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Quando l’intuito sbaglia: i paradossi matematici

Alberghi con un numero infinito di stanze, sfere che si sdoppiano, corvi neri e rose rosse, triangoli che forse non lo sono e tartarughe più veloci di quanto sembrano. Facciamo un viaggio alla scoperta delle intuizioni che ci portano fuori strada. Prima che la matematica le riporti in carreggiata
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Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges ha avanzato una volta la teoria secondo cui i paradossi sono “interstizi di assurdità” inseriti nella realtà per indicarci che è solo un sogno. Se così fosse, gli indizi sarebbero ovunque: siamo circondati da casi paradossali. La matematica è un’eccezione, forse l’unica: non ammette contraddizioni al suo interno. Se in uno stesso sistema di assiomi due proposizioni sono incompatibili, almeno una delle due dev'essere falsa. Eppure anche in matematica si parla di paradossi. E, a essere precisi, non del tutto a sproposito: se nel linguaggio comune l’aggettivo “paradossale” è diventato quasi sinonimo di “contraddittorio”, l’etimologia è diversa. Il termine viene infatti dalle parole greche παρά (contro) e δόξα (opinione): un paradosso è cioè un’affermazione contraria al senso comune. E proprio questo sono i paradossi matematici: affermazioni o situazioni del tutto logiche e coerenti ma antintuitive. Ecco alcuni dei più famosi.  

Come si gestisce un albergo infinito?

“In un paese lontano sorge un albergo con infinite stanze, progressivamente numerate. Le camere sono tutte occupate quando una sera, dopo un lungo viaggio, un forestiero si rivolge alla reception per domandare una sistemazione riservata. Per soddisfare la richiesta, l’albergatore adotta un astuto stratagemma: telefonando nelle stanze, domanda a ogni ospite la cortesia di prendere alloggio nella stanza accanto. Chi occupava la stanza n. 1 andrà nella n. 2, che nel frattempo si sarà liberata dall’ospite precedente, il quale si è spostato nella n. 3, adesso libera, e così via. La stanza n. 1 è dunque adesso disponibile, pronta a ospitare il nuovo arrivato”. L’albergo infinito è stato ideato dal matematico tedesco David Hilbert, che arrivava a esiti ancora più sorprendenti: se anche una sera arrivassero infiniti forestieri, ci sarebbe posto per tutti. Basterebbe spostare ogni ospite nella stanza che ha il numero doppio della sua: chi occupava la n. 1 andrà nella n. 2, chi occupava la n. 2 nella n. 4 e così via. Ognuno di loro avrà una stanza, e tutte le stanze dispari saranno libere per i nuovi arrivati. 1 → 2 2 → 4 3 → 6 ... n → 2n In pratica, in termini matematici, c’è una corrispondenza biunivoca fra i numeri naturali e i numeri pari, cioè fra un insieme e un suo sottoinsieme proprio, il che sembra assurdo. Ma ci sembra assurdo solo perché siamo abituati agli insiemi finiti, dove questo è impossibile: due insiemi finiti si possono mettere in corrispondenza biunivoca se e solo se hanno lo stesso numero di elementi. Negli insiemi infiniti le cose vanno diversamente, come aveva capito già Galileo quando evidenziava le «difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno agl’infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate».
In questo TED-Ed di Jeff Dekovsky trovi una versione più generale del paradosso dell’albergo infinito:
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È possibile moltiplicare le pepite d’oro?

