Se qualcuno va a fare una passeggiata nelle foreste di conifere del Trentino Alto Adige o del Veneto può avere una strana sensazione. Mentre si gode la penombra e il colore del sottobosco, può raggiungere una zona in cui la luce filtra con più facilità, a terra c’è una distesa di aghi color rame, gli alberi hanno la corteccia bucherellata da innumerevoli fori, i rami sono secchi e privi di aghi. L’aspetto non è neanche quello del larice spoglio per l’inverno: no, gli alberi, sebbene in piedi, sono tutti morti.
Il colpevole è un piccolo coleottero nativo dei boschi italiani, il bostrico; grande al massimo 5,5 millimetri, sta causando danni irrimediabili. Gli alberi morti non sono infatti soltanto quelli di una chiazza limitata: a essere impattati sono settemila ettari di foresta, corrispondenti all’incirca alle dimensioni di città come Pavia, Mantova o Vercelli.
A favorire la diffusione dell’insetto è stata la devastazione causata dalla tempesta Vaia nel 2018: tra il 26 e il 30 ottobre il Veneto, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia sono stati colpiti da piogge intense e raffiche di vento che in alcune zone hanno raggiunto 180 km/h, causando frane e la caduta migliaia di ettari di boschi.
Ma cosa ha fatto sì che un insetto come il bostrico, da sempre integrato nell’ecosistema, ora lo stia distruggendo? Che cosa ha trasformato una presenza endemica, cioè abituale ma innocua, in una fase di vera e propria epidemia? Infine, si può intervenire, e come, per proteggere i boschi nell’immediato ed evitare che riaccada di nuovo?
Come si regola l’equilibrio del bosco
All'interno di un bosco vige un equilibrio complesso, che regola la coesistenza di tutti gli organismi; questo insieme di organismi viventi (componente biotica) e dell’ambiente fisico in cui vivono (componente abiotica) è ciò che si intende come ecosistema.
Le relazioni fra tutte le componenti del sistema sono varie: una delle più note è la predazione, per cui i carnivori si nutrono di erbivori, i quali a loro volta si nutrono dalle piante e, al termine della catena, i decompositori riciclano la biomassa caduta a terra. Fra le relazioni ci sono anche anche la simbiosi, che porta un vantaggio a una o entrambe le specie coinvolte nell’uso delle risorse, e la competizione, che limita la crescita di alcune popolazioni in favore di altre più adatte. L’insieme di tutte queste relazioni crea un equilibrio in cui ognuna delle componenti è interdependente dalle altre.
In un ecosistema l’equilibrio non è mai statico: incendi, eruzioni vulcaniche o altri eventi improvvisi possono modificare la struttura, la composizione e la biomassa di un ecosistema, sconvolgendo temporaneamente il suo apparente equilibrio. Eppure, sul lungo termine, possiamo considerare questi disturbi come normali, se avvengono in modo relativamente costante e prevedibile. Anzi, convivendo con i disturbi gli ecosistemi possono evolvere strategie di adattamento e resilienza: è il caso dell’eucalipto, una pianta che grazie agli incendi riesce a riprodursi perché i suoi frutti si aprono solo quando il fuoco ha sciolto la resina che li tiene chiusi.
Ma nelle zone con alto impatto umano, sperimentiamo un incremento costante di un fenomeno diverso: un disequilibrio ecologico. Questa condizione nasce quando il regime di disturbo, cioè il modo, la frequenza, l’intensità con cui i disturbi si verificano, cambia così rapidamente da sopraffare la capacità dell’ecosistema di adattarsi o regolarsi.
Il ciclo vitale del bostrico
Il bostrico è un piccolo insetto dell’ordine dei coleotteri che svolge un ruolo importante come decompositore: si nutre, infatti, di legno, un materiale duraturo e resistente che, di per sé, necessiterebbe di lunghissimo tempo per decomporsi e trasformarsi in humus. In primavera, quando le temperature superano la soglia di 16/18 °C e le ore di luce disponibili durante il giorno aumentano, il maschio del bostrico comincia a cercare il legno sotto cui riprodursi; e lo cerca fra individui vecchi, deboli e malati di abete bianco, larice e abete rosso. Si introduce sotto la corteccia, scava una tana e attrae la femmina tramite la produzione di feromoni, sostanze chimiche che funzionano come segnali di richiamo. Dopo l’accoppiamento la femmina scava innumerevoli gallerie lunghe circa 15 cm, in cui depone fra le 50 e le 80 uova.
