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Il piano italiano per l’adattamento alla crisi climatica

Il documento descrive le azioni che il nostro Paese dovrà compiere per prevenire e fronteggiare le conseguenze dei cambiamenti climatici

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Dopo un lungo periodo di gestazione, lo scorso 21 dicembre, con un decreto del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, l’Italia si è finalmente dotata del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC). Si tratta dello strumento attuativo della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2015, con lo scopo di «contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza». In altre parole, è un documento che stabilisce quali interventi l’Italia dovrà realizzare per ridurre i rischi del riscaldamento globale sul nostro fragile territorio, esposto a problemi ambientali come il dissesto idrogeologico, le alluvioni, l’erosione delle coste o la siccità, che saranno aggravati dalla crisi climatica.

Il PNACC è stato approvato al termine dell’anno più caldo dal 1850, cioè da quando siamo in grado di misurare le temperature medie globali. La media del 2023 si è assestata a +1,48°C rispetto al periodo preindustriale, sfiorando così la soglia critica di 1,5°C. Secondo i climatologi sulla Terra non si avevano temperature così elevate da 125 000 anni. Viviamo dunque in un’epoca caratterizzata da un clima molto più caldo e instabile di quello che ha consentito il fiorire delle civiltà umane, a cui dovremo inevitabilmente adattarci per garantire la nostra stessa sopravvivenza.  

Mitigazione e adattamento

Legambiente ha osservato che il PNACC è stato approvato a distanza di sei anni dalla prima bozza, un periodo di tempo in cui si sono succeduti quattro governi. Secondo l’associazione ambientalista l’adozione del Piano non era più rinviabile, considerando che l’Italia «è sempre più esposta alla crisi climatica e all’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378», un incremento del 22% rispetto all’anno precedente. Solo per i danni delle due alluvioni che nel 2023 hanno colpito l’Emilia-Romagna e la Toscana, afferma sempre Legambiente, l’Italia ha pagato 11 miliardi di euro, un costo economico che avremmo potuto in parte evitare con azioni di prevenzione, adattamento e mitigazione.

Se infatti la prima opzione per limitare gli impatti della crisi climatica restano le misure di mitigazione, cioè gli interventi per ridurre le emissioni antropiche di gas serra responsabili del riscaldamento globale, è purtroppo ormai evidente come sia necessario implementare anche misure di adattamento in grado di contenere i danni degli eventi estremi che già oggi colpiscono vaste regioni del pianeta, Italia inclusa. Con l’adozione del PNACC, il nostro Paese ha in parte colmato il ritardo dovuto allo scarso interesse della politica verso la crisi climatica, visto che circa l’85% dei paesi del mondo si era già dotata di uno strumento simile.

Al centro dell’hotspot

Il PNACC ha il pregio di riconoscere le criticità ambientali, sociali ed economiche che l’Italia deve affrontare a causa dei cambiamenti climatici. Il nostro Paese si trova infatti nel bel mezzo del cosiddetto hotspot del Mediterraneo, ovvero un’area del pianeta particolarmente vulnerabile agli effetti del riscaldamento globale.

Nelle pagine del PNAC si legge per esempio che nei prossimi 40 anni il livello dei mari italiani potrà crescere fino a 19 centimetri, con rischi rilevanti per le comunità costiere. Nell’Adriatico le temperature dell’acqua potrebbero salire anche di 2,3°C causando gravi danni alla biodiversità marina. Un mare più caldo e più carico di energia aumenta inoltre il rischio di eventi meteorologici estremi come alluvioni e inondazioni, che a loro volta possono aggravare il fenomeno dell’erosione costiera.

Preoccupa inoltre la siccità, esasperata dalla diminuzione delle precipitazioni nevose invernali e dal progressivo ritiro dei ghiacciai, che hanno già perso circa un terzo del loro volume. Senza queste preziose riserve d’acqua ghiacciata, che d’estate sopperiscono alle minori piogge, le comunità montane e l’agricoltura delle valli rischiano gravi ripercussioni economiche. 

