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Oro blu tra produzioni alimentari e cambiamenti climatici

La sfida che le società umane dovranno affrontare nei prossimi anni sarà quella di garantire cibo a tutti avendo sempre meno acqua a disposizione 

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Da numerosi anni il riscaldamento globale è parte della cronaca quotidiana italiana, data la presenza sempre più ricorrente di eventi estremi, periodi di forte siccità e temperature in continuo aumento. Ma quanto il riscaldamento globale può incidere sulla qualità della nostra vita e sulla possibilità di continuare a produrre ciò che ogni giorno abitualmente portiamo in tavola?

Siccità e carenza idrica 

Per capire cosa sta accadendo può essere, ad esempio, interessante verificare l’andamento delle precipitazioni e della temperatura in Italia e nella nostra città. Grazie alla web app Historical Meteo Graphs si può liberamente e celermente creare grafici che mostrano sia l’andamento delle temperature che delle precipitazioni medie e totali in un luogo di interesse nell’anno scelto per l’analisi rispetto a una serie di dati riferiti al periodo 1961-1990. L’analisi indica chiaramente che la siccità è divenuta sempre più ricorrente in Italia (anche al Nord ed in particolare nel Nordovest), così come in molte altre città europee e africane e i modelli previsionali ci indicano che questo trend non cambierà nel prossimo futuro.

Allargando lo sguardo su una scala globale, possiamo andare a curiosare nei dati dell’Aqueduct Water Risk Atlas, un magnifico progetto realizzato dal World Resources Institute, che ci permette di capire quali sono le aree del pianeta più a rischio di avere problemi di carenza idrica. Il progetto Aqueduct evidenzia, in primo luogo, che su scala globale la richiesta di acqua è quasi raddoppiata rispetto al 1960, in particolare nel continente africano, e dovrebbe aumentare di un ulteriore 20-25% entro il 2050. Questi dati sono già di per sé preoccupanti, perché in futuro avremo meno disponibilità di acqua a fronte di una richiesta in continuo aumento. Se combiniamo i dati legati alle precipitazioni con quelli delle necessità, il quadro che emerge è decisamente tragico, perché ci indica che entro il 2050 quasi il 60% della popolazione mondiale potrebbe sperimentare almeno un mese all’anno di severa criticità idrica.

I paesi più a rischio sono Bahrain, Cipro, Libano e Aria Saudita, ma il futuro non è certamente molto roseo neppure in alcune nazioni europee, come Cipro e Belgio, e l’Italia non è molto lontana da questi paesi in termini di rischio. Questo significa che è necessario mettere in atto soluzioni per gestire al meglio l’acqua disponibile e per fare questo possiamo agire su due fronti: ridurre gli sprechi e usare al meglio l’acqua presente.

La sete agricola

L’agricoltura ha un legame molto forte con le risorse idriche, dato che usa circa il 70% dell’acqua disponibile ed è tra i settori messi più in crisi dalla sua assenza. Nel 2022, ad esempio, i danni provocati dalla siccità nelle campagne italiane hanno raggiunto i sei miliardi di euro e il 2023 è stato persino peggiore. Inoltre, la mancanza di precipitazioni sta condizionando le scelte delle aziende agricole, che si stanno spostando dalla coltivazione di mais e riso, due colture particolarmente bisognose d’acqua, verso soia e frumento andando non solo a modificare il paesaggio, ma anche l’economia di alcune regioni.

Per scoprire quali sono gli altri settori produttivi che consumano grandi quantità di acqua puoi leggere l’articolo di Giancarlo Sturloni L’impronta idrica dell’umanità.

La ricerca a supporto dell’agricoltura

Per mantenere le produzioni attuali una prima via da seguire riguarda la creazione di nuove varietà, in grado di crescere usando meno acqua. Questo è oggi possibile grazie da un lato alla disponibilità di una enorme quantità di dati genetici ottenuti dallo studio a livello molecolare delle tantissime varietà coltivate nel mondo per le diverse specie di nostro interesse e dall’altro alla presenza di nuove tecnologie genetiche (tra cui in particolare CRISPR), che ci permettono di realizzare nuove varietà velocemente e in piena sicurezza. In particolare, le Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA) ci permettono di realizzare nuove varietà che, grazie ad un emendamento approvato nel mese di maggio 2023 dal Governo italiano, potranno essere messe alla prova in campo per verificare che rispondano realmente alle nostre necessità. 

In parallelo è però necessario capire ancora meglio come le piante rispondono alla siccità. Ad esempio, numerosi gruppi di ricerca stanno studiando quali geni regolino l’apertura degli stomi (i piccoli pori presenti sulle foglie, la cui apertura regola gli scambi gassosi necessari per lo svolgimento della fotosintesi) o come la pianta gestisca lo stress che deriva dalla carenza idrica. Queste analisi stanno anche riservando sorprese, dato che per molto tempo si è pensato che in assenza di acqua nel suolo, le radici inviassero segnali chimici alle foglie per consumare meno acqua riducendo l’apertura degli stomi. In realtà, alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge hanno recentemente osservato che accade esattamente il contrario e sono cioè le foglie esposte all’aria secca, che “comunicano” alle radici la necessità di continuare a crescere per cercare l’acqua. In natura quindi le piante, quando manca l’acqua, non riducono l’apertura degli stomi, ma favoriscono la crescita delle radici al fine di avere un maggiore recupero di acqua dal suolo.

Allo stesso tempo si è osservato che nel suolo vivono, in prossimità delle radici, numerosi batteri in grado di produrre e liberare nel terreno zuccheri che trattengono l’acqua, per cui si sta cercando di aumentarne la quantità, così da far sì che l’acqua non sia dispersa omogeneamente nel suolo, ma sia primariamente accumulata in prossimità delle radici.

Nuove tecnologie

Biologi molecolari, genetisti e botanici non sono però gli unici che stanno fornendo importanti contributi, perché in parallelo è necessario disporre di sistemi di irrigazione sempre più efficaci. Oggi possiamo contare non solo su impianti di irrigazione a goccia, che riducono gli sprechi, ma anche su sensori inseriti nel suolo, che ci indicano quanta acqua è realmente necessaria, così da non usarne in eccesso. In parallelo sono sempre più diffusi dispositivi (tramite satelliti o droni) per misurare da remoto lo stress idrico nelle piante, fornendo dati che possono essere integrati con quelli della disponibilità di acqua nelle falde e nei bacini, oltre che con i dati meteorologici, così da ottimizzare ancora di più l’uso dell’acqua.

Da molto tempo l’acqua viene definita oro blu, in riferimento al colore che essa conferisce al nostro pianeta se visto dallo spazio e al fatto che è un bene prezioso. La vera sfida sarà quindi far sì che, a differenza dell’oro giallo, quello blu sia realmente disponibile a tutti anche in un futuro reso molto più complicato dal riscaldamento globale.

immagine di copertina: Thomas via Pixabay

agricoltura H2O-1

Temperature medie a Bologna nel 2023 confrontate con le temperature medie del periodo 1961-1990 (immagine: Historical Meteo Graphs)

agricoltura H2O-2

Scenario ottimistico dello stress idrico nel 2050 in Italia (immagine: Aqueduct Water Risk Atlas)