Secondo l’Organizzazione internazionale della vigna e del vino, l’Italia è il maggior produttore mondiale di vino, con 50 milioni di ettolitri prodotti nel 2022, ed è il secondo consumatore al mondo, con 23 milioni di ettolitri consumati all’anno. Un rapporto del Ministero della Salute mostra che il 65,7% degli uomini e il 43,7% delle donne ne beve almeno un bicchiere una volta all’anno e questo fa del vino la bevanda alcolica più consumata in Italia. Che cosa ci lega tanto a questa bevanda? Oppure, detto in altre parole, perché ci piace tanto? Per capirlo dobbiamo affidarci alla chimica.
Il nome vino è riservato al prodotto della fermentazione alcolica del mosto di uva fresca o leggermente appassita in presenza o in assenza di vinacce.
Questa definizione si trova in un decreto legge del 1925 che regolamenta la produzione del vino e suggerisce l’importanza dei processi chimici per produrre un vino di qualità. Il processo di fermentazione alcolica che permette di ottenere il vino, infatti, è un insieme di reazioni biochimiche promosse da enzimi presenti nei lieviti Saccharomyces, che vivono sulla buccia dell’uva. A partire dallo zucchero saccarosio, durante la reazione si ottiene la liberazione dell’alcol etanolo e di diossido di carbonio.
Tuttavia, il vino non è composto solo da etanolo e acqua. Nella miscela, infatti, troviamo un insieme molto vario di molecole più o meno complesse, che conferiscono determinate caratteristiche (viscosità, colore, profumi e sapori) che variano da vino a vino. Attraverso la degustazione, una persona esperta può individuare le caratteristiche organolettiche e le migliori modalità di utilizzo e abbinamento. La valutazione di un vino consiste quindi nella percezione delle sensazioni che il vino genera all’interno dei nostri organi di senso (vista, olfatto e gusto). In altre parole, quando degustiamo un vino, arrivano al nostro cervello una serie di stimoli dai nostri organi di senso, che vengono rielaborati e provocano il rilascio di neurotrasmettitori verso altre aree del corpo.
Gli organi di senso e gli aromi
La più oggettiva delle valutazioni di un vino è quella visiva, da fare davanti ad un calice di vino (bianco o rosso che sia). Il colore del vino è determinato dalla temperatura e dalla durata del processo di fermentazione. Infatti, il classico colore rosso è dovuto alla presenza dei polifenoli presenti principalmente sulla buccia degli acini di uva (che vengono estratti durante la vinificazione a 25-30°C). Il vino bianco, invece, è quasi privo di colore poiché durante il suo processo di vinificazione si eliminano le bucce degli acini e, di conseguenza, la presenza di polifenoli è limitata. Il colore del vino è inoltre in grado di suggerirci informazioni riguardo all’età del vino, al tipo di uvaggio usato e al processo di vinificazione.
La valutazione olfattivo-gustativa di un vino è senz’altro la più complessa e la più soggettiva. Lo stesso vino è in grado di stimolare diversamente ciascun individuo, perché la percezione dipende dalla sensibilità dei recettori del gusto e dalla memoria olfattiva di ognuno. In sostanza, gli stimoli olfattivo-gustativi che consideriamo piacevoli sono tali perché la loro percezione è in grado di attivare l’ipofisi, una ghiandola endocrina che si trova alla base dell’encefalo. Questa ghiandola produce neurotrasmettitori in grado di attivare altre ghiandole e innescare una cascata di reazioni chimiche che ci fanno avvertire una sensazione di benessere. Inoltre, l’olfatto è in grado di provocare piacere indirettamente, perché stimola la memoria e i ricordi associati agli odori. Non esiste, quindi, a meno di difetti veri e propri, il concetto assoluto di vino buono o vino cattivo, ma è possibile affermare che un determinato vino ci piace oppure no in base alla nostra percezione sensoriale.
È molto difficile separare la percezione di odori e sapori, perché il gusto di qualunque cibo o bevanda dipende da una combinazione di stimoli provenienti dalle papille gustative e dai recettori olfattivi delle vie retronasali. Se, però, vogliamo provare a distinguerli, possiamo dire che i profumi e gli odori di un vino derivano dalle interazioni tra le sue molecole volatili e i recettori presenti nella nostra mucosa olfattiva sulla parete superiore delle cavità nasali. Tra le molecole volatili possiamo distinguere quelle che determinano il cosiddetto aroma primario da quelle che determinano l’aroma secondario o terziario.
L’aroma primario è generato da molecole organiche presenti nell’uva o che derivano dalla degradazione di altre molecole. Per esempio, troviamo i terpeni: sono molecole largamente presenti in natura, costituite da multipli dell’unità isoprenica (a 5 atomi di carbonio), che troviamo in molti aromi che incontriamo quotidianamente, come il limonene, la canfora, il mentolo e il geraniolo. Anche le pirazine sono molecole aromatiche con cui abbiamo familiarità: l’odore di erba appena tagliata, l’odore di peperoni crudi e di asparagi sono solo tre degli esempi di aromi derivanti da questa classe di molecole. Poi ci sono i norisoprenoidi, una classe di molecole a 13 atomi di carbonio, che derivano dal processo di degradazione dei carotenoidi (come il β-carotene, precursore della vitamina A) contenuti nell’uva.
