Origine del virus
La collaborazione tra virologi, ecologi e climatologi ha dimostrato già da alcuni anni che un utilizzo insostenibile del territorio aumenta il pericolo di diffusione delle zoonosi, cioè le malattie virali o batteriche dannose per l'uomo e provenienti da altre specie animali. Le zoonosi conosciute sono molto numerose - oltre 200 secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) - e il loro studio costituisce uno dei settori di maggior interesse della medicina umana e veterinaria. Sono zoonosi la rabbia, la leptospirosi, l’antrace, la SARS, la MERS, la febbre gialla, la dengue, Ebola, HIV, Chikungunya e i Coronavirus, ma anche la più diffusa influenza.

Virus e qualità dell'aria: una relazione pericolosa?
Uno dei primi effetti della quarantena, prima in Cina poi nella Pianura Padana, è stata la riduzione del traffico pubblico e privato e il rallentamento o la chiusura di molte attività industriali. Lo stop alle auto ha causato una forte riduzione degli ossidi di azoto, uno degli inquinanti più pericolosi, prodotto proprio dalle automobili e dalle centrali di produzione dell'energia e capace di irritare il nostro apparato respiratorio, provocare bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare. Secondo Legambiente Lombardia, la riduzione di ossidi di azoto dovuta al contenimento dell’epidemia è compresa tra il 30 e il 40% rispetto alla media del periodo - una riduzione individuata anche dai sensori del satellite Sentinel 5P dell'Agenzia Spaziale Europea. Purtroppo, questo effetto non ha riguardato altri inquinanti altrettanto diffusi come le polveri sottili, che in Pianura Padana vengono prodotte non solo dal traffico, ma anche dagli impianti di riscaldamento (17%), dalle attività agricole e zootecniche (19%) e a quelle industriali (16%, dati ARPA Emilia-Romagna - progetto Prepair): settori che hanno rallentato solo in piccola parte.

La reazione a COVID-19: una lezione di adattamento?
Da più parti si sono sottolineate le apparenti analogie dell'emergenza sanitaria con l'altra emergenza dei nostri tempi, quella climatica. Alcune somiglianze sono evidenti: la scala globale, la necessità di unire comportamenti individuali e politiche statali per risolvere il problema, la minaccia che non fa differenze tra i diversi strati della società - ma che ha nei più deboli il bacino di maggiore vulnerabilità, la corrispondenza apparente di alcune soluzioni come la riduzione dei trasporti e delle attività produttive. Le due crisi sono anche in parte legate, perché è dimostrato che il cambiamento climatico può facilitare la diffusione delle zoonosi e dei loro vettori animali in territori che non ne erano normalmente interessati (come abbiamo visto nel caso del virus zika). Inoltre, il lockdown sta facendo sperimentare a tutti comportamenti che potrebbero contribuire a mitigare la crisi climatica, come il ricorso al telelavoro o la riduzione dei consumi di beni "non essenziali". Le somiglianze però sembrano terminare qui. Infatti, il cambiamento climatico è un problema di difficile soluzione proprio perché le sue conseguenze non vengono percepite come immediate minacce alla salute (nonostante in realtà lo siano). È difficile pensare che le soluzioni messe in atto per rispondere all'emergenza sanitaria siano attuabili ed efficaci anche per la crisi del clima. Non sono attuabili perché difficilmente la società accetterebbe misure draconiane che, per risolvere l'emergenza climatica, dovrebbero essere di lunga durata, praticamente definitive. E non sono efficaci perché come sta emergendo per la Cina, l'interruzione del 75% delle attività produttive È risultata in una diminuzione delle emissioni di CO2 di appena il 25%. Per di più, la natura "riduttiva" di queste misure sta avendo un impatto sull'economia in modo drammatico, dimostrando che questo genere di emergenze va affrontato con una visione complessiva della società (a partire dal potenziamento del welfare e dell'equità sociale), pena il fallimento. Infine, ogni effetto accidentalmente positivo per il clima delle misure in atto rischia di essere vanificato dall'effetto di "rimbalzo": la ripresa dell'economia potrebbe, in molte parti del mondo (compresa l'Italia) tradursi in un allentamento delle norme a tutela dell'ambiente e del clima, che rischiano di essere le prossime "vittime" indirette della pandemia.Uno sguardo al futuro
La natura dell'emergenza in atto e la continua minaccia della crisi climatica ci inducono quindi a ritenere che le uniche soluzioni sostenibili (nel senso di "accettabili" ma anche "durevoli nel tempo") sono quelle sistematiche. Per limitare il riscaldamento globale non avrebbe senso limitare semplicemente le attività più emissive: sono invece necessarie soluzioni "positive", che coniughino la riduzione delle emissioni con lo sviluppo umano di tutti i popoli della Terra. Nel concreto, questo significa compiere una radicale decarbonizzazione della nostra economia, orientando il sistema produttivo, fiscale, economico, finanziario, sociale e politico verso attività compatibili con il mantenimento del clima entro i limiti che favoriscono il benessere umano. E forse è proprio questa l'opportunità più autentica nascosta in questa pandemia. Molte cose dovranno essere ripensate da zero: coglieremo l'occasione per ripensarle in modi nuovi, impostando tutti i settori della nostra società nel senso di una durevole responsabilità climatica e, in ultima analisi, umana?
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Giorgio Vacchiano è ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano, membro della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (SISEF) e dell’Ecological Society of America (ESA), e consigliere dell’Associazione Pro Silva Italia. Nel 2019 ha pubblicato "La resilienza del bosco" (Mondadori).