Quando nascono, le larve si nutrono del floema, cioè la parte interna della corteccia, adibita alla circolazione di linfa e nutrienti nella pianta. In questo modo privano le radici e gli apici di nutrienti utili alla loro crescita e indeboliscono tutta la struttura. In fase iniziale, gli alberi attaccati iniziano a perdere gli aghi, mentre quelli che rimangono sulla chioma si colorano prima di giallo e poi di rosso. Le larve continuano a scavare nelle parti più interne del tronco e si impupano. Una volta sfarfallati, cioè diventate insetti adulti, continuano a nutrirsi del floema fino a quando non sono pronti per la procreazione.
Un albero bostricato, cioè attaccato da questo insetto, è facile da individuare grazie ai buchi di entrata e uscita del bostrico che si trovano sulla corteccia, grandi circa 2 mm e circondati da una colorazione rossastra. Le gallerie scavate sotto la corteccia sono intricate e assumono figurazioni tali da ricordare segni tipografici: da ciò nasce il nome latino del bostrico: Ips typographus o coleottero tipografo.
Il bostrico agisce in sintonia con alcuni funghi, che indeboliscono l’albero e così facilitano ulteriormente l’azione del coleottero. Questi funghi riescono a produrre sostanze chimiche che assomigliano ai feromoni e così attirano le femmine del bostrico, che li trasporteranno verso nuovi alberi.
Il bostrico in un ecosistema equilibrato
Pochi anni dopo l’attacco del bostrico, l’albero muore. Con la sua morte si crea uno spazio di luce interno al bosco che consente ai semi presenti nel terreno di germogliare e garantisce così la possibilità di sviluppo di nuove piantine e quindi la riproduzione del bosco stesso. Inoltre, gli alberi morti costituiscono un habitat importante per più di 5000 specie: non solo coleotteri e funghi, ma altri insetti, uccelli come il picchio e alcune specie di civette, il ghiro, che trova cibo e rifugio. Infine il legno, continuando a degradarsi grazie all’azione di funghi e insetti, ritorna humus.
In un sistema equilibrato il bostrico attacca di preferenza alberi già indeboliti: quelli sani, infatti, riescono a combatterlo efficacemente grazie alla produzione di sostanze volatili che agiscono da repellenti naturali o grazie alla secrezione di resina mediante cui espellono l’insetto dal fusto.
Inoltre, anche il bostrico ha i propri limitatori all’interno del sistema: innanzitutto è preda del picchio, insieme a vespe e ad altri insetti più grandi; inoltre, la sua attività si conclude in autunno, con l’abbassarsi della temperatura e la diminuzione della luce diurna. L'insetto adulto sverna sotto alla corteccia, ma quando la temperatura scende sotto –10/–15 °C le larve giovani e le uova muoiono. Così la popolazione è ricondotta a numeri sostenibili e, al ritorno della primavera, riprende il ciclo stagionale.
Anche l’Università di Bolzano ha dedicato a questo argomento un articolo dopo aver portato a termine una ricerca sull’ecologia del bostrico.
La rottura dell’equilibrio
Per condurre un ecosistema fuori dall’equilibrio è necessario invece che intervenga un disturbo di grandi dimensioni, come una guerra. Durante la Prima guerra mondiale i boschi del nord Italia e delle Alpi hanno rappresentato un ostacolo alla mobilità delle truppe straniere, un rifugio, una riserva di legno per le trincee e per la popolazione in generale. I segni lasciati dalla guerra si leggevano nei tagli sconsiderati effettuati per il recupero di legname, nella quantità di alberi rimossi per il passaggio di mezzi, nei danneggiamenti provocati da bombe e sparatorie. Anche il bostrico ha partecipato alla distruzione perché è cresciuto a dismisura fra gli alberi morti e indeboliti.
Al termine della guerra, i boschi sono stati ripiantati in base alla conoscenza forestale e ambientale dell’epoca e in una situazione economica difficile, in cui era forte la necessità di materie prime. Il risultato è stata la creazione di boschi monospecifici, composti da distese di individui della stessa età (coetanei), poco diversificati e con dominanza di una specie molto produttiva ma dalle radici molto superficiali: l’abete rosso.