Le molecole volatili responsabili dell’aroma secondario del vino, invece, si sviluppano durante il processo di fermentazione alcolica. Sono i sottoprodotti di varie fasi della vinificazione, come la pigiatura, la macerazione e la fermentazione, e la loro abbondanza viene condizionata dalle tecniche utilizzate. Fanno parte di questa categoria altre molecole organiche, che appartengono alle classi di composti di aldeidi, acetali, chetoni ed esteri.
Gli aromi terziari e i difetti
In un vino sono contenuti anche gli aromi terziari, dovuti a un insieme molto complesso di molecole che si sviluppano durante il processo di affinamento e invecchiamento. Nel corso della vita di un vino, i suoi profumi, sapori e il suo colore subiscono delle variazioni dovute a fenomeni fisici, chimici e biologici che coinvolgono le molecole presenti al suo interno.
Al termine della fermentazione, il vino viene fatto maturare nei recipienti di conservazione e durante questo processo muta lentamente le sue caratteristiche organolettiche. L’invecchiamento in botti di legno, più o meno grandi, provoca uno scambio di molecole tra il legno della botte (tipicamente fatta di legno di quercia), nella quale sono presenti diversi composti fenolici, e il vino. Solitamente, nei vini invecchiati in botte è possibile distinguere, all’olfatto, un’accentuata nota di spezie, come ad esempio l’aroma di vaniglia. Inoltre, l’invecchiamento in botte permette un’ossidazione lenta del vino, tramite lo scambio di ossigeno che avviene tra il vino all’interno e ambiente esterno attraverso il legno: questa reazione esalta e arricchisce gli aromi che possiamo poi percepire durante la degustazione. Ma non tutti i vini sono adatti all’invecchiamento. In questi casi, i processi ossidativi che si innescano portano a un deterioramento delle caratteristiche organolettiche del vino e quindi fanno sì che quel vino non ci piaccia più.
Esiste, poi, un tipo di aroma indesiderato che si sviluppa dopo l’imbottigliamento, cioè dopo il passaggio dalla botte alla bottiglia. È quello che in genere viene definito «odore di tappo». Si tratta di uno sgradevole odore e poi sapore di muffa che si percepisce durante la degustazione. Nonostante il nome, però, non ha a che fare direttamente con il tappo: deriva dalla presenza di una molecola chiamata TCA (tricloroanisolo) prodotta da un fungo, l’Armillaria mellea, parassita della quercia da sughero. Se il fungo ha infestato una quercia da sughero, i tappi che derivano dalla sua corteccia conterranno quel parassita. Dopo l’imbottigliamento, il fungo produce TCA e lo rilascia nel vino, modificandone gusto e odore.
L’odore di tappo è annoverato tra i possibili difetti che si possono trovare nei vini, proprio per le sensazioni sgradevoli che genera. Tuttavia, esistono altri difetti riscontrabili durante la degustazione di un vino, come l’ossidazione dovuta a una non adeguata conservazione (esposizione alla luce oppure conservazione troppo lunga per quel tipo di vino), la rifermentazione dello zucchero residuo, oppure la presenza eccessiva di acido acetico, che provoca uno sgradevole sapore di aceto nel vino.
Tasters e non-tasters
I tannini sono composti polifenolici che possono essere presenti in quantità diverse nei vini perché si trovano nelle bucce e nei vinaccioli (i semi) dell’uva. Conferiscono il sapore leggermente amaro del vino e la sensazione astringente o allappante, simile a quella che si prova quando mangiamo alcuni frutti acerbi (per esempio, i cachi).
Il senso del gusto cambia nel corso della vita e, man mano che cresciamo, apprezziamo di più i sapori intensi. Inoltre, esiste una componente genetica nella capacità di ciascuno di apprezzare o meno determinati sapori, come umami, piccante e amaro, che dipende dalla funzionalità del recettore TAS2R38. Questo recettore, infatti, è una proteina che può esprimersi in due diverse forme (PAV e AVI) che differiscono per tre nucleotidi. Per quanto riguarda la percezione del gusto amaro, i soggetti che presentano il recettore TAS2R38 nella forma PAV sono detti super-tasters perché hanno un’alta sensibilità, mentre quelli in cui il recettore è in forma AVI sono detti non-tasters, perché non sono in grado di percepirlo. Quindi i super-tasters, cioè quelle persone che percepiscono il sapore amaro come fortissimo e quindi spesso sgradevole, è probabile che non apprezziono il vino.
I colori del vino (tratto da Guzzon et al., Enologia e biotecnologie vitivinicole)
Il processo di fermentazione alcolica (immagine di Caterina Rovegno)
Molecole volatili presenti nel vino, responsabili dell’aroma primario e secondario (immagine di Caterina Rovegno)
TCA (tricloroanisolo): la molecola responsabile dell’«odore di tappo» (immagine di Caterina Rovegno)