La nostra sicurezza è infine minacciata anche dalle precipitazioni estreme, che aumentano il rischio di alluvioni e frane, e dalle ondate di calore estive, che entro fine secolo potrebbero raddoppiare la mortalità e causare perdite economiche pari al 2% del prodotto interno lordo. Nel complesso, si stima che le vittime degli eventi meteorologici estremi possano aumentare fino a 60 volte rispetto a oggi, superando anche il numero di morti premature associate all’inquinamento atmosferico.

Cosa prevede il Piano di adattamento

Il PNACC è un documento di 106 pagine che illustrano la legislazione sul clima e le conoscenze scientifiche sugli impatti del riscaldamento globale. A questo si aggiungono quattro allegati, di cui il più importante è il Database azioni, che elenca 361 misure di adattamento da realizzare a livello nazionale o regionale per salvaguardare 18 settori strategici, dall’agricoltura al dissesto idrogeologico, dagli ecosistemi marini alle foreste, dall’energia ai trasporti. A titolo di esempio, queste misure includono la rinaturalizzazione dei bacini idrografici, l’impegno a ridurre l’inquinamento atmosferico, gli interventi sulle reti idriche per evitare gli sprechi d’acqua, l’aumento dell’efficienza energetica degli edifici, la tutela degli habitat marini, e così via.

Tutte le misure sono suddivise in azioni soft, che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti; azioni green che prevedono soluzioni basate sulla natura (in inglese, nature based solution), cioè l’impiego o la gestione sostenibile di servizi ecosistemici per limitare gli impatti dei cambiamenti climatici; e infine azioni grey che richiedono interventi diretti su impianti o infrastrutture. Nel settore dell’agricoltura, per esempio, rientrano tra le azioni soft l’adozione di pratiche agricole in grado di migliorare la gestione del suolo, mentre quelle grey includono la manutenzione delle reti irrigue per ottimizzare l’uso dell’acqua da parte delle aziende agricole.

Le azioni soft contribuiscono a potenziare le capacità di adattamento aumentando le conoscenze o sviluppando un contesto organizzativo, istituzionale e legislativo favorevole. Ne sono un esempio le azioni di informazione e la creazione di processi organizzativi e gestionali. Le azioni green riguardano soprattutto il settore delle foreste, minacciate dagli incendi che l’aumento delle temperature renderà più frequenti e distruttivi, mentre le azioni grey si concentrano principalmente sul settore dell’energia.

Le critiche al PNACC

Una delle critiche principali avanzate nei confronti del PNACC riguarda proprio la natura delle misure elencate: ben 250 su 361 sono infatti classificate come azioni soft, nonostante le carenze infrastrutturali del nostro Paese, basti pensare agli interventi che sarebbero necessari per tutelare le risorse idriche o porre rimedio al dissesto idrogeologico. Per quest’ultimo settore, ad esempio, il PNACC prevede soltanto azioni soft, nonostante oltre il 93% dei comuni italiani sia esposto al rischio di alluvioni, frane ed erosione.

Diversi osservatori hanno inoltre evidenziato come non siano ancora state stanziate le risorse economiche necessarie per attuare il Piano di adattamento, con il rischio che tutto possa restare solo sulla carta. Nei documenti non si trovano infatti indicazioni chiare né sui costi delle misure da adottare, né su come e dove reperire le risorse. Secondo un’analisi di un gruppo interdisciplinare di esperti pubblicata lo scorso maggio sulla rivista Scienza in Rete, è stato indicato il costo per appena 5 delle 361 misure del Piano (pari all’1,3% del totale), e un’analoga carenza di informazioni riguarda le tempistiche e le competenze necessarie per implementare le azioni.

