Molte persone pensano che le donne abbiano una maggiore predisposizione per certe attività, mentre gli uomini ce l’abbiano per altre: le donne sarebbero più a loro agio con l’accudimento di altre persone (siano esse in età infantile, anziane o malate), mentre gli uomini sarebbero più capaci di eccellere in professioni che richiedono competenze di calcolo e progettazione. Ne discende che la minor presenza di donne nell’ambito delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ossia: scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) si spiegherebbe con una differenza della conformazione dei cervelli dei due sessi. Peccato che non ci sia alcuna prova scientifica in grado di dimostrare questa teoria.
I risultati di uno studio controverso
Ci sono stati tanti tentativi di giustificarla attraverso il metodo scientifico: tra quelli recenti, a scatenare il maggior dibattito è stato uno studio pubblicato nel 2000. In quell’anno la rivista scientifica Infant Behaviour Development pubblica un articolo firmato dal team guidato da Simon Baron-Cohen dell’Università di Cambridge (Regno Unito) che sostiene sia possibile dimostrare che nei neonati esistono notevoli e rilevanti differenze di comportamento. I neonati sono stati scelti dai ricercatori perché «non ancora influenzati da fattori sociali e culturali». Per essere sicuri di ciò, i 102 soggetti che compongono la coorte dello studio sono stati esposti all’esperimento entro il secondo giorno dalla nascita.
I bambini e le bambine sono stati esposti a due diversi stimoli. Uno era la fotografia del volto di una ricercatrice del team, l’altro un dispositivo meccanico. Il team di ricerca misurava quindi per quanto tempo ogni soggetto fissava ciascuno dei due stimoli. Si tratta di una tecnica sperimentale nota come sguardo preferenziale (preferential looking) e nel caso specifico ipotizza che i soggetti più inclini alla meccanica avrebbero fissato più a lungo l’oggetto meccanico, mentre quelli più inclini alla socialità e all’empatia lo avrebbero fatto sul volto umano. I risultati dell’esperimento mostrano che circa il 40% dei neonati maschi preferisce guardare il dispositivo meccanico, mentre solo il 25% preferisce guardare il volto. Al contrario, il 36% delle neonate preferisce il volto, mentre il 17% l’apparato meccanico. Il risultato non è schiacciante ma, concludono i ricercatori, la differenza c’è ed è statisticamente significativa. Nello studio, quindi, si può leggere che:
qui dimostriamo oltre ogni ragionevole dubbio che queste differenze [tra le predisposizioni di maschi e femmine] sono, in parte, di origine biologica.
Da un esperimento a una teoria generale
Per Simon Baron-Cohen questo studio è la prova che esistono un cervello maschile e uno femminile. Nel 2003 pubblica anche un libro, tradotto in italiano con il titolo di Questione di cervello. La differenza essenziale tra uomini e donne, nel quale approfondisce la sua teoria della differenza biologica dei cervelli, affermando che tale differenza si manifesti fin dal primo giorno di vita e che ha una base ormonale. Ma già qui si notano alcune affermazioni che non tornano del tutto.
Baron-Cohen, infatti, scrive che chi ha un cervello maschile passa più volentieri il proprio tempo, tra l’altro, «nella manutenzione dell’auto o della moto», «svolgendo calcoli matematici, perfezionando sistemi audio e giocando ai videogiochi». Al contrario, chi ha un cervello femminile tende a trascorrere il tempo «bevendo caffè o cenando con gli amici, prendendosi cura di persone e animali domestici, facendo volontariato».
Un elenco che ha almeno due problemi:
- Il primo è che fa riferimento principalmente a un ambito culturale, quello della borghesia europea, a cui lo stesso Baron-Cohen appartiene: ma quali attività prediligono le persone con cervelli maschili o femminili in altri ambiti, magari dove non ci sono automobili e motociclette da accudire?
- Il secondo aspetto stonato è che le attività prettamente maschili corrispondono ad ambiti lavorativi più remunerativi o a passatemi più costosi di quelli prettamente femminili: più che un’osservazione scientifica sembra la conferma degli stereotipi attraverso il bias di chi li ha scritti.
