Karin è una donna che più di 20 anni fa ha subito un incidente che le ha portato via l’avambraccio destro, ovvero la parte al di sotto del gomito. Da allora ha sopportato un dolore costante e intenso nell’arto residuo e alti livelli di stress. Ciò ha limitato gravemente la funzionalità dell’arto, ha compromesso la qualità della sua vita e ostacolato la riabilitazione. Karin ha provato per anni il dolore da arto fantasma, cioè provare dolore, reale, a un arto che è stato amputato. Per tentare di ritornare a una vita simile a quella prima dell’incidente, Karin ha usato diverse protesi.
La complessità della mano
Una protesi dell’arto è una tecnologia che riprende la forma del braccio e della mano e che sostituisce la parte del corpo mancante. Una protesi efficace migliora la postura e la deambulazione, ma soprattutto consente lo svolgimento di tante attività quotidiane. Generalmente le protesi d’arto sono costituite da un’interfaccia personalizzata, da un invaso e da altre componenti che mirano a semplificare la mobilità o a rendere possibili attività più specifiche. L’invaso contiene e protegge l’arto residuo, ma trasferisce anche i carichi tra il moncone e la struttura portante della protesi. Quest’ultima si attacca al corpo attraverso il contatto diretto con la pelle o tramite una superficie a cuscinetto che distribuisce uniformemente la pressione. Si deve poi usare un sistema per mantenere salda la protesi, aspirando l’aria, utilizzando sistemi di bloccaggio o cinture.
La componente principale della protesi è la mano. La mano umana è molto complessa dal punto di vista anatomico, per cui spesso sono necessari strumenti diversi per poterla imitare. Esistono 4 tipi principali di protesi, che possono essere necessari in fasi diverse del percorso riabilitativo.
- Per mantenere l’equilibrio o stabilizzare gli oggetti si usano le protesi passive che, come suggerisce il nome, non forniscono pressione attiva della mano.
- Le protesi a energia corporea sono collegate al cinto scapolare e all’omero per azionare la mano.
- Le protesi mioelettriche ad energia esterna forniscono un movimento attivo della mano e dell’articolazione grazie a sensori che rilevano l’attività muscolare dell'arto residuo: utilizzano i segnali elettrici dei muscoli mediante elettrodi di rilevamento incorporati nell'invaso della protesi. Quando i muscoli sono attivi, gli elettrodi rilevano l’attività muscolare e trasmettono segnali alla protesi dell’arto: è così fornita una maggiore forza di presa rispetto alle protesi a energia corporea.
- Le protesi ibride combinano le caratteristiche delle protesi a energia corporea e mioelettriche.
La scelta di una protesi dovrebbe essere basata sulle esigenze del paziente ed includere le sue preferenze, l’esperienza con precedenti protesi e le esigenze funzionali.
L’arto superiore si articola con il tronco e ci consente di svolgere direttamente funzioni manuali e di mantenere la postura. L’arto superiore comprende il braccio, l’avambraccio e la mano. Dal punto di vista scheletrico, l’arto superiore è costituito da 30 ossa: l’omero nel braccio (dalla spalla al gomito); l’ulna e il radio nell’avambraccio (dal gomito al polso); 8 ossa carpali (il polso), 5 ossa metacarpali (il palmo) e 14 falangi (ossa delle dita) nella mano. Per quanto riguarda il tessuto muscolare, il braccio è caratterizzato da muscoli flessori ed estensori del gomito, mentre la distribuzione dei muscoli dell’avambraccio e della mano è più complessa, a causa della varietà di movimenti eseguibili. Un ulteriore elemento da considerare per la funzionalità dell’arto superiore e, in particolare, della mano è rappresentato dalla sensibilità tattile generale, che consente di graduare i movimenti dei vari segmenti nel modo più opportuno. Tra gli interventi agli arti malati o feriti, l’amputazione è presa in considerazione per salvare la parte di arto ancora sana.
Le cause di amputazione di un arto sono varie: malattie vascolari, cancro, incidenti automobilistici o sul lavoro, combattimenti militari, anomalie congenite. L’amputazione di un arto, e soprattutto di una mano, pone sfide scientifiche, tecnologiche e cliniche che devono essere superate per garantire il pieno recupero funzionale al paziente. Ma pone anche sfide psicologiche che il paziente porta avanti sulla propria pelle: il dolore, lo stress, la scomodità delle protesi convenzionali.
