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L'evoluzione che non ti spieghi: la coda del pavone

La coda del pavone ha dato molti grattacapi agli studiosi dell'evoluzione. I suoi ornamenti dicono «sceglimi come tuo partner, sono io il migliore», ma lo dicono anche ai predatori: perché le femmine di pavone dovrebbero imporre ai loro figli il destino di essere predati più facilmente, scegliendo un padre così vistoso?
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C’è un animale che più di tutti ha reso la vita complicata agli studiosi dell’evoluzione: il pavone. Le tre specie esistenti di pavone, due asiatiche e una africana, ci colpiscono per la brillantezza dei loro colori (blu quella indiana, verde quella di Java e blu e verde quello del Congo), per i disegni a forma di occhi della coda e, naturalmente, per la grande coda. Lo scopo di tutti questi vistosi ornamenti è attirare l’attenzione e il messaggio è rivolto alle poco vistose femmine della specie: «sceglimi come tuo partner, sono io il migliore». Ma il rovescio della medaglia è che anche i predatori ricevono lo stesso messaggio e son lì pronti ad approfittarne, il che sembra un controsenso evolutivo: perché le femmine di pavone dovrebbero imporre ai loro figli il destino di essere predati più facilmente, scegliendo un padre così vistoso?
Un pavone nella foresta equatoriale. (musthaqsms/Pixabay)

La teoria dell’evoluzione per selezione naturale

La grande coda rende il maschio di pavone goffo e poco mobile in caso di pericolo e quindi sfuggire a un predatore, o anche solo cercare il cibo, diventa per lui un compito arduo. A ciò si aggiunge la scarsa manovrabilità: nel loro areale originario i pavoni sono animali di foresta primaria equatoriale, anche se vivono prevalentemente a terra. Abituati come siamo a vederli nei parchi cittadini, riesce quasi impossibile pensare a questo animale nel chiuso di una giungla intricata: come fa a non danneggiarsi le penne? E soprattutto, come ha potuto evolversi uno strumento così ingombrante e apparentemente inutile? Secondo la teoria classica dell’evoluzione, la selezione naturale è quel meccanismo che premia l’individuo che ha maggiore fitness, cioè riesce a sopravvivere e riprodursi più degli altri, facendo prevalere le sue caratteristiche. Non c’è dubbio che la coda del pavone rappresenti una pesante zavorra e se non ce l’avesse l’animale avrebbe una probabilità molto maggiore di sopravvivere nel suo ambiente. Questa constatazione è quindi in apparente contrasto con la teoria della selezione naturale: un individuo con un carattere che a noi sembra negativo, come una coda lunga e pesante, dovrebbe essere marginalizzato nella popolazione in cui vive e i suoi geni dovrebbero sparire presto dal pool genico della specie. Com’è quindi possibile che i pavoni esistano?  

La spiegazione di Darwin: la selezione sessuale

Un primo tentativo di risposta a questo controsenso viene da Charles Darwin. Il padre della teoria dell’evoluzione si arrovellò a lungo sul problema della coda del pavone, tanto da scrivere, nel 1860: «La sola vista di una penna mi dà la nausea». E non a torto, perché un solo pavone avrebbe potuto far crollare la sua idea della selezione naturale come un castello di carte. Tuttavia l’evoluzione non è un processo lineare e così anche le idee di Darwin si evolsero, aggiungendo alla teoria la selezione sessuale: per dirla con le sue parole, la selezione naturale è la lotta per la sopravvivenza, la selezione sessuale è la lotta per la riproduzione. Secondo quanto scrisse nel libro L’origine dell’uomo e la selezione sessuale,
La lotta per la riproduzione è di due tipi: nel primo avviene tra individui dello stesso sesso, di solito maschi, per allontanare o uccidere i rivali, mentre le femmine restano passive. Nel secondo invece la lotta avviene egualmente tra individui dello stesso sesso, per eccitare o affascinare i membri del sesso opposto, di solito le femmine, che non sono più passive ma selezionano i partner a loro più gradevoli.
La selezione sessuale è dunque un meccanismo esercitato da entrambi i sessi, ma prevalentemente dalle femmine, che scelgono il partner in base a determinate caratteristiche. In tal modo esercitano una spinta in una certa direzione che accentua sempre più il carattere scelto: per esempio, le femmine possono preferire un determinato colore del pelo o del piumaggio e accoppiarsi prevalentemente con maschi di quel colore. Dal momento che i figli avranno almeno un gene per il colore preferito dalle femmine, il carattere diventa presto predominante nella popolazione.
Un ipotetico caso di selezione sessuale: in questa popolazione di orsi bianchi e bruni le femmine preferiscono i maschi dal pelo bianco, per cui il colore bruno diminuisce fino a sparire. (Curtis, Il nuovo invito alla biologia.blu, Zanichelli, 2018)
Nel caso del pavone la spiegazione di Darwin fu che la coda si era evoluta poiché le femmine scelgono di accoppiarsi con maschi con la coda lunga, dato che ai loro occhi (e ai nostri) questo rappresenta un carattere gradevole. Nell’Origine delle specie aveva scritto: «dobbiamo supporre che le femmine di pavone ammirino la coda del maschio tanto quanto noi» e in una lettera del 1868 ad Alfred Wallace, coautore della teoria dell’evoluzione, aggiungeva:
Una ragazza vede un bell’uomo e senza osservare se il suo naso o baffi sono un decimo di pollice più lunghi o più corti rispetto a un altro uomo, apprezza il suo aspetto e dice che lo sposerebbe. La stessa cosa, suppongo, accade per la femmina di pavone. La coda si è allungata solo perché, nel complesso, portava a un aspetto più splendido.
L’idea è bella ed elegante, ma c’è un problema: davvero le femmine di pavone scelgono i compagni perché sono più belli?  

