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L'enigma della materia oscura

Sappiamo che esiste e che l'universo ne è pieno. Sappiamo che è materia e che non interagisce con la luce. Non sappiamo, però, di che cosa è fatta e non siamo ancora riusciti a "catturarla". Gli scienziati ci stanno provando in vari modi, ma la strada sembra essere ancora lunga e tortuosa.
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Quasi tutti sono convinti della sua esistenza, ma nessuno sa cosa sia; tanti la cercano, ma nessuno la trova… aggiungendo “Cos’è?”, più che l’incipit di un articolo sembrerebbe di stare leggendo un indovinello da settimana enigmistica. Eppure, le cose stanno così, e il tono faceto non inganni: quando si parla di materia oscura si parla di uno degli enigmi più importanti della cosmologia e della fisica contemporanea, un rompicapo che unisce certezze e interrogativi in un quadro così sfuggente da apparire quasi beffardo. Sono circa trent’anni, infatti, che la maggioranza della comunità scientifica è persuasa dell’esistenza della materia oscura, e dagli albori di questa consapevolezza a oggi le osservazioni astronomiche che portano a postulare l’esistenza di questa elusiva entità si sono moltiplicate. Il problema – non da poco – è che i numerosi esperimenti volti a rivelarne la presenza hanno sempre fallito nell’intento. Nonostante ciò, secondo il modello standard della cosmologia, la teoria che racchiude la nostra comprensione attuale dell’universo, la materia “visibile” che chiamiamo ordinaria – protoni, neutroni ed elettroni, per esempio – ammonta a un mero 15% della massa totale presente nel cosmo, mentre il restante 85% è da attribuire alla massa di qualcosa che si comporta come materia, ma ha delle caratteristiche diverse. Quali sono queste caratteristiche? Quanto ne sappiamo? Insomma: che cos’è la materia oscura? Facciamo il punto della situazione.
Spesso negli articoli che trattano di materia oscura si afferma che la sua frazione di abbondanza nell’universo ammonti a circa un 27% del totale, contro un 5% di abbondanza di materia ordinaria. Ciò può essere fonte di confusione, se non si specifica chiaramente che queste percentuali si riferiscono non alle quantità relative di massa, ma alle quantità relative di massa-energia presente nell’universo. In quel caso si inserisce nella somma il contributo dell’energia oscura, una forma di energia perlopiù sconosciuta che crediamo responsabile dell’espansione accelerata dell’universo. Materia e energia (oscure e non) sono quantità fisiche collegate dalla famosa equazione di Einstein, E=mc2, che ne stabilisce l’equivalenza, e per questo vengono assimilate in un unico concetto. Facendo una semplice proporzione, ci si accorge che, come deve essere, le cose tornano: i rapporti tra materia ordinaria e materia oscura sono in entrambi i casi gli stessi (con un piccolo arrotondamento, 5/27 = 15/85).
 

Perché siamo convinti che la materia oscura esista?

