti – lui e un gruppetto di altri personaggi del sottobosco finanziario americano – è la trama del film La grande scommessa.

Tratto dal libro di Michael Lewis Il grande scoperto (The Big Short: Inside the Doomsday Machine), il film è uscito nel 2015 e ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Diretto da Adam McKay, è interpretato da un quartetto di grandi nomi: Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt.

Il dizionario del cinema Morandini lo definisce così:

«un thriller finanziario mozzafiato che è al tempo stesso un giallo a soluzione anticipata carico di suspense, una satira tagliente e arguta dei cowboy della finanza USA e un’opera di raffinata e benemerita divulgazione scientifica».

Ma è soprattutto un film divertente che, alla maniera hollywoodiana, racconta una vicenda drammatica con umorismo e ironia. E con massime lapidarie: frasi fatidiche come «Ognuno, nel profondo del cuore, attende l’arrivo della fine del mondo» (Haruki Murakami), o folgoranti come «La verità è come la poesia. E alla maggior parte della gente la poesia fa schifo» (sentita per caso in un bar a Washington).

Qui puoi vedere il trailer italiano del film, tratto da Youtube:

L’uovo di Colombo

Antefatto. Alla fine degli anni Settanta Lewis Ranieri rivoluziona il sistema bancario con un’idea semplice ma geniale. Acquistare un’obbligazione emessa da una banca e garantita da un mutuo immobiliare è un investimento poco rischioso – perché quasi sempre i mutui vengono pagati – ma anche poco remunerativo. Se però una banca crea un pacchetto garantito da migliaia di mutui, ecco allora un prodotto con rischi comunque molto bassi ma rendimenti molto più alti, che sarà ben valutato dalle agenzie di rating e andrà a ruba – naturalmente con ricche commissioni per la banca che lo emette. Dal punto di vista matematico, la grande innovazione epocale consiste in una banale moltiplicazione: l’uovo di Colombo.

Cosa mai può andare storto? Nel film lo racconta la popolare star e sex symbol Margot Robbie, immersa in una vasca da bagno (è la prima delle spassose comparsate stranianti di personaggi famosi che spiegano i concetti di finanza in modo semplificato): il fatto è che dopo un po’ i mutui più sicuri si esauriscono, perché il mercato immobiliare americano è enorme ma non illimitato. Per non rinunciare al giochino redditizio, le banche cominciano a mettere nei pacchetti, senza fare verifiche, anche i mutui meno sicuri: i famosi subprime. Con esiti grotteschi, come un mutuo intestato a un cane o una spogliarellista che compra cinque ville e un appartamento dichiarandosi “terapeuta”.

Bastava guardare i numeri

Marzo 2005. Michael Burry (Christian Bale) nota che qualcosa non quadra. È un tipico nerd, che indossa spesso una t-shirt con formule e grafici e parla tenendo in mano le bacchette da batteria. Si dichiara incapace di stabilire rapporti sociali, ma di finanza se ne intende. E soprattutto vuole vederci chiaro: vuole sapere cosa c’è in quei pacchetti di titoli che le banche vendono con tanta allegria. Fa quello che nessun altro ha fatto: osserva. Come quando a poker tutti bluffano e uno dice: vedo. Non è facile, certo: bisogna analizzare una grande quantità di dati. È un po’ un embrione delle questioni che si pongono oggi con i big data. E osservando, si accorge che la bolla è destinata a scoppiare.

Convinto del fatto suo, compra oltre un miliardo di dollari di un prodotto anomalo: una specie di assicurazione (swap) che viene pagata solo se i titoli immobiliari falliscono – una scommessa a dir poco azzardata. Gli ridono dietro: il rischio di fallimento esisterebbe solo se milioni di americani non pagassero il mutuo – una cosa che non è mai successa. Quando lui risponde con nonchalance di saperne più di Alan Greenspan e John Paulson, non è per presunzione: è perché lui è l’unico che si è preso la briga di andare a guardare i numeri. E i numeri dicono che la percentuale di insolvenza dei mutui è in aumento.

Entra ora in scena il secondo grande protagonista: Jared Vennett (Ryan Gosling), cinico finanziere del gruppo Deutsche Bank. Durante un ricevimento ascolta per puro caso gli uomini della Morgan Stanley che ridono raccontando dell’investimento folle di Michael. Vennett però si insospettisce e sente odore di soldi. In breve si convince che Michael ha ragione e si rivolge a varie banche per comprare anche lui assicurazioni sul crollo dei titoli immobiliari.

Qui interviene un secondo capriccio della sorte. Vennett telefona alla Morgan Stanley ma sbaglia interno e accenna alla sua idea con il team di Mark Baum (Steve Carell), un idealista perseguitato dal ricordo del fratello suicida e dal rimorso continuo per il suo lavoro (una sua domanda è: «Come fai a dormire la notte sapendo che stai spennando della povera gente che lavora?»). È però dotato di un grande fiuto affaristico e dal desiderio di approfondire (da piccolo, alla scuola ebraica, eccelleva nello studio del Talmud perché cercava incoerenze nella parola di Dio).

Incuriosito, Mark Baum convoca Vennett, che rivela come i tassi di insolvenza dei mutui siano già saliti dall’1% al 4%: se arriveranno all’8% – e lo faranno! – molte delle obbligazioni contenute in un pacchetto varranno zero. Lo strumento matematico è nuovamente elementare (le percentuali), anche se giustamente il film non entra nel dettaglio per spiegare il motivo della soglia dell’8%. Vennett prosegue spiegando cosa fanno le banche (e qui a dire il vero la sceneggiatura pecca un po’ di ingenuità, come se Mark e i suoi fossero novellini): mettono tutti i titoli a rischio in un pacchetto chiamato CDO (Collateralized Debt Obligation).