Decenni di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico sugli arti artificiali e le interfacce persona-macchina non hanno portato a miglioramenti decisivi nella vita delle persone con arto amputato. Sicuramente i materiali di imbottitura, il design dell’invaso protesico e la tecnologia hanno migliorato il comfort e la funzionalità. Tuttavia, si continuano a usare per lo più protesi motorizzate con una tecnologia sviluppata oltre 40 anni fa. Infatti, i dispositivi disponibili sul mercato mancano ancora della capacità di dare agli utenti un feedback sensoriale, cioè la sensazione del tatto fondamentale per interagire con ciò che ci circonda. Nel 2023 sono però state pubblicate delle ricerche che vanno in questa direzione.
Fusione tra corpo e mano bionica
A luglio 2023 è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine uno studio che riporta il primo caso documentato di un individuo il cui corpo è stato modificato chirurgicamente per incorporare elettrodi e una protesi scheletrica. Gli algoritmi di intelligenza artificiale hanno poi tradotto le intenzioni dell’utente in movimenti della protesi. La ricerca è stata coordinata da Max Ortiz Catalan, fondatore del Center for Bionics and Pain Research (CBPR) in Svezia.
Generalmente, i muscoli residui dell’arto amputato sono necessari per controllare la protesi. In individui con amputazione sopra il gomito, i muscoli residui sono pochi per controllare una protesi intera dell’arto superiore. Jan Zbinden, dottorando presso il CBPR, ha lavorato sugli algoritmi di IA per consentire la traduzione delle intenzioni dell’utente nel movimento delle dita della protesi. Ha così dimostrato che la separazione dei nervi recisi residui dell’arto amputato e la loro ridistribuzione ai muscoli rimanenti aumenta il numero di segnali elettrici generati dal tessuto, consentendo al paziente di controllare tutte e cinque le dita di una mano protesica. Così, sono stati progettati veri e propri costrutti che collegano il sistema nervoso ai muscoli mediante elettrodi impiantati, accessibili tramite una comunicazione bidirezionale con la protesi e l’attacco scheletrico diretto.
A ottobre 2023, poi, sulla rivista Science Robotics è stato pubblicato il risultato finale del progetto europeo DeTOP (Dexterous Transradial Osseointegrated Prosthesis with neural control and sensory feedback) coordinato dal professor Christian Cipriani, direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha visto di nuovo protagonista Max Ortiz Catalan.
La ricerca ha portato al fissaggio scheletrico tramite osseointegrazione, processo mediante il quale il tessuto osseo ricresce all’interno del titanio creando una forte connessione meccanica. In altre parole, una protesi bionica è stata integrata in modo permanente con lo scheletro e il sistema nervoso grazie a un’interfaccia persona-macchina osseointegrata.
Il passo successivo ha coinvolto le protesi neurali, ossia dispositivi capaci di ripristinare o completare le capacità della mente tramite elettrodi inseriti direttamente nei nervi e nei muscoli. I nervi e i muscoli dell’arto residuo sono stati riorganizzati per fornire alla protesi un maggior numero di informazioni sul controllo motorio. Presso il Bionics Institute in Australia è stato sviluppato il software di intelligenza artificiale in grado di interpretare gli impulsi neurali prodotti dal cervello e di usarli per gestire l’arto nella vita quotidiana.
Queste ricerche ci riportano a Karin, la donna di cui abbiamo parlato all’inizio. A lei è stata impiantata una mano robotica chiamata Mia Hand, sviluppata da Prensilia, un’azienda spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Le sfide da superare erano due: la prima riguardava le due ossa residue (radio e ulna) che dovevano essere allineate per un adeguato supporto del carico della protesi; la seconda era il limitato spazio disponibile per impiantare i componenti della protesi. Una volta che la ridistribuzione dei nervi era in fase sufficientemente avanzata, i ricercatori hanno collegato la protesi per consentire alla paziente di controllare la mano protesica come se fosse la propria. Karin ha controllato in maniera naturale la mano bionica grazie al collegamento diretto tra l’interfaccia e i suoi muscoli e nervi residui. Mia Hand possiede, infatti, caratteristiche meccaniche e capacità sensoriali che consentono di compiere l’80% delle normali attività della vita quotidiana.
Immagine di copertina: Mia Hand sviluappata da Prensilia (Elastico Disegno e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)
Immagine tratta da Gerard J. Tortora, Bryan Derrickson - Conosciamo il corpo umano Edizione Azzurra (pagina 83-84)