Perché ce lo indica una moltitudine di osservazioni astronomiche, di diverso tipo. Nonostante non la “vediamo” (vedi sotto), tutte queste osservazioni concordano nel segnalare la sua presenza, testimoniata dai suoi effetti gravitazionali: questo significa che misuriamo degli effetti dovuti alla forza di gravità anche in regioni dello spazio in cui non vediamo una massa sufficiente per generarli. L’esempio più noto, probabilmente per ragioni storiche, è quello delle curve di rotazioni delle galassie a spirale (figura 1): se si tiene conto solo della massa degli oggetti visibili, le stelle più lontane dal centro di queste galassie non potrebbero ruotarvi attorno alle velocità a cui le osserviamo ruotare.
Figura 1. Grafico dell’andamento qualitativo della velocità di rotazione delle stelle di una galassia a spirale. La massa visibile di queste galassie è più concentrata nel loro centro, e ciò fa sì che in principio si possano modellizzare alla stregua di sistemi solari, calcolando la velocità con cui le stelle si muovono attraverso la terza legge di Keplero. Facendo così, si ottiene che la velocità di rotazione delle stelle intorno al centro della galassia deve decrescere all’aumentare della distanza da questo (curva A); ciò che si osserva è invece che la velocità rimane circa costante (curva B). Questo fenomeno si può spiegare assumendo che ci sia della massa che non vediamo distribuita all’interno delle galassie. (immagine: Wikimedia Commons)
Allo stesso modo, le misure delle dispersioni (un indice della variabilità) delle velocità a cui si muovono le stelle all’interno di galassie ellittiche non collimano con le dispersioni calcolate tramite la distribuzione delle masse che vediamo. Registriamo inoltre effetti di lensing gravitazionale (figura 2) in porzioni dello spazio apparentemente “troppo leggere” per provocarli, e misuriamo attraverso metodi indipendenti masse di ammassi di galassie di 5-6 volte maggiori rispetto a quanto si otterrebbe considerando solo le masse dei corpi celesti visibili.
Figura 2. Il lensing gravitazionale è un fenomeno previsto dalla relatività generale di Einstein, conseguenza del fatto che la presenza di massa curva il tessuto dello spazio-tempo, influenzando il movimento di materia e radiazione. Nel lensing gravitazionale un oggetto molto massivo (ad esempio un ammasso di galassie) posto tra una sorgente di luce (come una stella) e un osservatore può agire come una lente, deviando la luce e creando un'immagine distorta della sorgente (nella foto, la figura blu a forma di ferro di cavallo).
Oltre agli effetti gravitazionali misurati direttamente, la presenza della materia oscura sembra essere imprescindibile all’interno del succitato modello standard della cosmologia. Questo è il modello che meglio descrive l’universo, racchiudendo in un’unica teoria una spiegazione coerente di tutte le osservazioni a nostra disposizione. Tra queste, una molto importante è rappresentata dalla radiazione cosmica di fondo (CMB, dall’inglese Cosmic Microwave Background). La CMB è una radiazione elettromagnetica residua del Big Bang, che permea l’universo e che presenta delle minuscole anisotropie di temperatura che risultano molto difficili da spiegare senza invocare la presenza della materia oscura. Analogamente, le strutture di galassie e ammassi di galassie che osserviamo non si sarebbero potute formare dopo le prime fasi dell’universo se fosse stata presente solo materia ordinaria. A completare il quadro ci pensano le misure della curvatura e della velocità di espansione dell’universo, che ritraggono un universo piatto e in espansione accelerata nel quale manca all’appello un 27% di densità di energia, che deve essere dato da qualcosa che si comporta come materia, ma che materia ordinaria non è.
Nel 2006 l’osservazione di uno spettacolare evento cosmico diede un forte impulso alla ricerca sulla materia oscura. Attraverso il telescopio Chandra, scienziati dell’università di Harvard poterono assistere alla collisione tra due ammassi di galassie. Questa animazione può aiutare a capirne la dinamica:

Alla fine dell’evento – noto come Bullet Cluster, dal nome di uno dei due ammassi – i gruppi di galassie coinvolti sono rimasti ai bordi (visualizzati in blu), lontano dal centro di collisione, dove invece si è concentrata la maggior parte della materia visibile, sotto forma di nubi di gas che emettono raggi X (in rosso). E la materia oscura? L’occasione per osservarla era ghiotta, poiché in teoria questa sarebbe dovuta passare attraverso la nube di gas senza interagirvi, posizionandosi ai bordi come un alone intorno alle galassie in blu. Usando il lensing gravitazionale gli scienziati sono stati in grado di confermare questa ipotesi, verificando che la maggior parte della massa si trovava ai bordi, cioè vicino agli ammassi di galassie e non nella nube di gas dove si era fermata la maggior parte di materia visibile: la collisione aveva separato la materia oscura dalla materia ordinaria. O almeno, così il fenomeno è stato interpretato da molti fisici, mentre altri rimangono scettici riguardo al fatto che l’osservazione possa rappresentare una prova più convincente rispetto alle altre. In questo TED talk, la fisica delle particelle Patricia Burchat riassume in un quarto d’ora e attraverso l’uso di molte efficaci immagini le evidenze osservative che riguardano la materia oscura (come l'effetto mostrato nella Figura 2).
 

Che cos’è la materia oscura?