Il concetto è chiarito, in un altro cameo di lusso, dallo chef Anthony Bourdain, che paragona i CDO alla zuppa fatta con il pesce invenduto di tre giorni prima. Ma tanto i clienti gradiscono… E le agenzie di rating, che premiano gli investimenti diversificati, li classificano come sicurissimi (nel film ce n’è anche per loro: un’esponente di Standard Poor’s ammette di assecondare le banche, altrimenti quelle vanno da un’altra agenzia).

Qui di seguito un breve approfondimento sui CDO tratto da One Minute Econonomics (in inglese):

«Le banche, le agenzie di rating, il governo, si sono tutti addormentati al volante?», chiedono gli uomini di Baum. E Vennett, proprio come Michael Burry, risponde semplicemente: «Sì». E se nessuno ne parla è perché «le banche sono troppo impegnate a farsi pagare commissioni oscene per vendere queste obbligazioni». Mark si convince e decide di cogliere l’occasione in fretta: se è tutto vero, presto tanti altri vorranno salire sullo stesso treno, quello degli swap.

Questi altri, nel film, sono due pesci piccoli, Charlie Geller e Jamie Shipley. Si imbattono – anche loro per caso – nei documenti di Vennett e, per saperne di più, contattano Ben Rickert (Brad Pitt), un altro classico personaggio cinematografico: un vecchio guru della finanza che si è ritirato per motivi etici ma rientra in ballo per l’occasione. A questo punto i protagonisti sono tutti in gioco.

La scena del film con la spiegazione di Vennett agli uomini di Mark Baum, tratta da Youtube:

I nodi vengono al pettine

Maggio 2006. Ben, dopo aver studiato la materia, dice ai suoi amici che Vennett non si sbaglia. Ma c’è poco da esultare: scommettendo contro l’economia americana, se si vince si fa certo l’affare della vita, ma questo vorrà dire che la gente perderà la casa, il lavoro, i risparmi, la pensione.

La scena cruciale si svolge a Las Vegas, a un convegno nazionale di finanza. Mark incontra un “CDO manager” che gli apre un mondo (anche qui con un tono troppo didascalico per essere credibile in un dialogo tra esperti, ma utile per il pubblico): è il meccanismo perverso dei CDO sintetici – nient’altro che scommesse. A spiegarli è ancora una volta una personalità incongrua: la cantante Selena Gomez al tavolo di un casinò. Gioca a black jack e quando fa una puntata qualcuno scommette su di lei, perché finora ha sempre vinto e tutti pensano che continuerà così. E qualcuno scommette sull’esito di quella scommessa, e così via. È il concetto matematico della ricorsività – solo che in matematica si può andare all’infinito, nella realtà no. Prima o poi Selena perderà, il sistema delle scommesse crollerà.

Il vero guaio è che il giro d’affari dei CDO sintetici – cioè delle scommesse – vale 20 volte il totale del mercato dei mutui immobiliari. «Se le obbligazioni ipotecarie scoperte da Mike erano un fiammifero, e i CDO erano gli stracci imbevuti di cherosene, i CDO sintetici erano la bomba atomica con il presidente ubriaco che teneva il dito sul bottone della valigetta». Lì Mark si rende conto che l’intera economia mondiale può crollare.

E infatti è quello che succede. Nel 2007 per le banche inizia la rovina, e i lungimiranti protagonisti del film diventano ricchi. Il bilancio finale però è catastrofico: nei soli Stati Uniti sono svaniti 5 trilioni di dollari in pensioni, beni immobiliari, risparmi e titoli; 8 milioni di perone hanno perso il lavoro, 6 milioni la casa.

E i colpevoli? In tutto un solo banchiere è finito in galera. Conclude la voce fuori campo: «Le grandi banche presero i soldi dei contribuenti americani e li usarono per accaparrarsi ricchi bonus per fare pressione sul Congresso affinché stroncasse le grandi riforme. Hanno dato la colpa agli immigrati, alla povera gente, perfino agli insegnanti».

La cosa più inquietante però è quello che succede dopo: «Nel 2015 molte grandi banche hanno iniziato a vendere miliardi in “opportunità di tranche su misura”, che, secondo Bloomberg News, è solo un altro nome dei CDO». Chi ha sbagliato non ha pagato, la lezione non è servita.

Due modi di vedere il film

Ci sono due modi di vedere questo film: il primo è considerarlo un documentario, cercando di capire tutti i dettagli. È un’idea sensata, ma forse allora bisognerebbe guardarlo due volte o anche tre, perché il ritmo è serrato e se si perde anche un solo passaggio si rischia di non seguire bene il seguito. Del resto, nel film si afferma che Wall Street usa termini tecnici «per far credere che solo loro possono fare quello che fanno, o meglio perché nessuno gli rompa le pa...e». Solo che anche il film, se da un lato cerca la massima chiarezza a rischio di semplificare troppo, dall’altro inevitabilmente non può fare a meno di parlare di subprime, swap, CDO, eccetera: l’intenzione in questo caso non è certo quella di disorientare lo spettatore, ma l’effetto rischia di essere quello.

Il secondo modo è quello di godersi il film e capire il senso generale. In questo caso ci si diverte molto e ci si fa un’idea ragionevole di cosa è successo. E – come si vede alla fine – di cosa può ancora succedere. Conclude infatti Morandini, consacrando il film come un’operazione meritoria:

«Da vedere a scuola per far capire come va il mondo. Magari per cambiarlo».