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Lo strano caso delle malattie prioniche

I prioni sono la causa della BSE o morbo della mucca pazza, ma il loro studio è stato utile per capire altre malattie neurodegenerative

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Se sfogliamo i quotidiani britannici del 1986, troviamo la notizia della comparsa e della diffusione negli allevamenti bovini di una malattia dal nome curioso: il morbo della mucca pazza. Il nome è dovuto ai sintomi individuati negli esemplari colpiti: nervosismo, aggressività, scarsa coordinazione, barcollamento, cadute, tremori e prurito. Immaginate di essere un allevatore e di trovarvi davanti a un comportamento così singolare di alcuni capi del vostro bestiame: non potete far altro che pensare che le mucche siano impazzite. Il caso fa notizia soprattutto perché viene colpita una delle più fiorenti industrie inglesi, quella della produzione di carne, che esporta mangimi, capi di bestiame e carne macellata in tutto il mondo.

Grazie a una serie di analisi epidemiologiche e istologiche, i ricercatori notano una grossa somiglianza con la scrapie, un’encefalopatia che colpisce pecore e capre. Le encefalopatie sono malattie con cause, sintomi e cure diverse, ma sono tutte caratterizzate da un’ampia lesione anatomica del tessuto nervoso del cervello, che conferisce al tessuto un aspetto spugnoso. Per questo, il morbo della mucca pazza (Mad Cow Disease, in inglese) viene chiamato più correttamente encefalopatia spongiforme bovina (BSE, dall’inglese Bovine Spongiform Encephalopathy) e catalogato tra le encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE). A causare questa malattia è una strana proteina chiamata prione.

La lezione britannica: dagli ovini ai bovini, fino alle persone

Per trovare la causa della malattia bisogna risalire a diversi anni prima. Nel 1979 il primo governo di Margareth Tatcher, eletta Primo Ministro da pochi mesi, decide di allentare una serie di vincoli sulla produzione di mangimi. Due anni dopo questi vincoli vengono completamente eliminati e viene data alle aziende produttrici la libertà di decidere in autonomia quali standard adottare. È un risvolto della cosiddetta deregulation, cioè l’eliminazione di vincoli e controlli pubblici sull’iniziativa privata.

Le aziende decidono di sfruttare gli scarti di macellazione per realizzare farine animali ricche di amminoacidi. In quegli scarti ci sono anche i resti di ovini affetti da scrapie, che quindi contengono alte concentrazioni di prioni con un alto grado di infettività. Queste farine vengono poi usate per integrare i tradizionali mangimi per bovini, in modo da ottenere prodotti più nutrienti. Così, uno scarto diventa una risorsa per un’altra lavorazione, ma la libertà di azione concessa dà la possibilità alle aziende di non trattare quelle farine nel modo adeguato: per ridurre i costi, gli scarti di macellazione vengono lavorati a temperature troppo basse per neutralizzare i prioni.

In questo modo, una malattia che aveva interessato gli ovini, va a colpire i bovini. A partire dal primo caso, individuato nella contea di Surrey, a sud di Londra, l’epidemia di BSE si diffonde in tutto il Regno Unito e raggiunge il picco tra il 1992 e il 1993, quando a essere colpite sono 3 mucche ogni 1000.

Oltre al danno economico, emerge un’altra preoccupazione: la BSE è trasmissibile anche alle persone? È questa la domanda che le autorità sanitarie inglesi si pongono con una certa apprensione. Fino a quel momento la scrapie non aveva preoccupato, perché le pecore venivano allevate principalmente per la lana. I bovini, invece, rappresentavano (e rappresentano tuttora) un elemento centrale nell’alimentazione umana.

Il timore cresce e si concretizza nel 1996, quando sulla rivista scientifica The Lancet viene pubblicato un articolo dal titolo A new variant of Creutzfeldt-Jakob disease in the UK. Vengono annunciati 10 casi di una nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jacob (vCJD), un’altra encefalopatia spongiforme trasmissibile. I casi citati nell’articolo sono insoliti perché caratterizzati da un quadro clinico particolare e da una giovane età d’esordio. La vCJD rappresenta l’unico esempio di malattia prionica umana di origine zoonotica, ovvero che può essere trasmessa direttamente o indirettamente tra gli animali e l’essere umano. La trasmissione avviene tramite il consumo di organi o carni infette, in particolare quelli in cui la proteina prionica raggiunge alte concentrazioni: cervello, midollo osseo e organi linfatici.

A confermare che esista una la relazione tra BSE e vCJD è un grafico pubblicato sulla rivista scientifica Neurological Sciences. Nel grafico sono evidenziati due picchi a distanza di circa 10 anni: il primo rappresenta i casi bovini affetti da BSE, il secondo i casi umani affetti da vCJD. La correlazione tra i due gruppi appare evidente, anche se su scale decisamente diverse (decine di casi di vCJD e migliaia di casi di BSE).

Dall’inizio dell’epidemia nelle isole britanniche si sono verificati circa 190000 casi di BSE e qualche centinaio di casi nel resto d’Europa (fonte: Controllo epidemiologico BSE), a cui si aggiungono 232 casi di vCJD in tutto il mondo (fonte: Controllo epidemiologico vCJD, dati aggiornati al 2019). L’andamento dell’epidemia è stato significativamente ridotto dalla messa al bando delle farine animali dall’alimentazione dei bovini e la malattia è stata eradicata quasi totalmente nel 2017. Negli ultimi anni gli amminoacidi animali sono stati reintegrati nella zootecnia, ma a livello europeo è stato introdotto un regolamento che individua misure di controllo in tutte le fasi produttive, partendo dall’allevamento fino ad arrivare alla macellazione e all’immissione in commercio del prodotto finale, per evitare la trasmissione e la diffusione della malattia.

