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A cosa servono i rapporti dell'IPCC

È appena uscita la seconda parte del Sesto Rapporto dell’IPCC e rappresenta un grido d’allarme rivolto ai governi senza precedenti

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«I cambiamenti climatici causati dalle attività umane, inclusi eventi estremi sempre più intensi e frequenti, hanno già avuto impatti molto negativi, con perdite e danni alla natura e alle persone». E ancora: «In ogni regione del pianeta le comunità e gli ecosistemi più vulnerabili sono colpiti in modo sproporzionato. L’intensificarsi delle condizioni climatiche estreme ha già portato ad alcuni effetti irreversibili perché i sistemi naturali e umani sono spinti oltre la loro capacità di adattamento». Suona come un grido d’allarme rivolto ai governi l’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite che da oltre trent’anni esamina le conoscenze sul clima.

Questo dossier, presentato al mondo il 28 febbraio 2022, valuta gli impatti dei cambiamenti climatici, la vulnerabilità dei sistemi naturali e socio-economici, e le possibili opzioni di adattamento. Mette in evidenza il ruolo della giustizia sociale, l’importanza delle conoscenze locali e indigene, gli stretti legami tra la perdita di biodiversità e la crisi climatica. Inoltre, una volta di più, sebbene con il rigore delle valutazioni scientifiche, ha cercato di attirare l’attenzione dei governi sulle minacce di un rapido riscaldamento del pianeta. «Di rapporti ne ho visti tanti», ha commentato António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, «ma nessuno come questo. È un atlante della sofferenza umana e un atto d’accusa schiacciante per il fallimento dei leader del mondo nell’affrontare la crisi climatica».

Il Sesto Rapporto dell’IPCC

Questo studio è in realtà la seconda parte del cosiddetto Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (Sixth Assessment Report, o AR6). I rapporti dell’IPCC, infatti, sono così voluminosi che vengono pubblicati in tre parti, a cui segue una sintesi destinata ai governi affinché adottino le misure necessarie a contenere il riscaldamento globale.

La prima parte era stata pubblicata nell’agosto del 2021 e illustrava gli aspetti scientifici dei cambiamenti climatici. Oltre a ribadire che l’influenza umana sul riscaldamento dell’atmosfera, dell’oceano e delle terre emerse è «inequivocabile», avvertiva che «i cambiamenti climatici sono diffusi, rapidi e si stanno intensificando».

La terza parte è invece attesa per aprile 2022 e si occuperà delle opzioni di mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè delle azioni per limitare, contrastare e ridurre le emissioni dei gas serra. La sintesi finale sarà infine pubblicata a ottobre, in tempo per il prossimo vertice mondiale sul clima (COP27), che si svolgerà a fine anno a Sharm el-Sheik, in Egitto.

Nel video What is IPCC's Sixth Assessment Report? che vedi di seguito vengono spiegati per punti gli obiettivi del sesto rapporto dell’IPCC:

La nascita dell’IPCC

I rapporti dell’IPCC sono sempre molto attesi perché, oltre ad aggiornare e a rendere sempre più solida la scienza del clima, hanno avuto anche il grande merito di cambiare la percezione rispetto alla gravità del riscaldamento globale, contribuendo a portare la crisi climatica al centro dell’agenda mediatica e politica.

Già nel primo rapporto, pubblicato nel 1990, l’IPCC aveva chiarito come le attività umane avessero un ruolo cruciale nell’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra e nel conseguente aumento delle temperature del pianeta. Quelle conclusioni portarono all’istituzione dell’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, entrata in vigore nel 1994 e ratificata da tutti i Paesi del mondo, che impegna i governi a trovare soluzioni condivise per ridurre le emissioni di gas serra.

L’IPCC era stato istituito appena due anni prima, nel 1988, dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e dal Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP). Da allora ha il mandato di esaminare la ricerca sul clima prodotta in tutto il mondo e farne un compendio periodico destinato ai governi. Lo scopo è «fornire al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti ambientali e socio-economici».

