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Louis e Mary Leakey e la storia evolutiva del genere Homo

Le loro ricerche su Homo sapiens, durate oltre quarant’anni, hanno aperto la strada alla scoperta dell'origine africana dell'umanità

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Londra, una sera di marzo del 1933 al Royal Anthropological Institute. Un uomo e una donna si conoscono durante un ricevimento. Lui ha trent’anni, è un antropologo già affermato e alle spalle ha già una vita abbastanza avventurosa da riempire un romanzo: è nato in Kenya e il suo inglese dal forte accento africano lo ha ostacolato durante gli studi a Cambridge, che ha dovuto anche sospendere per una commozione celebrale rimediata sul campo di rugby. Lei ha poco più di vent’anni ed è stata invitata da Gertrude Caton Thompson, un’archeologa per cui ha realizzato alcune illustrazioni. Lui ha appena tenuto una conferenza sul suo primo libro, The Stone Age Culture of Kenya Colony (“La cultura dell'età della pietra della colonia del Kenya”), e raccontato i risultati della sua campagna di scavi nell’Africa orientale tra il 1931 e il 1932. Sta progettando il prossimo libro e ha già un titolo in mente, Adam’s Ancestors: The Evolution of Man and His Culture (“Gli antenati di Adamo: l'evoluzione dell'uomo e la sua cultura”), in cui vuole cominciare a raccontare la storia di Homo sapiens secondo la prospettiva evolutiva. Ma gli manca qualcuno che possa incaricarsi delle illustrazioni. L’incontro con lei sarà decisivo: troverà la disegnatrice e la sua compagna di vita. Louis Leakey e Mary Nicol si sono appena conosciuti e non si lasceranno più, dando inizio a uno dei sodalizi personali e scientifici più duraturi della storia della scienza moderna, capace di rivoluzionare la concezione della storia umana.

Lo sfondo della scena

Se ai due protagonisti che si sono conosciuti quella sera di marzo del 1933 sembra che tutto si sia fermato, in realtà il mondo attorno comincia da subito a richiedere la loro attenzione. Innanzitutto c’è il problema dello scandalo suscitato dalla loro unione: nel 1933 Louis Leakey è sposato da quasi cinque anni con Frida Avern, un’inglese che ha conosciuto in Africa. I due hanno già un figlio e Avern è incinta di Colin, anche se molto probabilmente non lo sa, visto che il bambino nascerà il 13 dicembre 1933. L’inizio della relazione con Mary fa gridare allo scandalo la rigida società inglese dell’epoca, specialmente quando i due vanno a vivere insieme, lasciando Frida sola a portare avanti la gravidanza. Mary e Louis si sposeranno nel 1936, appena lui ottiene il divorzio.

Sul piano scientifico, Louis è estremamente coinvolto nel dibattito sulla datazione di alcuni reperti ritrovati nella valle di Olduvai, tra Kenya e Tanzania, e di cui si è parlato anche durante la conferenza in cui conosce Mary. Il punto è che nel 1913 un ricercatore tedesco, Hans Reck, ha individuato lo scheletro di un ominide databile secondo lui a metà del Pleistocene, circa 600 mila anni fa. La comunità scientifica dell’epoca, in particolare quella britannica, era contraria all’idea che antenati della specie umana potessero essere tanto antichi.

Il dibattito mediatico attorno a Reck culmina con il divieto da parte del governo di Londra di farlo ritornare sul posto. Intanto arriva la Prima guerra mondiale e tutto si ferma. Nel 1931, però, Reck ottiene di tornare a Olduvai proprio in compagnia di Leakey, che è un sostenitore della sua posizione: la storia evolutiva umana, secondo loro, è più antica di quello che si pensa. In particolare, Louis nota tra i reperti già scavati da Reck un utensile appartenente alla cultura acheuleana che confermerebbe la datazione dello scheletro. A trent’anni, insomma, Louis è al centro del dibattito scientifico della sua epoca senza paura di prendere posizioni minoritarie e contemporaneamente al centro di uno scandalo morale che investe la sua vita privata.

Il talento di Mary

Nonostante i pettegolezzi, Louis nella seconda metà degli anni Trenta riesce comunque a organizzare una serie di spedizioni nella gola di Olduvai e in altri siti dell’Africa orientale, portando sempre con sé Mary. Questo periodo è per la giovane donna un vero e proprio apprendistato: nel giro di un decennio Mary è in grado di lavorare sul campo in completa autonomia.