Cosa sia esattamente ancora non lo sappiamo, perché non l’abbiamo ancora misurata in laboratorio. Il suo nome però, nonostante superficialmente possa far credere di rispecchiare solo la nostra ignoranza al riguardo (materia oscura come “sostanza” che non ci è chiara), ne descrive precisamente le due caratteristiche fondamentali. Innanzitutto è materia. Il concetto di materia è in generale molto sfuggente, ma è ben delineato nell’ambito della cosmologia: semplificando, materia è qualsiasi cosa che ha massa e la cui densità di energia scala con il cubo del lato del volume in cui si trova (per intenderci, se si raddoppia il lato di una scatola in cui è racchiusa una particella, la densità di energia della particella diminuisce di un fattore 23. Per la radiazione ad esempio questo non è vero). “Oscura” si riferisce al fatto che, a differenza della materia ordinaria, non emette né interagisce con le onde elettromagnetiche, come la luce: a tutti gli effetti non la vediamo e poiché è invisibile all’intero spettro elettromagnetico, non riusciamo a rivelarla attraverso i mezzi di esplorazione astronomica convenzionali come i telescopi. Durante il corso degli anni si sono susseguite diverse ipotesi sulla natura della materia oscura. Inizialmente si riteneva potesse essere identificata con oggetti celesti molto massivi costituiti da materia ordinaria ma difficili da rivelare, come buchi neri o stelle di neutroni, collettivamente indicati come MACHOs (dall’inglese Massive Compact Halo Objects). Questa congettura si è però rivelata inefficace nello spiegare alcune evidenze osservative, ed è stata accantonata in favore di una descrizione che identifica la materia oscura con un qualche tipo di particella che non rientra nel modello standard (non quello della cosmologia, ma la teoria che descrive le particelle conosciute e le forze fondamentali attraverso cui queste interagiscono). Attualmente, molti modelli teorici concordano sul fatto che la materia oscura sia composta da una qualche particella elementare sconosciuta che interagisce con la materia ordinaria solo (o almeno in modo molto preponderante) attraverso la forza gravitazionale. Lo scenario di ipotesi formulate che seguono questi precetti è a tutt’oggi molto vasto e attinge a teorie speculative come la supersimmetria. Tra le varie ipotetiche particelle candidate, quelle attualmente più accreditate sono chiamate WIMP (Weakly Interacting Massive Particle, cioè particelle massive debolmente interagenti). Calcoli teorici suggeriscono che per accordarsi con i dati che abbiamo sull’abbondanza della materia oscura nell’universo, la WIMP che cerchiamo deve avere una massa attorno ai 100 GeV (circa cento volte maggiore di quella del protone) e deve interagire, oltre che attraverso la forza gravitazionale, anche in maniera estremamente blanda tramite la forza elettrodebole. Ricapitolando, la risposta breve alla domanda iniziale è: la maggioranza della comunità scientifica attualmente ritiene che la materia oscura sia costituita da una WIMP, una ipotetica particella elementare molto massiva che non rientra nel modello standard e che interagisce con la materia ordinaria esclusivamente (o quasi) attraverso la forza gravitazionale.
Le WIMP sono le particelle più accreditate a ricoprire l’ambito ruolo di materia oscura, ma non sono le uniche: tra le varie, meritano di essere menzionate il neutrino sterile e l’assione. Il primo è una ipotetica versione molto massiva del leggerissimo neutrino, che a differenza di questo non interagirebbe attraverso la forza elettrodebole, ma solo attraverso la forza gravitazionale (da cui “sterile”). L’assione – da molti considerato un ottimo candidato alternativo alle WIMP – è invece una ipotetica particella leggera postulata inizialmente per risolvere un problema riguardante l’interazione nucleare forte. La ragione per la quale la fiducia è riposta maggiormente sulle WIMP è probabilmente rintracciabile nel cosiddetto “miracolo delle WIMP”. “Questo prodigio” è dovuto al fatto che la supersimmetria, una estensione speculativa del modello standard delle particelle, molto in voga fino a pochi anni fa, prevede l’esistenza di una particella con le caratteristiche di una WIMP e con massa intorno ai 100 GeV, proprio il valore necessario per far tornare i conti sulla materia oscura. Purtroppo però, le particelle previste dalla supersimmetria continuano a non saltare fuori in nessun acceleratore, nemmeno al Large Hadron Collider, che pure dovrebbe avere le energie sufficienti per farle apparire. Un’agile sintesi su cosa sappiamo riguardo alla materia oscura si può trovare in questo articolo del blog della fisica teorica Sabine Hossenfelder.
 

Chi ha “scoperto” la materia oscura?