Così, quando nel 2018 le raffiche di vento della tempesta Vaia si sono abbattute sulle Alpi, più di 14 milioni di alberi su 42000 ettari di bosco non hanno resistito e sono crollati. Analogamente a quanto avvenuto un secolo prima, sulle Alpi si sono generate distese immense di alberi spezzati, caduti e indeboliti; di nuovo il bostrico ha trovato a propria disposizione una grande quantità di legname di abete rosso crollato di fresco oppure danneggiato, quindi privo di difese. E così ha iniziato a riprodursi in maniera incontrollata, dando luogo all’attuale stato epidemico in cui il proliferare della popolazione può sopraffare anche le difese naturali di alberi sani.
Rispetto al 1918, a favore del coleottero è intervenuto un ulteriore fattore: il cambiamento climatico. In Italia l’aumento delle temperature è più alto della media globale: tra il 1980 e il 2010 la temperatura è cresciuta di più di 1,1 °C e dal 2011 in poi quasi ogni anno è stato più caldo rispetto al precedente. Non sono solo le temperature a cambiare: le piogge sono concentrate in periodi più brevi, intervallati da siccità prolungate come quelle del 2022; le primavere sono anticipate e gli inverni godono di sempre meno neve.
L’aumento delle temperature ha spinto il bostrico in aree di quota più elevata e ha quindi allargato la sua sfera di impatto; l’anticipazione delle primavere ha consentito la nascita di più generazioni all’anno al di sotto di una certa quota. Inoltre, le annate siccitose e il conseguente stress idrico per le piante hanno abbassato le difese naturali degli alberi contro l’insetto. Quando una pianta ha sofferto la siccità durante la primavera e l’estate, l’anno successivo sarà più debole per la mancanza dei componenti necessari alla sua crescita e alla produzione di resina utile a espellere i parassiti.
Boschi fitti, soprattutto se monospecifici, creano un ulteriore problema: un’alta concorrenza fra le piante per l’approvvigionamento di acqua, luce e nutrienti. In questo modo si accelera l’indebolimento della foresta, soprattutto se sotto stress ambientale. Nei boschi monospecifici ci sono meno habitat e quindi c’è meno varietà di specie. Ne consegue che la biodiversità di tali boschi sarà impoverita: predatori e antagonisti del bostrico potrebbero non essere presenti, cosa che invece non si verificherà tanto facilmente in boschi misti, in cui siano presenti alberi di altre specie (abete bianco, larice, faggio) o di dimensioni più eterogenee.
Ecco quindi gli elementi che, dopo un evento scatenante come la Grande Guerra o dopo una tempesta distruttiva come Vaia, spingono a una crescita esponenziale del bostrico:
- una grande quantità di legname vulnerabile all’infestazione;
- la composizione e la struttura del bosco, cioè il modo in cui gli alberi si dividono lo spazio;
- le temperature elevate e lo stress idrico.
I servizi ecosistemici del bosco
L’Italia non è l’unico paese a misurarsi con il problema del bostrico: anche in Germania le monocolture di abete rosso hanno riportato danni su piu di 245000 ettari in seguito a periodi di siccità e inverni caldi. Fenomeni simili a Vaia avvenuti in passato, come le tempeste Vivian nel 1990 e Lothar nel 1999 in Germania, Francia e Svizzera, mostrano che il danno del bostrico spesso supera il danno dell’evento climatico distruttivo, proprio come sta succedendo oggi in Italia.
Il picco dell’epidemia si raggiunge dopo 3 anni dal disturbo e dura di norma 5 o 6 anni, a seconda anche dell'andamento climatico durante le stagioni. La crescita del coleottero nelle aree colpite da Vaia continua tuttora: in Trentino le trappole per il bostrico, che lo attraggono mediante l’emissione feromoni, confermano un incremento del coleottero del 22% dal 2021 al 2022; si registra la presenza dell’insetto su abeti bianchi e larici, anche a quote attorno a 2000 m. I numeri sono ancora più allarmanti in Veneto e portano a un continuo degrado dei boschi alpini.
La perdita di questi boschi comporta anche la perdita di habitat per tantissime altre specie forestali e quindi una diminuzione di biodiversità. Inoltre, i boschi montani svolgono diversi servizi ecosistemici. Per esempio nella protezione del suolo: tramite le chiome e le radici, gli alberi diminuiscono l’impatto delle precipitazioni sul terreno e in questo modo limitano l’erosione. La vegetazione protegge strade e paesi da cadute di massi e valanghe, specie su versanti ripidi. A livello economico Vaia e il bostrico continuano a causare la perdita di legname di qualità: circa 132 milioni di euro di valore perso dal legname nei quattro anni dopo Vaia, a cui si aggiungono i costi legati alla bonifica e al ripristino delle zone impattate.