Fisiologia e patologia del prione

La causa comune a tutte le encefalopatie spongiformi trasmissibili è un agente infettivo non convenzionale: non è un virus, non è un batterio, bensì una proteina che si trova fisiologicamente nel sistema nervoso centrale ma che nella patologia cambia la propria forma e diventa un prione.

Prione (prion, in inglese) è l’acronimo di PRoteinaceous Infective ONly particle, ovvero particella proteica solamente infettiva. Il nome è stato coniato da Stanley Prusiner nel 1982 e vuole proprio sottolineare che l’agente infettivo è composto soltanto da una proteina che è in grado di autoreplicarsi con la sola modifica strutturale della sua versione fisiologica. La particolarità dei prioni sta, quindi, nel fatto che sono proteine in grado di compiere una replicazione, caratteristica che in genere è riservata solo ad alcuni acidi nucleici (come il DNA).

Per la scoperta e lo studio dei prioni, Prusiner vincerà il premio Nobel per la medicina nel 1997.

L’autoreplicazione avviene attraverso un meccanismo a stampo, che innesca un cambiamento conformazionale della proteina fisiologica e una sua progressiva aggregazione:

  1. Le α-eliche che caratterizzano la proteina prionica cellulare fisiologica (PrPc) si trasformano e assumono una conformazione a foglietto-β, che caratterizza la proteina prionica patologica (PrPSc, da scrapie). La primissima trasformazione avviene per via di una mutazione genetica casuale, per un errore di conformazione o dopo aver ingerito carni infette.
  1. La PrPSc interagisce con un’altra PrPC e la converte nella forma patologica PrPSc.
  1. La PrPSc si lega ad altre molecole di prione affini e ne determina il cambiamento di forma. Più molecole di PrPSc si legano fino a formare aggregati sempre più grandi.
  2. Gli aggregati di prioni PrPSc si rompono in piccoli frammenti che fungono da seeds (semi) e vanno a modificare altre molecole di PrPC. In questo modo si amplifica ulteriormente la conversione da PrPC a PrPSc e la patologia si diffonde.

Questo video dell’INAF mostra il meccanismo con cui la proteina prionica nella sua forma aggregata e infettiva (in rosso) induce una proteina sana (in blu) a cambiare forma e a diventare anch’essa prionica.

L'infezione da prioni dà luogo a disseminazione attraverso il sistema nervoso periferico e centrale per diffusione neuronale. L’accumulo di prioni nei neuroni porta alla degenerazione delle cellule e crea dei vacuoli che rendono il tessuto cerebrale simile a una spugna (da qui appunto il termine “spongiformi”) accompagnati dalla formazione di placche formate dall’accumulo di aggregati di PrPSc.

Le malattie prioniche sono molto rare: 1 o 2 casi per milione di persone all’anno. Tuttavia ne esistono di diversi tipi che colpiscono gli esseri umani: la malattia di Creutzfeld-Jakob e le sue varianti (sCJD, gCJD, iCJD, vCJD), l’insonnia fatale, la kuru e la GSS.

Tra i sintomi più comuni di queste malattie ci sono la perdita dell’equilibrio e della coordinazione, movimenti involontari dei muscoli, perdita di memoria, cambiamenti di personalità, insonnia e problemi visivi o nella formulazione delle parole. La latenza, ovvero il tempo che intercorre tra la comparsa dei prioni all’interno dell’organismo e le manifestazioni cliniche, è molto lunga, ma dopo la comparsa dei primi sintomi la progressione è rapida e di solito conduce alla morte del paziente.

La ricerca sui prioni e non solo

La ricerca negli ultimi anni si è concentrata soprattutto sul meccanismo di conversione e di aggregazione del prione. È emerso che questo meccanismo sia alla base anche di altre malattie neurodegenerative, come la malattia di Parkinson e la malattia di Alzheimer, in cui a modificarsi sono altri tipi di proteine (chiamate rispettivamente α-sinucleina e tau). Attraverso questo meccanismo di conversione è stato possibile introdurre nella diagnostica una tecnica ultrasensibile, chiamata RT-QuIC (acronimo di Real-Time QUaking-Induced Convertion), in grado di rilevare i prioni analizzando il liquido cerebrospinale dei pazienti.

Una cura per le encefalopatie spongiformi trasmissibili non è ancora stata trovata: sono pochi i trial clinici effettuati e non hanno dato i risultati sperati. Per quanto riguarda le possibili cure, i ricercatori e le ricercatrici stanno agendo su due fronti: da una parte mettere a punto agenti anti-prionici, cioè molecole in grado di legare la PrPC e impedire l’interazione con la PrPSc; dall’altra agire in modo indiretto, cioè su altre molecole cellulari che possano evitare la comparsa o la proliferazione di PrPSc.

Per maggiori approfondimenti sui nuovi orizzonti di ricerca, puoi leggere gli abstract della conferenza Prion 2022.
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Andamento temporale dei casi di BSE e di vCJD: la linea spezzata rossa identifica i casi di BSE, le barre azzurre indicano i casi di vCJD (fonte: Neurological Sciences; adattamento: Enrico Schiltzer)

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Modello di cambiamento conformazionale e aggregazione (immagine creata da Sofia Dellavalle con Biorender)