La spiegazione di Fisher: la selezione a cascata

La selezione naturale e quella sessuale sono idee testate e dimostrate infinite volte e non abbiamo dubbi che l’evoluzione funzioni nel modo descritto da Darwin, ma rimane il fatto che la scienza dell’Ottocento non aveva ancora tutte le informazioni per venire a capo del problema. Nei decenni successivi il nocciolo della teoria dell’evoluzione è rimasto quello proposto da Darwin, ma le idee di tanti altri scienziati l’hanno arricchita e completata, trovando le spiegazioni a problemi che Darwin si era posto, ma non era riuscito a risolvere. Tra questi scienziati c’è Ronald Fisher, un matematico londinese appassionato di statistica e uno dei padri della genetica di popolazione. Anche lui affrontò, nella prima metà del Novecento, il doloroso problema della coda del pavone, sviluppando la teoria della selezione a cascata (runaway selection). La sua idea è che lo sviluppo di un carattere anomalo viene iniziato dalle femmine, che hanno un gene che le porta a scegliere i maschi con un particolare ornamento poiché lo associano a geni di “qualità superiore” rispetto agli altri maschi. Secondo l’idea di Fisher, le femmine pensano che solo un maschio dotato di buoni geni sprecherebbe energie per sviluppare un ornamento vistoso e inutile. Accoppiarsi con un maschio simile, quindi, darebbe ai figli una coda più lunga, ma anche i buoni geni del padre, garantendo una maggiore fitness. L’evoluzione, quindi, ha favorito la selezione nel DNA delle femmine di pavone di un tratto che porta ad associare la presenza di una coda lunga con l’idea di una fitness maggiore del maschio. La selezione sessuale operata dalle femmine, poi, ha accentuato sempre di più la lunghezza della coda, sino al limite odierno. Si innesca quindi un meccanismo a cascata favorito da un feedback positivo: le femmine vogliono maschi con la coda sempre più lunga, perché quel gene materno è sotto la pressione della selezione naturale, e i maschi sviluppano code sempre più ingombranti per poter essere scelti dalle femmine. A quel punto la fitness dei maschi cala, ma quello che importa è la fitness delle femmine, che così possono investire energie riproduttive solo sul maschio con i geni migliori.  

La spiegazione di Zahavi: il principio dell’handicap

Non preoccupatevi se la teoria di Fisher non è chiarissima. Non lo è per nessuno all’inizio e si rivelò anche difficile da dimostrare con degli esperimenti. Fortunatamente per noi, la teoria di Fisher non era chiara neanche al biologo israeliano Yoav Sagi, che nel 1973, quando era ancora studente, chiese ai suoi professori Amotz e Avishag Zahavi dell’università di Tel Aviv di spiegargliela. Come racconta la coppia nell’introduzione al libro Il principio dell’handicap, fu proprio spiegare a Yoav l’evoluzione della coda del pavone alla luce della teoria di Fisher che diede loro l’idea del principio dell’handicap. Un’idea che spiega finalmente in modo brillante la coda del pavone e tanti altri aspetti e comportamenti degli animali sino ad allora rimasti inspiegati. L’idea di base è che molti tratti anomali sono in realtà un segnale, un messaggio, e che
l’investimento degli animali nei segnali è simile alle penalità (dette tecnicamente “handicap”) che vengono imposte al più forte dei contendenti in un gioco o in uno sport, per esempio la rimozione della regina al giocatore migliore in una partita a scacchi. […] La vittoria nonostante le penalità imposte prova, senza alcun dubbio, che il vincitore è superiore per le proprie abilità e non per pura fortuna.
In altre parole, la coda del pavone è un handicap, una penalità. Solo gli individui che si sono adattati meglio possono permettersi una simile coda in mezzo a una foresta, trovare cibo anche in periodi di carestia e avere l’agilità necessaria per sfuggire ai predatori. È un “segnale onesto” rivolto alle femmine della specie, come se il maschio dicesse: «prendi me, sono evidentemente il migliore, non sprecare il tuo tempo e il mio con gli altri maschi di serie B». Più o meno il segnale che nella nostra specie lancia chi ha un’auto di lusso e la sfoggia per mostrare il proprio status sociale. Naturalmente saranno pochi i maschi ad avere code perfette (o i soldi per comprare una coupé), ma nelle popolazioni di pavoni le femmine condividono i propri compagni, che saranno quindi i padri di quasi tutti i piccoli. Il segnale dell’handicap tuttavia, specificano gli Zahavi, funziona solo se chi lo emette non bara, cioè investe davvero energie perché può permettersele: se i suoi geni non sono buoni e spreca le risorse disponibili per atteggiarsi, non sopravviverà a lungo.  