Monitoraggio, lotta e ripristino
Cosa si può fare per rallentare la crescita dell’epidemia e salvaguardare i boschi ancora sani? Nelle aree colpite si può cercare di limitare la crescita delle popolazioni di bostrico tramite trappole, che attraggono il coleottero mediante l’emissione di feromoni. Tuttavia, questo sistema è poco efficace perché difficilmente cattura abbastanza insetti da ridurne il numero in modo significativo.
In queste aree una delle strategie più efficaci è quella di rimuovere gli alberi appena attaccati e l’eventuale legno morto. Non sempre, però, gli alberi possono essere rimossi, specie se crescono in zone difficili da raggiungere o su pendii ripidi, dove la rimozione diminuirebbe la stabilità del suolo e così la funzione protettiva dei boschi. In tal caso, è necessario rimuovere ed eliminare la corteccia prima che avvenga l’insediamento del bostrico o prima del suo sfarfallamento. Oppure si può ricorrere al Push and Pull: spargere sostanze repellenti per l’insetto intorno agli alberi suscettibili, quindi sistemare apposite trappole o “tronchi esca” da rimuovere non appena gli insetti sono entrati.
Di sicuro è più lungimirante ed efficace agire sulle aree vulnerabili, ma non ancora colpite dal bostrico. Qui è necessario promuovere boschi misti (cioè composti da più specie) ed eterogenei, in modo da garantire la presenza di alberi meno vulnerabili e al tempo stesso creare più habitat per gli antagonisti naturali dell’insetto. Un esemplare di picchio, per esempio, riesce a catturare fino a 2000 insetti e larve al giorno, spesso tanti quanti ne catturano le trappole. In fase epidemica conclamata gli antagonisti naturali e le trappole non aiutano nella riduzione necessaria dei numeri.
In conclusione, è difficile ridurre sostanzialmente i numeri di questo insetto e ci aspettiamo una crescita della popolazione ancora per qualche anno fino al raggiungimento del suo picco naturale. Nel frattempo è necessario anche considerare come intervenire nelle aree da cui sono stati eliminati gli alberi colpiti. La prima scelta da compiere è se operare un rimboschimento (cioè piantare nuovi alberi) o lasciar fare alla disseminazione naturale. Nel primo caso si evita l’erosione prolungata del suolo, rimasto scoperto dopo la caduta o la morte degli alberi precedenti. Però occorre chiedersi quali specie piantare: ancora abete rosso, così vulnerabile all’insetto e ai cambiamenti del clima? Meglio altre specie, magari in un mix eterogeneo che veda la presenza di diverse conifere e latifoglie. In determinati ambiti, si potrebbe prendere in considerazione di piantare la douglasia, una conifera esotica non invasiva più adatta al clima futuro. Nel secondo caso, invece, si può osservare lo sviluppo naturale del paesaggio, ma occorre ricordare che un bosco ha bisogno di un minimo di 20 anni per prendere forma.
In entrambi i casi bisogna evitare che si creino le condizioni che portano allo smisurato aumento dell’insetto. Fenomeni estremi si verificheranno sempre e sono in costante aumento dal 1950. I boschi monospecifici sono meno in grado di resistere: quelli di abete colpiti da Vaia non sono stati semplicemente fra i più deboli e anche i più interessanti per il bostrico, ma il loro non è un caso isolato. Un bosco multistrato e multispecifico aiuta a incrementare la resilienza e la stabilità dell'ecosistema perché la competizione per le risorse fra le specie è diversificata e quindi gli alberi hanno più vigore e sono in grado di fronteggiare meglio la siccità o gli attacchi di un parassita.
Un bosco “biodiverso”, inoltre, ha una morfologia tale da poter smorzare i venti forti all’interno delle chiome, riducendone la violenza. E in presenza di un’alta biodiversità, anche in seguito a un evento estremo ci saranno più risorse genetiche ed ecologiche per rinnovarsi e meno probabilità di dominanza di un solo decompositore parassitico.
Ciclo vitale generico di un curculionide (la famiglia a cui appartiene il bostrico) e dei funghi che approfittano del suo passaggio per indebolire ulteriormente gli alberi (fonte: Diana L. Six, Researchgate)
Gli effetti dell’epidemia di bostrico su un crinale, tra alberi caduti e alberi sani che ingialliscono a causa del parassita (fonte: Servizio foreste e servizio faunistico – Provincia autonoma di Trento)
Un esemplare di bostrico adulto (fonte: Servizio foreste e servizio faunistico – Provincia autonoma di Trento)