Nel 1924 i matematici polacchi Stefan Banach e Alfred Tarski hanno pubblicato uno dei risultati più sconcertanti della matematica: partendo da una palla (cioè una sfera piena) di raggio 1, è possibile scomporla in 5 sottoinsiemi disgiunti in modo tale che, rimontati con movimenti rigidi, quindi senza deformazioni, gli stessi 5 pezzi danno luogo a due palle, ognuna grande come quella di partenza (la scomposizione è possibile anche in altri modi, con un numero maggiore di pezzi ma non minore).
Il paradosso di Banach-Tarski. (immagine: wikipedia)
Sembra un miracolo! Il problema sta nel concetto di misura; nei casi semplici è in accordo con il senso comune: la misura di un segmento è la sua lunghezza, un punto ha misura nulla e così anche un numero finito di punti. È meno intuitivo, ma si può dimostrare, che anche l’insieme composto da tutti i numeri razionali ha misura nulla. Si possono poi concepire insiemi “patologici” che non sono misurabili. Anche solo descriverli sarebbe arduo, ma esistono. Ed esistono anche in tre dimensioni (dove la misura di un insieme è il suo volume). I 5 pezzi in cui si scompone la palla di Banach-Tarski sono appunto insiemi non misurabili. E non poteva essere altrimenti, dato che i movimenti rigidi (cioè rotazioni e traslazioni) conservano le misure: se si ruota e si trasla un solido il suo volume non cambia. Quando però gli insiemi non sono misurabili, allora non ha senso parlare di misure e quindi neanche della loro conservazione. Quello di Banach-Tarski ci sembra un paradosso perché nella realtà fisica tutti gli insiemi sono misurabili. Ed è per questo che la duplicazione della palla vale solo in matematica: le pepite d’oro non si possono moltiplicare.  

Tutti i corvi sono neri?

Questo è un paradosso a cavallo fra logica e matematica, ma ha le stesse caratteristiche di quelli visti finora: non presenta contraddizioni se non con l’intuito. Possiamo dire che tutti i corvi sono neri? Istintivamente la risposta è sì, perché non abbiamo mai visto un corvo di un altro colore. Ma non ne abbiamo la certezza matematica, perché non abbiamo visto tutti i corvi del mondo: a rigor di termini, possiamo dire solo che “molto probabilmente” tutti i corvi sono neri. Però, dato che i corvi sono in numero finito, ogni volta che vediamo un corvo nero questa probabilità aumenta leggermente: si riduce di un’unità il rischio che ci sia un corvo di un altro colore. Ora, da un punto di vista puramente logico, la frase «tutti i corvi sono neri» è equivalente a quest’altra: «Se qualcosa non è nero, allora non è un corvo». Infatti, se ci fosse un corvo di un altro colore, la prima frase sarebbe falsa, ma lo sarebbe anche la seconda, perché ci sarebbe qualcosa di non nero che però è un corvo. Se invece tutti i corvi sono neri, la prima frase è vera ma anche la seconda lo è, perché fra le cose di un altro colore non ci sono corvi. Quindi le due frasi sono equivalenti nel senso che ognuna delle due è vera se e solo se anche l’altra lo è. Anche la seconda frase non si può considerare rigorosamente vera, perché non abbiamo visto tutte le cose non nere del mondo. Però, con il ragionamento precedente, ogni volta che vediamo qualcosa di non nero aumenta la probabilità che la frase sia vera, perché eliminiamo la possibilità che quella particolare cosa non nera sia un corvo. Quindi, se vediamo una rosa rossa, questo aumenta la probabilità che tutte le cose non nere non sono corvi. E quindi aumenta anche la probabilità che sia vera la frase equivalente, cioè che tutti i corvi sono neri.
Un corvo nero e una rosa rossa. Entrambi aumentano la probabilità che tutti i corvi siano neri (immagini: wikipedia)
Questa conclusione ci appare paradossale perché non vediamo a intuito un legame fra una rosa rossa e un corvo nero. Ma è vera, anche se la probabilità aumenta di pochissimo: precisamente di un’unità sul totale di tutte le cose non nere del mondo, che sono un numero enorme (anche se finito). E anche per questo non ce ne accorgiamo.
 Cliccando qui trovi una spiegazione dettagliata del paradosso dei corvi (in inglese).
 

Da dove viene il quadratino bianco?