Durante la Seconda guerra mondiale, nuovamente, le ricerche si fermano come già era successo durante la Prima. Addirittura, Louis svolge alcuni incarichi per i servizi segreti della Corona, ma appena è possibile, i due tornano a scavare. Ed è proprio Mary a fare la prima importante scoperta. Nel 1948, nell’isola di Rusinga sul Lago Vittoria, Mary rinviene i resti fossili di Proconsul africanus, un antenato comune di scimmie ed esseri umani che è vissuto circa 20 milioni di anni fa.

Il ritrovamento alimenta il dibattito scientifico, con la pressione che aumenta sui Leakey. All’epoca, infatti, nella comunità scientifica è diffusa l’idea che il genere Homo a cui noi tutti apparteniamo avesse avuto origine in Europa. Si tratta di un’idea figlia di una visione eurocentrica (e vagamente razzista) che i fossili scoperti a Rusinga contribuiscono a confutare. Ma il meglio deve ancora venire.

Nel 1959, un decennio dopo gli scavi sull’isola di Rusinga, i Leakey sono accampati nei pressi della gola di Olduvai. Il 17 luglio Louis è costretto a letto dalla febbre, così Mary va da sola a scavare nei pressi del sito indicato come “Bed I”. Proprio quel giorno Mary trova i primi pezzi di un cranio di un ominide vissuto tra 2,6 e 1,2 milioni di anni fa che verrà poi definitivamente chiamato Australopithecus boisei.

Il cranio completo viene ricostruito dai Leakey mettendo insieme oltre 400 frammenti rinvenuti in quei giorni e la scoperta finisce velocemente sulle pagine di Nature, dove l’ominide è ancora indicato con il nome provvisorio di Zinjanthropus boisei ed è indicato come “uno dei primi ominidi” e il teschio di Olduvai come “il più antico produttore di strumenti di pietra mai scoperto”. Il ritrovamento è stato determinante per mettere definitivamente in discussione i preconcetti degli antropologi dell’epoca e uno dei primi passi nella comprensione della storia evolutiva dell’umanità secondo quanto suggerito un secolo prima da Charles Darwin. 

La scoperta di Homo habilis

Anche solo fin qui, la storia dei Leakey sarebbe sufficiente per inserirli tra i più importanti paleoantropologi del Novecento e di tutti i tempi. Ma le scoperte non sono ancora finite. Dall’inizio degli anni Sessanta, Louis e Mary si trasferiscono in pianta stabile in Tanzania per seguire ancor più assiduamente gli scavi nella gola di Olduvai. Già nel 1961, Mary scopre alcuni resti ossei di una nuova specie di Homo vissuta tra 2,4 a 1,4 milioni di anni fa. Louis Leakey pubblica i risultati del ritrovamento sulle pagine di Nature, annunciando la scoperta di Homo habilis, il primo ominide appartenente al genere Homo che ha convissuto nello stesso periodo e nelle stesse zone con A. boisei. H. habilis aveva una scatola cranica di grandi dimensioni e deve il suo nome alla variegata produzione di utensili che gli è stata attribuita.

Il ritrovamento di H. habilis rappresenta per i Leakey la conferma che la storia del genere umano è più antica di quello che pensavano i loro contemporanei ed è il risultato di una lenta evoluzione in accordo con la teoria di Darwin. In più, secondo loro, è la dimostrazione che la nostra specie ha avuto origine in Africa orientale, in netta contrapposizione con l’idea eurocentrica dell’epoca. Almeno fino alla scomparsa di Louis Leakey avvenuta nel 1972, le prove definitive a sostegno di questa teoria non si sono trovate. Ma gli studi condotti da Mary negli anni successivi, fino alla sua morte nel 1996, e da una crescente comunità di paleoantropologi hanno confermato che l’intuizione di Louis quando difendeva Reck era corretta. Per dirla con una frase del genetista Guido Barbujani, gli africani siamo noi, perché proprio la zona attorno alla valle di Olduvai tra Tanzania e Kenya è la culla dell’umanità e tutti discendiamo da quegli ominidi che l’hanno popolata milioni di anni fa.

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I Leakey in una fotografia del 1962 conservata allo Smithsonian Institute.
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Mary e Louis Leakey mentre scavano un sito nella gola di Olduvai in una foto conservata allo Smithsonian Institute