Nella lunga storia dell’umanità, migrare è sempre stato un modo per sopravvivere. Ogni volta che le risorse finivano perché sfruttate troppo in fretta (la scarsa lungimiranza ci accompagna da sempre, come racconta Jared Diamond nel libro Collasso: come le società scelgono di morire o vivere), bastava spostarsi un po’ più in là, verso nuove terre da conquistare. Oggi che però sul pianeta non restano terre inesplorate, c’è già chi alza lo sguardo verso lo spazio, in cerca di un altro pianeta su cui trovare rifugio se la crisi climatica e ambientale si aggravasse al punto da rendere la Terra inabitabile.
Già nel 2006, Michael Griffin, all’epoca amministratore della NASA, aveva affermato che «una specie legata a un solo pianeta, nel lungo periodo, non sopravvive». Il celebre cosmologo Stephen Hawking si era spinto oltre e aveva stimato che, in termini probabilistici, restano non più di mille anni prima che qualche cataclisma metta la parola fine alla storia umana. Se non vogliamo rischiare di estinguerci, avvertì Hawking, occorre sviluppare le tecnologie necessarie per migrare su altri sistemi planetari.
Il «piano B» di Elon Musk
Negli ultimi anni l’idea che occorra prepararsi a lasciare la Terra è stata abbracciata da Elon Musk, il visionario imprenditore americano che nel 2002 ha fondato l’azienda spaziale privata SpaceX con lo scopo di colonizzare Marte. Secondo Musk abbiamo solo due possibilità: «restare sulla Terra per sempre andando incontro a un’estinzione inevitabile, oppure allargare i nostri confini e spostarci altrove, diventando una civiltà multiplanetaria». L’ambizioso obiettivo di SpaceX è compiere il primo passo, portando il primo gruppo di coloni sul pianeta rosso, Marte.
Realtà o fantascienza? Sebbene negli ultimi anni SpaceX abbia compiuto enormi progressi nello sviluppo di tecnologie aerospaziali, restano ancora molti ostacoli da superare prima di intraprendere un viaggio verso Marte. Inoltre, anche se un giorno diventasse possibile raggiungere il pianeta rosso, viverci stabilmente sarebbe tutta un’altra storia. La gran parte degli esperti dubita che Marte si possa considerare un’alternativa alla Terra. E l’idea di un pianeta B su cui fuggire lasciandoci alle spalle i danni ambientali che abbiamo causato, come immaginato nel film Interstellar, rischia di rivelarsi solo una pericolosa illusione.
I rischi di un viaggio così lungo
Da una parte, la conquista di Marte, il pianeta a noi più vicino, è già cominciata con l’invio di sonde e satelliti. Ma la prima missione umana non è ancora dietro l’angolo. Nel 2016 Musk aveva annunciato il primo viaggio senza equipaggio nel 2022, mentre gli astronauti avrebbero messo piede sul pianeta rosso due anni dopo. Tuttavia, la grande astronave Starship che dovrà portarli lassù finora ha fatto solo qualche test di lancio, senza mai spingersi oltre l’atmosfera terrestre. Così come il gigantesco razzo con cui dovrà lasciare la Terra, Super Heavy, non si è mai staccato dalla rampa di lancio.
Quando tutto sarà pronto per il decollo, Starship dovrà affrontare un viaggio lungo e rischioso, tant’è che finora oltre metà delle missioni spaziali verso Marte sono fallite. Se il tempo per arrivare sulla Luna si calcola in ore o in giorni, raggiungere Marte richiede diversi mesi: almeno 6-8 mesi sfruttando il momento migliore per il lancio, cioè l’allineamento più favorevole con la Terra. Un viaggio del genere presenta molte insidie. Di fronte a qualsiasi emergenza gli astronauti dovranno infatti cavarsela da soli, perché non si potranno inviare né medici né pezzi di ricambio. Persino comunicare con la Terra diventerà sempre più difficile: all’aumentare della distanza aumenta anche l’attesa per ricevere una risposta, fino a 40 minuti in prossimità del pianeta rosso.
Si teme infine che gli astronauti possano giungere su Marte in precarie condizioni fisiche: con le ossa fragili per la prolungata assenza di gravità, la vista indebolita dalla pressione esercitata sui bulbi oculari per l’accumulo di fluidi nel cervello e il rischio di sviluppare tumori a causa della prolungata esposizione alla radiazione dei raggi cosmici. Senza contare possibili problemi psicologici dovuti al prolungato isolamento e alla lontananza dalla Terra.
