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Spazio e salute: andare lassù fa male?

Dai muscoli alle ossa, dalla vista al DNA, lasciare la Terra ha effetti sul corpo umano. Ecco le contromisure offerte dalla medicina aerospaziale

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Il 12 aprile 1961 il cosmonauta Yuri Gagarin entrò nella navetta Vostok e partì dal cosmodromo di Baikonur, in mezzo alla steppa dell’odierno Kazakhstan. Destinazione: l’orbita terrestre. Nessuno l’aveva mai fatto e tutto era da sperimentare. Uno dei test da effettuare a bordo riguardava qualcosa di decisamente particolare: due tubetti di pasta di carne e un tubetto di mousse al cioccolato. Si può mangiare senza l’aiuto della gravità? Si riesce a deglutire in un ambiente dove tutto fluttua oppure si rischia di morire soffocati ad ogni boccone? In base alle conoscenze dell’epoca si poteva ritenere che quel semplice pasto non lo avrebbe ucciso, ma non era possibile esserne certi. Era necessario provare. Così nei 108 minuti trascorsi fuori dall’atmosfera il cosmonauta russo affrontò, fortunatamente con successo, anche questa prova.

Grazie al coraggio di molti astronauti e all’impegno di un’infinità di scienziati, dai tempi di Gagarin la medicina aerospaziale ha compiuto passi da gigante. Di missione in missione sono state trovate risposte a domande assai più complesse, ma sono anche sorte nuove questioni da affrontare. Gli studi hanno mostrato che le conseguenze dell’ambiente spaziale sulla salute sono numerose e talvolta permanenti. Per poter pianificare missioni sempre più complesse e lontane, ma anche per le attività da svolgere intorno al nostro pianeta è fondamentale sapere cosa accade lassù al corpo umano e trovare adeguate contromisure.

Il mal di spazio

Alcuni effetti spiacevoli furono evidenti da subito. Innanzitutto molti astronauti soffrono di Sindrome da adattamento alla spazio, detta anche mal di spazio. Deriva principalmente dall’impatto della microgravità sull’apparato vestibolare, che è fondamentale per regolare l’equilibrio. Il sintomo principale è la nausea. Il primo a esserne colpito fu il cosmonauta sovietico Gherman Titov nell’agosto 1961. Fu il secondo uomo ad andare in orbita e il primo a vomitare nello spazio, un record di cui avrebbe sicuramente fatto volentieri a meno. Fra gli astronauti americani, da questo punto di vista divenne celebre Jake Garn, che nel 1985 stette malissimo durante una missione a bordo dello Shuttle. Si narra che successivamente la sua vicenda divenne una sorta di riferimento e fu persino creata scherzosamente una “Scala Garn”, in cui il livello massimo corrispondeva ai disturbi sperimentati dallo sfortunato rappresentante della NASA.

Muscoli e ossa

Mentre il mal di spazio è un fenomeno temporaneo, altre problematiche hanno conseguenze più preoccupanti. In orbita si sperimenta ad esempio un rapido decadimento fisico: nel giro di sei mesi, cioè la durata di molte missioni nella Stazione Spaziale Internazionale, si può perdere il 20% della massa muscolare e il 40% della forza. La colpa è della microgravità: fluttuare è un’esperienza affascinante ma quando ci si trova in quelle condizioni c'è meno bisogno dei muscoli. Per limitare i danni gli astronauti fanno dunque almeno un’ora e mezza di esercizio fisico al giorno. La ginnastica è un grosso aiuto, eppure non risolve del tutto il problema. In futuro un contributo potrebbe arrivare dall’abbigliamento: nel gennaio 2024 l’italiano Walter Villadei ha testato un primo prototipo di tuta spaziale chiamato EMSi che in futuro sarà in grado di contrastare l’atrofia muscolare con un’elettrostimolazione mirata.

Anche lo scheletro viene colpito dall’ambiente spaziale. La riduzione del carico meccanico provoca una perdita media di oltre l’1% della massa ossea ogni mese. Si tratta di una condizione chiamata osteopenia, che di solito è collegata all’invecchiamento. Non solo: il calcio espulso dalle ossa viene eliminato dall’apparato urinario e aumenta il rischio di sviluppare calcoli ai reni. Soluzioni? Innanzitutto esercizio e un’alimentazione speciale. Sono allo studio delle terapie che potrebbero essere d’aiuto anche per chi ha problemi di osteoporosi sulla Terra.