Un’ulteriore debolezza è la mancanza di una struttura di governance che consenta di coordinare gli interventi sui territori. Gli enti locali, e in particolare i comuni più piccoli, rischiano infatti di non avere risorse, competenze e strumenti adeguati per attuare le misure di adattamento previste dal Piano. In un’intervista al quotidiano Domani, Domanico Gaudioso, ricercatore dell’ISPRA oggi in pensione che ha contribuito alla prima stesura del Piano, spiega che «le misure di intervento sono citate ma non descritte. Non è chiaro cosa sia di competenza dello Stato e cosa degli enti locali, né chi debba monitorare cosa, e non si capisce come legare il monitoraggio all’attuazione».

In definitiva, come sostengono gli autori dell’analisi pubblicata da Scienza in Rete, il Piano italiano di adattamento ai cambiamenti climatici, sebbene fornisca un quadro affidabile degli impatti che il riscaldamento globale avrà sul nostro territorio, è carente sugli aspetti cruciali per farne uno strumento operativo: chiarire obiettivi e vantaggi degli interventi proposti, stabilire chi deve realizzarli e con quali risorse e tempistiche, e quali indicatori usare per misurare i progressi compiuti.

Un buon piano di contrasto alla crisi climatica dovrebbe inoltre privilegiare le azioni di adattamento utili non solo per aumentare la resilienza di comunità e territori, ma anche per ridurre le emissioni di gas serra e preservare la capacità degli ecosistemi di assorbire CO2, così da evitare l’ulteriore aumento delle temperature del pianeta. È infatti evidente che nessun ecosistema o popolazione potrà adattarsi a temperature sempre più elevate. Un esempio è un impiego più sostenibile del suolo: impedire il disboscamento e la cementificazione non solo consentirebbe di ridurre l’impatto distruttivo di frane e alluvioni, ma anche di contribuire alla mitigazione impedendo l’immissione di altri gas serra in atmosfera. 

I prossimi passi

Tutti gli osservatori concordano sul fatto che, affinché il PNACC non resti un elenco di buone intenzioni, occorre completare al più presto il percorso intrapreso. Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), esprime soddisfazione per l’approvazione del PNACC, ma sottolinea che ora la vera sfida è attuarlo. Spiega Giovannini:

Per dare immediata e piena attuazione al Piano occorre che il governo crei in tempi brevissimi la struttura di governance prevista dallo stesso Piano, così da trasformare gli obiettivi stabiliti in azioni concrete. Inoltre, va ricordato che il PNACC non beneficia di specifiche risorse finanziarie: per questo, bisogna urgentemente valutare se e come gli investimenti previsti dal PNRR o quelli finanziati da altri strumenti, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possano contribuire alla realizzazione del Piano.

Un passo fondamentale sarà l’istituzione dell’Osservatorio nazionale per l’adattamento, che dovrà diventare la principale struttura di governance del Piano, con il compito di stabilire le priorità e coordinare gli interventi. Salvo imprevisti, il Piano diventerà quindi pienamente operativo entro la prima metà del 2025, dopo oltre un decennio dal suo concepimento. L’augurio è che non si perda altro tempo prezioso, perché la crisi climatica, purtroppo, non resterà a guardare.

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L’alluvione in Emilia-Romagna del maggio 2023 (immagine: Wikipedia / Nick.mon)

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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita all’Emilia-Romagna alluvionata il 30 maggio 2023 (immagine: Wikipedia / Quirinale)

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Previsione delle anomalie annuali nella temperatura media in Italia rispetto al valore medio del periodo di riferimento 1976-2005. I colori si riferiscono ai diversi scenari climatici: in rosso lo scenario peggiore, in verde quello più favorevole, possibile con una drastica riduzione nelle emissioni globali di gas serra (fonte: Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, pagina 26)

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Numero di eventi alluvionali e di allagamento in area urbana (2000-2018) (fonte: SNPA, XV Rapporto sulla Qualità dell’ambiente urbano, Edizione 2019, Capitolo 2, Suolo e territorio, pagina 63)