I problemi di un clima ostile
Ma se pure il viaggio avesse successo, la successiva colonizzazione sarebbe un’impresa ancora più ardua. Un conto è arrivare, un altro restare. Il clima marziano è così inospitale che persino il più convinto dei coloni potrebbe ben presto rimpiangere il riscaldamento globale che affliggeva la Terra. Le temperature sono molto basse e possono scendere fino a 140 °C sotto zero. L’atmosfera è composta per il 96% di diossido di carbonio (CO2), perciò è irrespirabile. Si dovrà produrre ossigeno per elettrolisi a partire dall’acqua ghiacciata presente nel sottosuolo marziano, con cui riempire le bombole delle tute spaziali e i sistemi di aereazione degli ambienti chiusi.
Come se non bastasse, Marte non ha un campo magnetico sufficiente a fare da scudo alle particelle cosmiche ad alta energia provenienti dal Sole e dallo spazio, in grado di danneggiare sia il corpo umano sia i dispositivi elettronici. Infine, poiché la gravità è circa un terzo quella terrestre, sulla superficie marziana possono facilmente sollevarsi gigantesche tempeste di sabbia, che arrivano a coprire l’intero pianeta. Un vero flagello considerato che la polvere marziana è estremamente fine, abrasiva e velenosa. Senza adeguate protezioni, un essere umano non potrebbe sopravvivere su Marte per più di un minuto.
Terraformare un altro pianeta
Raggiungere l’autosufficienza per sopravvivere in un ambiente così ostile non è uno scherzo. I pionieri dei primi avamposti marziani dovranno riuscire a produrre abbastanza cibo in speciali serre idroponiche, perché il suolo marziano non è coltivabile, rinunciando ovviamente a carne e pesce. Dovranno inoltre trovare il modo di estrarre dal sottosuolo le risorse e le materie prime di cui avranno bisogno: dall’acqua potabile ai materiali da costruzione. In pratica, i primi coloni dovranno diventare vegetariani, produrre energia sfruttando fonti rinnovabili (il vento e il radiazione solare) e riciclare ogni materiale senza sprecare nulla: esattamente quel dovremmo imparare a fare anche qui sulla Terra per vivere in modo più sostenibile.
Ma se in futuro volessimo davvero trasferirci in massa su Marte, dovremmo prima renderlo abitabile, modificando il clima marziano per farlo diventare più simile a quello della Terra. Si tratterebbe di immettere nell’atmosfera grandi quantità di CO2 e altri gas serra che si trovano nel suolo marziano, alzando così le temperature e liberando l’acqua intrappolata in forma solida nelle calotte polari. A quel punto si potrebbero coltivare le piante per arricchire di ossigeno l’atmosfera e renderla respirabile.
Questo processo è chiamato terraforming, ma per il momento non è alla nostra portata: la NASA ha chiarito che terraformare Marte va ben al di là delle nostre attuali capacità tecnologiche. E anche se un giorno diventasse possibile, servirà molta pazienza: gli esperti calcolano che terraformare Marte richiederebbe almeno centomila anni. Un tempo troppo lungo affinché la colonizzazione di Marte possa essere considerata una via di fuga ai nostri guai ambientali, destinati a mettere alla prova le capacità umane di adattamento già nei prossimi decenni.
Un lusso per poche persone ricche
Sugli altri corpi celesti abbordabili del Sistema solare, come il pianeta Venere, o i satelliti Europa o Titano, le condizioni ambientali sono ancora peggiori. Perciò non resterebbe che migrare verso altri sistemi planetari. Sono stati scoperti centinaia di pianeta extrasolari, forse qualcuno è abitabile. Ma bisognerebbe mettere in conto un viaggio destinato a durare migliaia di anni, al momento impraticabile. E di certo non si potrebbe imbarcare l’umanità intera, come del resto non potrebbe avvenire nemmeno per Marte e si dovrebbe perciò stabilire chi parte e chi resta. Musk aveva stimato che un biglietto per il pianeta rosso potrebbe costare circa 100 000 dollari: non certo alla portata di chiunque, in un mondo in cui almeno 700 milioni di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno.
La verità è che, almeno per questo secolo, l’utopia di colonizzare un pianeta di riserva dove trasferirci per sfuggire ai guai ambientali che abbiamo creato, resterà confinata nella fantascienza. L’unica speranza concreta per l’umanità è cambiare nel profondo il nostro rapporto con l’ambiente e imparare a vivere nei limiti dell’unico pianeta che abbiamo, la Terra. È questa l’impresa che ci attende.
Nel settembre 2001 il Telescopio Spaziale Hubble catturò le immagini di una imponente tempesta di sabbia che coprì l’intera superficie marziana (immagine: NASA/JPL-Caltech/Hubble Space Telescope)