Da segnalare infine un effetto collaterale che per molti potrebbe essere meno spiacevole: non essendo sottoposta alla gravità, la colonna vertebrale si allunga e l’altezza può aumentare anche di 5-6 centimetri. Quando si rientra tutto però torna alla normalità nel giro di un mese e vanno messi in conto possibili dolori alla schiena e una maggiore probabilità di ernia al disco.

Questo video dell’ESA descrive le analogie degli effetti provocati dalla permanenza nello spazio e l’invecchiamento:

Cuore, cervello e vista

La microgravità influenza anche il movimento dei fluidi all’interno del nostro corpo. Senza la forza di gravità che li attira verso le gambe, il sangue e gli altri liquidi corporei tendono ad accumularsi nella parte superiore: è per questo che gli astronauti in orbita hanno il viso gonfio. Altri studi hanno mostrato che il cuore dopo lunghe permanenze nello spazio diventa più sferico e che alcune persone tornano sulla Terra con una ridotta funzione del muscolo cardiaco e delle aritmie che si attenuano con il passare del tempo.

Anche il cervello si adatta, dilatando le cavità che contengono il liquido cerebro-spinale. Fra le possibili conseguenze ci sono mal di testa e problemi alla vista. Molti astronauti non a caso sperimentano cali nella visione.

L’esposizione alle radiazioni

Nemmeno con gli occhiali sarebbe invece possibile vedere una delle minacce per la salute più pericolose: le radiazioni. Anche se navette, moduli abitativi e tutte spaziali sono schermati, la quantità di radiazioni che raggiunge gli astronauti è comunque molto superiore a quella a cui si è esposti sulla superficie del nostro pianeta, dove siamo protetti dall’atmosfera: la NASA stima che durante una missione di sei mesi nella Stazione Spaziale Internazionale si assorbano fra 80 e 160 millisievert, più o meno come fare fra 240 e 480 radiografie al torace. Questo aumenta inevitabilmente la probabilità di ammalarsi di cancro nel corso della vita, in percentuali crescenti in base all’esposizione. La tabella della NASA che segue mostra i valori della dose di radiazioni assorbita nel caso di varie missioni spaziali.

Dall’orbita terrestre fino alla Luna e a Marte

Negli ultimi decenni, le conoscenze di medicina aerospaziale hanno fatto progressi enormi grazie all’attività condotta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. L’avamposto orbitante è un laboratorio straordinario e ha ospitato un’infinità di esperimenti sulla salute umana. Fra questi c'è stato anche uno studio unico nel suo genere, che ha riguardato due gemelli. Per quasi un anno ha avuto come protagonista l’astronauta Scott Kelly e lo ha messo a confronto con il fratello Mark, rimasto sulla Terra. Anche in questo caso è stato confermato che andare nello spazio è estremamente probante. Al termine, i cambiamenti riscontrati nel fisico di Scott andavano dal suo microbioma fino al suo DNA. Nella maggior parte dei casi dopo il rientro c’è stato un graduale ripristino delle condizioni iniziali, ma non tutto è tornato esattamente come prima: dopo sei mesi, era scomparso solo il 91,3% delle variazioni individuate nell’espressione genica. Si ritiene che parte del danno al DNA sia derivato dall’esposizione alle radiazioni.

Mentre l’orbita della Terra sta diventando sempre più accessibile ai privati, anche per il turismo spaziale, per le agenzie spaziali il grande obiettivo è la creazione di avamposti prima sulla Luna e poi su Marte. Le missioni verso il Pianeta Rosso, in particolare, saranno molto lunghe ed è necessario trovare delle soluzioni per mantenere l’equipaggio in salute. Si stanno valutando seriamente anche delle ipotesi che potrebbero sembrare fantascientifiche, come l’ibernazione: permetterebbe di ridurre il consumo di cibo e acqua, di mettere gli astronauti in capsule schermate, di limitare l’impatto delle condizioni di microgravità, di evitare le conseguenze sulla tenuta psicologica delle persone a bordo di un tragitto lungo molti mesi. Ci sta pensando anche l’Agenzia Spaziale Europea. Gli scienziati sono già riusciti a indurla nei ratti e sperano di riuscire a trovare il sistema per passare agli esseri umani.

L’umanità si sta insomma ingegnando per compiere il viaggio più lungo e avventuroso della sua storia. Nel frattempo stiamo imparando molto sul corpo umano. I disturbi accusati dagli astronauti sono simili a quelli causati da molte malattie e dal naturale processo di invecchiamento. Risolvere i loro problemi significa spesso trovare soluzioni utili anche per chi rimane sulla Terra.

Per approfondire
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La Stazione Spaziale Internazionale (immagine: NASA)

spazio-salute-2
spazio-salute-3

Valutazioni optometriche a bordo della ISS (immagine: NASA)

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