I protagonisti del film, Cooper e Murph, davanti al drone indiano: sulle ali si intravedono i pannelli solari che ne alimentano il motore (immagine: http://turntherightcorner.com/).
Questa scena avviene sulla superficie terrestre, dove sappiamo che la potenza solare massima è dell’ordine di 1 kW/m².
Il drone del film peserà almeno 50 kg e ha sulle ali non più di 3 m² di pannelli solari; anche con un’efficienza del 100%, questi pannelli produrrebbero (a mezzogiorno, in assenza di nubi) soltanto 3 kW, meno della potenza media del motore di uno scooter.
Pare semplicemente impossibile che un drone del genere voli per anni – anche di notte, anche durante le tempeste di sabbia – con una fonte di energia tanto modesta.
Non proprio il massimo per le ambizioni di credibilità scientifica del film.
Si può attraversare un tunnel gravitazionale?
Come annunciato dal titolo, nel film gli esseri umani lasciano il Sistema solare e raggiungono stelle lontane, addirittura in un’altra galassia. Questo viaggio è impossibile con le tecnologie aerospaziali di cui disponiamo oggi; e se pure inventassimo nuovi fantastici sistemi di propulsione, richiederebbe tempi lunghissimi.
Ecco perché c’è bisogno della scorciatoia cosmica rappresentata nel film da un wormhole, una sorta di tunnel gravitazionale, che nel film qualche misteriosa entità ha generosamente creato e posizionato vicino a Saturno.
In origine è stato Einstein nel 1935, insieme al fisico Nathan Rosen, a concepire l'idea del wormhole (che perciò è chiamato anche «ponte di Einstein-Rosen»). Di solito lo si raffigura con disegni in cui lo spazio è ridotto a due dimensioni, come la superficie di un foglio.
Rappresentazione di un wormhole per uno spazio-tempo a due dimensioni (immagine: Bbc).
Per andare dalla Terra a una stella lontana stando sul piano del foglio, il percorso sarebbe lunghissimo; ma può diventare molto breve se esiste un «tunnel» che collega tra loro due porzioni della superficie.
Il film introduce il concetto di wormhole con quest'analogia bidimensionale, per poi mostrare − con grande efficacia grafica − che nello spazio reale a tre dimensioni il «buco d’ingresso» di un wormhole in realtà è una sfera (e il condotto del tunnel, di conseguenza, avrebbe quattro dimensioni).
L'ingresso sferico del wormhole che si presenta agli occhi dell'equipaggio dell'astronave Endurance (immagine: rightbrane.wordpress.com)
Tutto questo è scientificamente corretto, seppure molto ipotetico. Certo ci si aspetterebbe che l’intensa gravità del wormhole avesse forti effetti su Saturno, distruggendone quanto meno gli anelli. E non esiste nessuna prova del fatto che sia possibile attraversare fisicamente un wormhole, quand’anche esistesse.
Nel film comunque dodici eroici astronauti hanno già attraversato il wormhole, avventurandosi alla ricerca di possibili pianeti da colonizzare, e sono riusciti a inviare alla base terrestre informazioni sulle loro scoperte. Possibile?
Dai loro nuovi pianeti, gli esploratori devono aver usato antenne super-potenti per inviare segnali verso il wormhole; e soprattutto quei segnali, una volta attraversato a ritroso il wormhole, devono aver puntato – miracolosamente – proprio verso la Terra. Uno scenario, questo, che va ben oltre il limite della plausibilità scientifica.
Come scorre il tempo vicino a un buco nero?
Il primo pianeta extrasolare visitato dai protagonisti del film, ricoperto d’acqua, è in orbita intorno a Gargantua, un buco nero. Il pianeta dunque si trova in una regione dello spazio-tempo deformata da un campo gravitazionale intensissimo, perciò è un luogo in cui − per chi osserva da lontano − il tempo scorre molto lentamente.
Uno spettacolare anello di gas contorna Gargantua, il buco nero intorno a cui orbita il pianeta ricoperto d'acqua visitato dai protagonisti del film (immagine: http://timsfilmreviews.com/)
Al contrario, per gli astronauti che visitano il pianeta il tempo sull’astronave-madre scorre velocemente; infatti essa li attende lontano dal buco nero, dove la gravità è molto minore. Così, quando si ricongiungono all’astronave-madre, dopo aver passato poche ore sul pianeta, scoprono che il loro collega li ha attesi per vent’anni.
In questo non c’è nulla di paradossale. Nel caso dei celebri gemelli della relatività speciale si ha un apparente paradosso perché, per ciascun gemello, dovrebbe essere il tempo dell’altro gemello a rallentare. La dilatazione del tempo della relatività generale, invece, è un effetto gravitazionale e non è simmetrico per i diversi osservatori.
La dilatazione gravitazionale del tempo è un fenomeno reale e del tutto distinto dalla dilatazione del tempo prevista dalla relatività speciale per chi viaggia a velocità altissima (nel film, peraltro, nulla si dice sulla velocità a cui viaggiano le astronavi, né sul loro sistema di propulsione).
Sperimentiamo la sua validità ogni giorno, quando per i nostri spostamenti ci affidiamo a navigatori satellitari che dipendono da questo effetto.
I satelliti della «costellazione GPS», infatti, orbitano a 20 000 km dalla Terra; a quella distanza la gravità è minore che sulla superficie del nostro pianeta, perciò gli orologi dei satelliti battono il tempo più velocemente rispetto ai nostri.
La geolocalizzazione GPS, che si basa su misure di tempo (il ritardo tra i segnali ricevuti da satelliti diversi) funziona proprio perché quelle misure vengono corrette come indicato dalla teoria generale di Einstein.
Che cosa provoca le enormi onde sul pianeta dell’acqua?