I dubbi sull’esperimento originario
Nel 2007 l’esperimento alla base della teoria di Baron-Cohen è stato analizzato nel dettaglio da due ricercatrici del Dipartimento di Psicologia della State University of New York a New Paltz. Alison Nash e Giordana Grossi individuano cinque problemi metodologici che fanno dubitare della solidità dei risultati ottenuti.
- Validità. «[Dalla letteratura scientifica] non è chiaro se guardare un volto o un apparato meccanico rifletta, in effetti, abilità sociali o meccaniche successive», scrivono le due psicologhe. Si tratta di una critica rivolta alla possibilità di conoscere davvero le preferenze di persone così piccole (massimo due giorni di vita).
- Mancanza di un controllo. Secondo Nash e Grossi, i due stimoli (l’immagine del volto umano e dell’apparato) non sono del tutto paragonabili. Il volto di una persona nella realtà è inestricabilmente legato alle sue espressioni, al suo modo di gesticolare e muoversi e a una serie di suoni e odori che non sono presenti nell’esperimento di Baron-Cohen. Inoltre, i soggetti testati non sono stati sottoposti agli stimoli in un ambiente controllato e sempre identico, ma ognuno in contesti leggermente diversi che possono aver influenzato il risultato.
- Le aspettative dello sperimentatore. In molti casi la ricercatrice che ha fisicamente effettuato i test, Jennifer Connellan, era a conoscenza del sesso dei soggetti, introducendo un potenziale bias nell’esperimento.
- Definizione operativa della variabile dipendente. C’è un problema di definizione di cosa si misura e di cosa viene riportato. In pratica non si capisce come venga misurata la durata totale del tempo di sguardo (total looking time) e quindi la variabile misurata non è definita in modo univoco da chi ha condotto l’esperimento.
- Problemi di statistica. Le due psicologhe di New York elencano alcuni errori di statistica di base che rendono poco affidabili i risultati presentati.
Per comodità riportiamo i dati in una tabella:
Preferenza per dispositivo meccanico |
Preferenza per l’immagine del volto umano |
|
Neonati |
40% |
25% |
Neonate |
17% |
36% |
Nel caso dei maschi, sommando le due percentuali, otteniamo il 65%. Il che significa che il rimanente 35% non ha espresso una netta preferenza. La situazione è ancora più estrema nel caso delle femmine: quelle che hanno espresso una preferenza sono il 53%, mentre il 47% non lo ha fatto in maniera netta. Un maschio su tre e quasi la metà delle femmine non esprime preferenze in linea con le conclusioni dello studio. Certo, il risultato statistico per Baron-Cohen e colleghi rimane, ma non sembra davvero sufficiente a trarre conclusioni così nette sulla diversità del cervello maschile e femminile.
Un altro problema che emerge negli anni successivi all’articolo di Nash e Grossi è che non ci sono repliche del risultato di Baron-Cohen e colleghi. Nella pratica scientifica, un qualsiasi risultato sperimentale deve poter essere replicato per ritenerlo solido.
Le conseguenze di uno studio fallace
Ciononostante il loro studio del 2000 è stato ripreso ampiamente dalla stampa internazionale e a oggi risulta citato oltre 250 volte da altri articoli scientifici, l’ultimo dei quali è del 2021. Tra i sostenitori della teoria di Baron-Cohen c’è anche Steven Pinker, noto neuroscienziato di Harvard, che nel 2005 ha scritto una lettera al New York Times che comincia così:
Simon Baron-Cohen ci ha fornito alcune delle ricerche più sofisticate sulla natura e l'origine delle differenze di sesso nella cognizione.
Nel 2012, sulla scia delle differenze alla nascita tra i due sessi ipotizzata da Baron-Cohen è anche uscito un manuale matrimoniale ispirato alla Bibbia. Si intitola His Brain, Her Brain e dovrebbe servire a trovare l’accoppiamento perfetto per un matrimonio duraturo.
Quello di Baron-Cohen e del suo team è solo un esempio di esperimento con una serie di criticità che però prende piede in una parte della comunità scientifica senza troppi controlli e arriva anche al grande pubblico attraverso i media. Almeno in parte, questa fortuna va attribuita al fatto che le conclusioni che contiene confermano lo stereotipo sociale e culturale sui ruoli di maschi e femmine, fornendo una apparente giustificazione allo status quo.