Il paradosso di Curry, ideato nel 1953 dall’illusionista americano Paul Curry, è uno dei più famosi paradossi geometrici, in cui a indurci in errore non è l’intuito logico ma quello visivo. Guardando nella figura i triangoli A e B viene naturale la domanda: da dove viene il quadratino bianco? 

 

Il paradosso di Curry (immagine: wikipedia)
I due triangoli hanno la stessa base e la stessa altezza, e i pezzi di cui sono composti sono gli stessi. Cosa è successo? Dove non ci aiuta l’occhio può aiutarci la matematica. Il rapporto fra le lunghezze dei cateti è diverso nei due triangoli: è 8:3 nel triangolo rosso e 5:2 nel triangolo blu. Perciò la pendenza delle ipotenuse non è la stessa: nel triangolo A, nel punto di incontro, si piegano leggermente verso l’interno, e nel triangolo B verso l’esterno. Cioè i triangoli A e B non sono triangoli ma quadrilateri (concavo A, convesso B), e l’area di B è maggiore di quella di A: la differenza fra le aree è pari all’area del quadratino bianco. Forse a prima vista non ci accorgiamo dell’errore perché siamo portati istintivamente a cercare nelle figure la regolarità, e vediamo un triangolo anche quando non lo è. Tanto è vero che a ideare il paradosso non è stato un matematico ma un illusionista.
Clicca qui per vedere una spiegazione dettagliata del paradosso di Curry (in inglese). In questo video, invece, è illustrata una sua variante, chiamata paradosso di Matsuyama, che puoi facilmente replicare a casa:

 

Ma alla fine, Achille la raggiunge quella maledetta tartaruga?

Questo è il più famoso paradosso matematico e uno dei più antichi in assoluto: è stato formulato dal filosofo Zenone di Elea nel Quinto secolo avanti Cristo. Zenone immagina una gara di corsa fra Achille, soprannominato “pie’ veloce”, e una tartaruga. Achille corre a una velocità pari a 10 volte quella della tartaruga (un valore molto basso per un pie’ veloce, ma comodo per la formulazione del paradosso), ma la tartaruga ha un vantaggio di 10 metri. Chi vince la gara? Achille, sembra ovvio. Ma Zenone argomenta: Achille in poco tempo recupera i 10 metri di svantaggio, ma nel frattempo la tartaruga ha percorso 1 metro. Achille recupera subito anche quello, ma intanto la tartaruga ha percorso 10 centimetri, e così via, all’infinito: morale, Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Con questo e altri paradossi Zenone voleva dimostrare (coerentemente con le teorie del suo maestro Parmenide) che il movimento in realtà è illusorio.
 Achille e la tartaruga (immagine: Britannica)
Il paradosso ha dato da pensare ai filosofi per secoli, ma la soluzione è stata trovata dai matematici. In formule, se x è il punto in cui avviene il sorpasso, dovrà essere x = 10 + 1 + 1/10 + 1/100 + 1/1000 + … È una somma di infiniti addendi, e i greci non avevano dimestichezza con il concetto di infinito. Solo con il calcolo infinitesimale, sviluppato a partire dal Diciassettesimo secolo, i matematici hanno dimostrato rigorosamente che la somma di infiniti addendi può essere (a certe condizioni) un numero finito. In questo caso è un numero periodico, quindi con infinite cifre decimali (ognuna delle quali corrisponde a uno degli addendi), minore di 12. Corrisponde dunque a un punto ben preciso sulla traiettoria di gara, che dista poco più di 11 metri dalla linea di partenza.
Il punto in cui Achille supera la tartaruga
Da quel punto in poi, il vantaggio di Achille aumenterà sempre più, come appare intuitivo (l’unico modo per far vincere la tartaruga sarebbe posizionare il traguardo prima di quel punto). Questo dunque è in un certo senso un paradosso al contrario: il senso comune indica subito la risposta giusta, ma un ragionamento ingannevole sembra contraddirlo.
Vuoi saperne di più sugli altri paradossi di Zenone? Qui trovi il paradosso della dicotomia e qui il paradosso della freccia (in inglese).
 
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