La gravità del buco nero Gargantua si manifesta nelle gigantesche onde che spazzano il pianeta dell’acqua. Si tratta di maree come quelle che osserviamo due volte al giorno sulla Terra, dovute al fatto che la forza di gravità varia come l’inverso del quadrato della distanza.
Dal lato del globo che si affaccia verso la Luna e il Sole, la loro attrazione ha il valore massimo, mentre dal lato opposto ha il valore minimo. Perciò gli oceani formano due rigonfiamenti – le alte maree – sui lati opposti del globo, e la rotazione del pianeta ci fa attraversare ciascun rigonfiamento ogni 24 ore.
Uno spaventoso muro d'acqua sta per investire gli astronauti e TARS, il robot in dotazione alla Endurance (immagine: http://scriptshadow.net/)
Sul pianeta dell’acqua di Interstellar il gradiente di gravità dovuto al buco nero è molto maggiore che sulla Terra, perciò le maree hanno ampiezza enorme e producono onde-killer.
L’esistenza di un pianeta così vicino a un buco nero è poco probabile (quelle stesse forze di marea non avrebbero già dovuto disintegrarlo? E quanto può sopravvivere un pianeta del genere, prima di essere ingoiato dal buco nero?). Ma se si suppone che esista, i fenomeni descritti nel film sono plausibili.
Anche se il pianeta dell’acqua di Interstellar è esposto a una gravità molto intensa, gli astronauti sulla sua superficie camminano normalmente. Non dovrebbero invece essere pesantissimi? La risposta è no, perché il pianeta è in orbita, cioè in continua «caduta libera» verso il buco nero.
La situazione è analoga a quella della nostra Stazione spaziale internazionale: a 400 km di quota la forza di gravità è ridotta soltanto del 10% rispetto al valore sulla superficie terrestre. Ma nella Stazione gli astronauti non hanno peso, perché insieme alla Stazione stanno continuamente cadendo verso la Terra.
Sul pianeta dell’acqua dunque si cammina normalmente, perché si risente soltanto della gravità dovuta alla massa del pianeta (che la sceneggiatura del film, per non aggiungere complicazioni, postula sia simile a quella terrestre).
Si può sfruttare il terzo principio della dinamica senza carburante?
La fisica classica, sotto forma del principio di azione e reazione, fa da deus ex machina nella scena in cui la astronauta Brand, ai comandi dell’astronave-madre, deve trovare il modo per sfuggire al buco nero a cui si è avvicinata.
Immaginate di risalire in barca a motore un fiume che scorre verso una cascata: se finisce la benzina, come si può evitare di finire nell’abisso? Bisognerà lanciare con gran forza verso la cascata tutto ciò che si trova nella barca, sperando che il rinculo ci spinga verso monte.
In modo analogo l’astronave-madre, finito il combustibile, per non essere ingoiata dal buco nero ha bisogno di una spinta verso l’esterno; e la ottiene espellendo verso il buco nero la navicella con a bordo il protagonista Cooper.
La salvezza sembra già improbabile nel caso della nostra barca, ma sarebbe fisicamente impossibile nel caso di Interstellar. L’espulsione della navicella ad altissima velocità, infatti, richiede energia (che nel caso della barca è fornita dai muscoli del lanciatore). Ma il combustibile è terminato: da dove viene allora nel film l’indispensabile energia? Forse gli sceneggiatori, abbagliati dal rimando erudito al terzo principio, non si sono neppure posti il problema.
Che cosa c’è dentro un buco nero?
Abbiamo visto che alcuni aspetti della storia sono discutibili dal punto di vista scientifico. Ma quando si arriva alla parte finale del film, tutto diventa fanta- e di -scienza non resta niente.
Un buco nero è nero perché nulla, neppure la luce che contiene, può sfuggire alla sua attrazione gravitazionale. Per sapere che cosa c’è dentro un buco nero, dunque, bisogna andare a controllare di persona.
Ma l’ingresso dell’astronauta di Interstellar nel buco nero è pura fantasia. Durante la caduta infatti la gravità locale aumenta continuamente, e le già citate forze di marea distruggerebbero qualunque cosa: non c’è materiale in grado di resistere.
Se ci si tuffa di testa in un buco nero, la forza che attrae la testa verso la singolarità diventa, prima o poi, molto più intensa di quella che attrae i piedi. La gravità così stiracchia il corpo fino a disintegrarlo con quella che in inglese, icasticamente, si chiama spaghettification.
L’unico astronauta che può visitare l'interno di un buco nero, in altre parole, è un astronauta morto.
Si può influenzare il passato viaggiando nel tempo?
No: la dilatazione del tempo prevista da Einstein rende certamente possibili viaggi nel futuro, come avviene in Interstellar con l’escursione ad alta gravità sul pianeta dell’acqua (o, nell’ambito della relatività speciale, con il viaggio super-veloce del paradosso dei gemelli).
Ma nessuna teoria scientifica degna di questo nome contempla la possibilità di viaggi nel passato.
Alcuni fisici mattacchioni hanno provato a immaginare complicati schemi teorici che renderebbero un viaggio nel passato compatibile con le leggi note della natura.
Rimane però insormontabile la semplice obiezione di un vecchio paradosso logico: se riuscissi a viaggiare nel passato potrei uccidere mia mamma da bambina, e avrei così la certezza di non essere mai nato…
Una descrizione delle basi teoriche della trama del film si può trovare nel libro The Science of Interstellar dell’astrofisico Kip Thorne, che è stato il principale consulente scientifico del regista.
Chi è interessato ai fondamenti della relatività generale troverà un’introduzione − meno spettacolare di Interstellar, ma più ortodossa e comprensibile − nel nuovo programma multimediale RelativitApp edito da Zanichelli.