I monumentali rapporti dell’IPCC sono stati pubblicati a distanza di almeno cinque anni l’uno dall’altro (1990, 1995, 2001, 2007, 2013-2014, 2021-2022). Nel loro insieme restituiscono l’evolversi delle nostre conoscenze sul clima, basate su modelli di previsione sempre più accurati e su prove sempre più solide che indicano come il riscaldamento globale causato dalle attività umane – in primis, l’impiego di combustibili fossili, la deforestazione e la conversione dei suoli per l’agricoltura e gli allevamenti – costituisca una grave minaccia per gli ecosistemi terrestri e per l’abitabilità di molte regioni del pianeta.

Come funziona l’IPCC

Sebbene l’IPCC abbia avuto un ruolo centrale nel diffondere l’allarme sulla gravità della crisi climatica, pochi sanno davvero come funziona questa istituzione con sede a Ginevra senza eguali nel mondo della scienza. Infatti l’IPCC non fa ricerca né raccoglie dati sul clima, bensì ha il compito di esaminare e valutare tutti gli studi più recenti condotti dai climatologi di ogni parte del mondo per farne una sintesi aggiornata ed esaustiva.

L’IPCC prende in considerazione soltanto le pubblicazioni scientifiche sottoposte a peer review, il processo di revisione paritaria che impone di pubblicare solo gli articoli che abbiano superato lo scrutinio di un gruppo di esperti del settore. Questo criterio offre un buon argine contro errori e frodi scientifiche.

Si tratta di un lavoro immane perché per ogni rapporto occorre esaminare decine di migliaia di studi. A svolgerlo sono centinaia di studiosi nominati dai rispettivi governi e divisi in tre gruppi di lavoro. Tutto questo consente anche di misurare il consenso scientifico – molto elevato – sui più importanti risultati della scienza del clima, come non avviene in nessun’altra disciplina scientifica.

Per ogni rapporto, poi, vengono stilate delle sintesi destinate ai decisori politici. Queste sono soggette a un’ulteriore minuziosa revisione da parte dei governi, che partecipano alle sessioni plenarie dove vengono accettati, approvati e adottati i rapporti. Un procedimento che spesso porta a estenuanti discussioni riga per riga, se non addirittura parola per parola. E che se da un lato aumenta la credibilità politica dei rapporti dell’IPCC, dall’altro può scaturire in un eccesso di prudenza nel mettere nero su bianco le raccomandazioni considerate più scomode dai governi. Al lavoro dell’IPCC contribuiscono inoltre le principali organizzazioni internazionali, intergovernative e non governative.

In questa chiacchierata Annalisa Cherchi e Susanna Corti, ricercatrici all’ISAC-CNR di Bologna, raccontano la loro esperienza di lavoro al 6° Rapporto IPCC.

Il Climategate e il Nobel per la pace

Considerata l’importanza dei suoi rapporti nel dibattito pubblico sui cambiamenti climatici, non sorprende che gli esperti dell’IPCC siano stati vittime di attacchi feroci da parte dei negazionisti nel tentativo di screditare il loro lavoro.

Nel 2009, alla vigilia del vertice sul clima di Copenhagen (COP15), furono trafugate e diffuse numerose e-mail che rischiavano di gettare una luce sinistra su alcuni climatologi dell’IPCC. Le frasi incriminate sembravano suggerire che gli esperti coinvolti potessero avere alterato o nascosto alcuni dati sul clima, ma in realtà erano state estrapolate ad arte dal contesto e le successive indagini dimostrarono che non c’era stato alcun tentativo di manipolazione. Benché palesemente falsa, la vicenda passò alla storia come Climategate e contribuì ad avvelenare il dibattito nei giorni che precedettero il vertice di Copenhagen, che si concluse con un clamoroso fallimento.

Appena due anni prima, invece, l’impegno e il valore degli scienziati dell’IPCC erano stati riconosciuti con il premio Nobel per la pace 2007, condiviso con l’ex vicepresidente statunitense Al Gore, autore del celebre documentario Una scomoda verità, realizzato per risvegliare le coscienze sui rischi dei cambiamenti climatici. Nella motivazione del Nobel si legge: «Per l’impegno profuso nella costruzione e nella divulgazione di una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici antropogenici, e nel porre le basi per le misure che sono necessarie per contrastarli».