Contrariamente a quanto si trova a volte scritto in giro, non è stata l’astronoma Vera Rubin negli anni settanta. Prima di lei, nel 1933, l’astronomo svizzero-statunitense Fritz Zwicky pubblicò un articolo in cui segnalava l’evidenza di una marcata discrepanza tra la massa degli oggetti luminosi presente in un ammasso di galassie e la massa che sarebbe servita a tenere insieme l’ammasso stesso. Le osservazioni di Zwicky erano relative a un ammasso di un migliaio di galassie chiamato Ammasso della Chioma (Coma cluster in inglese). L’astronomo calcolò che le velocità con cui si muovevano le galassie erano tali da farle disperdere, a meno di non considerare una forza gravitazionale dovuta a una massa molto maggiore di quella che si osservava. Le stime numeriche ricavate da Zwicky erano sbagliate, ma il suo lavoro aprì la strada alla comprensione del fatto che la maggior parte della massa negli ammassi di galassie nell’universo non è ascrivibile alla materia ordinaria. Il ruolo di Vera Rubin nella storia della materia oscura fu comunque altrettanto significativo, poiché fu lei ad accumulare e analizzare una grande quantità di dati sulle velocità di rotazione delle galassie a spirale (vedi figura 1), fornendo prove del fatto che la materia oscura fosse qualcosa di abbondantemente diffuso nell’universo e contribuendo in modo decisivo a richiamare l’attenzione della comunità scientifica attorno a questo tema.
Curiosità: ancora prima di Zwicky, Lord Kelvin (il fisico del secondo principio della termodinamica, tra le altre cose) aveva congetturato all’inizio del novecento che molte stelle potessero essere “corpi oscuri”, e rispondendo a questa ipotesi il matematico Henri Poincaré aveva – seppur traendo conclusioni diverse – usato per la prima volta il termine materia oscura (matiére obscure). Per saperne (molto) di più, un approfondimento sul percorso storico relativo alla scoperta della materia oscura si può leggere in questo articolo.
 

Come la stiamo cercando?

Gli esperimenti condotti per dare la caccia alla materia oscura si possono dividere in tre tipologie distinte: rivelazione diretta, rivelazione indiretta e studio della modulazione annuale di segnale. Negli esperimenti di rivelazione diretta si mira a osservare l’interazione tra particelle di materia oscura e di materia ordinaria, affidandosi all’ipotesi che se la materia oscura è costituita da particelle, allora milioni di queste attraversano ogni centimetro cubo della Terra ogni secondo. Le modalità di rivelazione sono due. La prima prevede l’utilizzo di grosse taniche riempite di centinaia di litri di un elemento nobile allo stato liquido (xenon o argon), in cui una collisione tra una particella di materia oscura e uno dei nuclei atomici del liquido provoca una flebile scintilla di luce; nella seconda invece queste collisioni si cercano all’interno di cristalli assorbitori (ad esempio di germanio), in cui l’interazione provoca un rilascio di energia che si traduce in un minuscolo aumento di temperatura. In entrambi i casi, gli effetti da misurare sono microscopici e soprattutto rarissimi. Per questo motivo esperimenti di questo tipo devono essere fortemente schermati da qualsiasi fonte di disturbo, in primis dai raggi cosmici, che attraversando i rivelatori possono generare falsi segnali. Gli apparati per la rivelazione diretta della materia oscura sono quindi generalmente posti in laboratori sotterranei, come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, che infatti ne ospitano più di uno. Tra questi vi è l’esperimento Xenon1T, che è attualmente il più sensibile al mondo per la rivelazione di WIMPs. Gli esperimenti di rivelazione indiretta sfruttano invece la possibilità che particelle di materia oscura collidendo tra loro si annichilino, in modo simile a come avviene per la materia ordinaria, generando coppie di particelle-antiparticelle o raggi gamma. Se così fosse, rivelatori posti su satelliti spaziali dovrebbero misurare un eccesso di queste particelle provenienti da regioni dello spazio dove è prevista un’alta densità di materia oscura, come ad esempio il centro della nostra galassia. I satelliti PAMELA e AMS hanno rivelato tali eccessi, ma il problema di queste misure è quello di riuscire a eliminare con certezza la possibilità che questi segnali siano generati da altre fonti astronomiche, come ad esempio le pulsar. Segnali prodotti da annichilazione di materia oscura sono anche cercati sotto forma di flussi di neutrini energetici in grandi telescopi di neutrini posti in mare (ANTARES) o sotto il ghiaccio (IceCube). La modulazione annuale del segnale, infine, è in effetti un tipo di rivelazione diretta, ma poggia sull’ipotesi che il flusso previsto di WIMPs che attraversano la Terra vari in modo prevedibile durante l’anno. In particolare, il flusso deve essere massimo a giugno, quando la direzione del moto della Terra intorno al Sole è allineata con la direzione del moto del sistema solare nella nostra galassia, e dunque le velocità dei due moti si sommano; viceversa, quando i due moti hanno direzione opposta, a dicembre, il flusso di WIMPs deve essere minimo. Ciò significa che il numero di interazioni tra particelle che si registrano all’interno di uno stesso rivelatore nell’arco di un anno dovrebbe seguire l’andamento del flusso di WIMPs. L’esperimento DAMA ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso ha misurato la modulazione di segnale aspettata, ma anche qui la situazione è delicata perché finora nessun altro esperimento è riuscito a replicare questi risultati. Gli sforzi per rivelare la materia oscura si sono moltiplicati negli ultimi anni a livello internazionale, ma in nessun esperimento di rivelazione diretta – che sono poi quelli conclusivi – si è finora riusciti a misurare la materia oscura. Allo stesso modo, per gli esperimenti di rivelazione indiretta non è stato ancora possibile isolare con certezza effetti dovuti alla presenza della materia oscura. Ciò non vuol dire necessariamente che siamo fuori strada – ad esempio, la materia oscura potrebbe interagire così debolmente con la materia ordinaria da essere ancora al di fuori delle sensibilità raggiunte anche dai più sofisticati apparati sperimentali. La sfida scientifica e tecnologica è molto ardua, ma la ricerca continua.
Oltre ai metodi di rivelazione qui descritti, in teoria particelle di materia oscura potrebbero essere prodotte all’interno di acceleratori di particelle molto potenti, come LHC. Questo video (ricco di fantasiose animazioni) tratto dal TED-Ed di Rolf Landua spiega come:

Elenchi degli attuali esperimenti in cui si cerca la materia oscura si possono trovare a questa pagina di Wikipedia e qui. Tra i maggiori esperimenti, segnaliamo: per la rivelazione diretta Xenon1T e LUX (materiale rivelatore liquido), e EURECA e CDMS (cristalli); per la rivelazione indiretta a terra IceCube e ANTARES, e nello spazio AMS e PAMELA; per la modulazione di segnale DAMA/LIBRA.
 

Ci sono modelli alternativi alla materia oscura?

Nonostante la maggioranza della comunità scientifica rimanga convinta dell’esistenza della materia oscura, il fatto che il numero di evidenze cosmologiche cresca di pari passo con il numero di esperimenti che non ne trovano traccia, ha portato numerosi scienziati a proporre modelli alternativi. Questi modelli si basano sull’ipotesi che la teoria della gravità di Newton e la relatività generale di Einstein – più che ben verificate alla scala del nostro sistema solare – possano in qualche modo non essere valide a scale maggiori, galattiche e intergalattiche. Sono state in questo senso avanzate varie teorie di modificazione della dinamica newtoniana (MOND, Modified Newtonian Dynamics) e della relatività generale (TeVeS e f(R) gravity). Queste teorie però, a differenza della materia oscura, a tutt’oggi riescono a spiegare solo alcuni tra i tanti effetti astronomici che osserviamo.
Una nuova teoria è entrata molto recentemente (a inizio 2017) in gioco. Formulata dal fisico olandese Erik Verlinde, poggia sull’assunto che la gravità non sia una forza fondamentale, ma una forza entropica. Una forza di questo tipo emerge come proprietà di un sistema che tende a aumentare la sua entropia, in modo simile a un sistema termodinamico. Quest’idea generale circola da una ventina d’anni, da quando sono state evidenziate analogie formali tra relatività generale e termodinamica, ma non aveva mai prima d’ora prodotto una teoria in grado di fare previsioni riscontrabili. La nuova teoria di Verlinde è stata testata con dati riguardanti numerose osservazioni astronomiche ed è risultata in buon accordo con alcune di queste. Alcuni fisici sostengono che possa rappresentare la migliore alternativa al modello di materia oscura particellare. Qui il video di una conferenza in cui Verlinde esplora i concetti chiave della sua teoria

Un commento approfondito e ben argomentato (molto accessibile, se non si è completamente digiuni di fisica) sulla teoria di Verlinde si può trovare qui.
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