Gli handicap nel regno animale

Un altro esempio classico della teoria dell’handicap è quello che spiega lo stotting delle antilopi e delle gazzelle: quando arriva un predatore la gazzella anziché fuggire comincia a saltare sulle quattro zampe in modo particolare, guardando negli occhi il predatore. Questa volta il segnale dell’handicap è rivolto al predatore: «non ho paura di te, guarda come salto bene, se mi insegui fuggirò e tu avrai perso tempo ed energie». In questo modo il predatore sa che dovrà cercare una gazzella incapace di fare stotting, perché vecchia, azzoppata o malata: se non è in grado di sopportare la presenza di un handicap, non è probabilmente in grado di sfuggire a un inseguimento. Se una gazzella malata bluffasse e si mettesse a fare stotting, rischierebbe di sprecare le sue poche risorse saltellando invece di fuggire, e la sua fine sarebbe certa.
Stotting di un’antilope nella savana. (Hans Stieglitz/Wikimedia Commons)
Nel regno animale gli esempi di handicap sono moltissimi e sono segnali rivolti a vari utenti:
  • a un potenziale compagno, come fanno i pavoni e tutti gli altri uccelli i cui maschi hanno un piumaggio vistoso;
  • a un predatore, come fanno le gazzelle con lo stotting o vari ungulati con le corna, che non fuggono, ma guardano con aria di sfida il pericolo;
  • ai rivali, come gli usignoli o i passeri che cantano da un ramo alto, mostrando ai contendenti che quello è il loro territorio e non hanno paura di essere predati;
  • all’interno di un gruppo sociale, come fanno i garruli, gli uccellini che accudiscono i figli degli altri, anche non imparentati, per dimostrare a tutti di essere all’altezza di farlo e in cambio guadagnano status sociale e attirano potenziali partner.

Gli esseri umani fanno i pavoni

Noi umani non siamo immuni dall’esibire handicap, ce ne sono ovunque nei nostri comportamenti. Zahavi fa l’esempio dello sceriffo dei film western che entra nel covo dei banditi con la pistola nella fondina (l’handicap) per mostrare che non ha paura di loro. Ma anche una grande casa è un handicap se è più grande delle reali necessità della famiglia, perché ha un costo elevato (in denaro, non in metabolismo) e segnala che la famiglia può permetterselo. Un matrimonio sfarzoso, costosissimo e un po’ kitsch dimostra reciprocamente alle due famiglie e a tutti gli altri che chi paga può permettersi il volo delle colombe e i fuochi di artificio e segnala quindi lo status degli sposi (anche se per pagare il pranzo bisogna poi fare un mutuo!). Ma gli handicap sono anche nel nostro corpo. I capelli umani, tecnicamente inutili se lunghi, sono difficili da gestire e forniscono una facile presa durante la lotta con un avversario.  Sono quindi un altro handicap evoluto dai nostri antenati, poiché se crescono troppo si annodano, si impigliano e ostacolano la visione. Avere capelli curati e sempre ben pettinati dimostra che chi li porta può permettersi il tempo e l’investimento per gestirli e curarli, e può affrontare i nemici malgrado la presenza di questo fastidioso inconveniente. La sclera, cioè la parte bianca degli occhi, è un altro handicap: un predatore sa che lo stiamo fissando. I gorilla hanno la sclera scura e non si capisce dove sia orientata la pupilla, confondendo il predatore, ma noi umani siamo più spacconi dei gorilla e abbiamo un handicap negli occhi.
Il confronto tra lo sguardo umano e quello del gorilla dipende dal colore della sclera. (Couleur/Pixabay; Kabir/Wikimedia Commons)
Il seno delle donne, costituito per lo più da tessuto adiposo, è un altro handicap: come ben sa chi ha un seno grande, saltare e correre diventa un problema, ma così si dimostra al partner di avere geni abbastanza buoni da accumulare grasso anche in periodi di carestia e da saper sfuggire al pericolo nonostante il peso e l’ingombro, esattamente come la coda del pavone. Oggi come oggi però questo handicap si è invertito rispetto al passato. Nelle società occidentali, dove non c’è scarsità di cibo, le donne desiderano essere magrissime, il più possibile, dimostrando di avere buoni geni e potersi permettere diete, cure e palestra, e avere fitness anche nella indesiderabile condizione di avere scarso grasso cutaneo. Pazienza per il seno: se è vero che in media gli uomini hanno ancora preferenza per il segnale “seno grande”, è anche vero che oggi la chirurgia plastica fa miracoli nel mandare segnali, anche se non troppo onesti. Se lo sapessero i pavoni, ci invidierebbero molto.   -- Immagine del box e del banner: Alexas_Fotos/Pixabay
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