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Intervista all’astronauta Walter Villadei

Un anno dopo la missione sulla Stazione Spaziale Internazionale, l’ultimo italiano che è stato nello spazio ci ha raccontato la sua esperienza

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La missione Axiom-3 Voluntas è partita dalla base di Cape Canaveral, in Florida, il 18 gennaio 2024 con un razzo Falcon 9 della compagnia privata SpaceX. A bordo c’è anche l’astronauta italiano Walter Villadei, alla sua prima missione spaziale, che ricopre il ruolo di pilota della navetta Crew Dragon. Insieme a lui ci sono altri altri tre astronauti: il comandante Michael Lopez-Alegria (USA-Spagna) e gli specialisti di missione Alper Gezeravci (Turchia) e Marcus Wandt (Svezia). L’equipaggio raggiunge la Stazione Spaziale Internazionale dove trascorrerà 18 giorni, durante i quali verranno condotti 13 esperimenti di vario genere, coordinati in parte dall’Aeronautica Militare e in parte dall’Agenzia Spaziale Italiana. A un anno di distanza dalla missione, abbiamo intervistato Villadei e ci siamo fatti raccontare la sua straordinaria esperienza.

Colonnello Villadei, ripensando ai giorni così particolari e ricchi di emozioni trascorsi a Cape Canaveral, qual è il primo momento che le torna in mente?

Sceglierne solo uno è abbastanza complicato. L’avvicinamento al lancio è un crescendo di emozioni. Uno dei primi momenti che rimangono impressi è quando, a due giorni dalla partenza, si arriva per la prima volta sotto al Falcon 9. Alzi la testa, vedi questo lanciatore alto 70 metri che è lì in attesa di portarti nello spazio e ti rendi conto che lì c'è qualcosa che ti aspetta. Poi sono emozioni forti il saluto alla famiglia la sera prima del lancio, quando al mattino sorvoli la rampa di lancio in elicottero e scendendo trovi tutti lì che ti aspettano e applaudono felici con le bandiere, la procedura di vestizione e, subito dopo, la tradizionale firma su una placca prima di uscire. Fra i ricordi più vivi c’è, chiaramente, quando il conto alla rovescia arriva a zero e tutto finalmente si accende.

Qual è l’attimo in cui ha pensato “ok, sono davvero nello spazio. Ce l’ho fatta”?

Nella navetta ero il pilota. Io e il comandante vedevamo gli schermi. Superati i 100 km di altezza abbiamo detto agli altri colleghi dell'equipaggio: «Ragazzi, qualunque cosa accada siamo andati nello spazio». Però capisci effettivamente che ci sei davvero quando a 220 km di quota avviene l’engine cut off, cioè lo spegnimento dei motori. A quel punto, dopo qualche minuto, pilota e comandante si tolgono le cinture di sicurezza e hanno modo di fare le prime operazioni in microgravità e di guardare fuori. È molto emozionante anche quando a distanza vedi per la prima volta la Stazione Spaziale Internazionale e cominci a capire che la destinazione è quasi a portata di mano.

Si arriva lassù dopo un lungo addestramento. È come ce lo si aspetta oppure è comunque sorprendente?

I tanti anni di addestramento servono a dare agli astronauti un modello mentale. Servono a non avere sorprese inaspettate, a sapere quello che ti attende dal punto di vista operativo, dal punto di vista ambientale e anche dal punto di vista delle reazioni fisiche che puoi aspettarti dal tuo corpo. Si parte preparati ed è come andare a un esame: sai qual è l’argomento, però non sai quello che ti chiederà il professore. In questo caso il professore è la vita vissuta. Il tuo organismo si è addestrato per tanti anni, ma rispondi in maniera differente perché per la prima volta ti trovi esposto alla microgravità per un periodo molto lungo. La Stazione Spaziale Internazionale l’hai studiata, l’hai vista nei video, te l’hanno raccontata i colleghi, ma quando per la prima volta apri il portellone e cominci a lavorarci dentro ti rendi conto di tante piccole cose. Mi riferisco anche a cose banali, come riempire un contenitore per bere o come andare al bagno. C’è una parte dell’esperienza che non riesci a simulare a Terra e che scopri la prima volta che vai in orbita.

In questo articolo puoi approfondire le conseguenze sulla salute del corpo umano dovute alla permanenza nello spazio.

A che cosa serve andare lassù?

Ci sono diverse tipologie di risposte possibili. Chiaramente la microgravità non può essere replicata sulla Terra, se non per periodi molto brevi. Lo spazio offre quindi alla scienza un laboratorio unico e straordinario ed è fondamentale per promuovere l’innovazione e la conoscenza. Ci sono poi altri aspetti importanti. Siamo una specie propensa all’esplorazione, a cercare di conoscere quello che non conosce: è un po' un istinto innato. Nel Cinquecento e nel Seicento gli esploratori erano quelli che solcavano gli oceani. Oggi sono quelli che cominciano a solcare l’oceano dello spazio. Inoltre la nostra civiltà è sempre più basata sullo spazio. Quindi le motivazioni forti sono diverse, da quelle più filosofiche fino agli aspetti più concreti, scientifici, tecnologici e operativi. 

Quali erano gli obiettivi della sua missione?

Axiom-3 Voluntas è stata una missione abbastanza particolare, la prima nel suo genere fatta da un astronauta italiano nel contesto della new space economy. Io non sono il primo astronauta italiano, sono l’ottavo. Rispetto alle precedenti, ci sono stati dei tratti completamente differenti. È stata guidata dal Ministero della Difesa ma non è stata una missione militare: è stata sotto l’egida della strategia governativa e ha visto il concorso di diversi attori. Il programma scientifico e tecnologico interpretava le aspettative e il contribuito dei vari soggetti istituzionali: la Difesa e l’Aeronautica Militare per prime, ma anche il mondo scientifico, l’Agenzia Spaziale Italiana e il settore industriale.
Ho condotto vari esperimenti. Come Aeronautica, ad esempio, abbiamo sviluppato un software che mi consentiva di collegarmi con il nostro Reparto Sperimentale di Volo di Pratica di Mare per fare delle simulazioni, come se dalla ISS dovessi programmare e valutare un rischio d’impatto con un detrito spaziale. È una cosa che accade normalmente, ma viene fatta da terra quindi gli astronauti si limitano a seguire delle istruzioni. Per volare su Marte o sulla Luna bisognerà invece avere una capacità operativa un po' più autonoma.
Abbiamo fatto anche esperimenti di medicina spaziale sulle reazioni del tessuto endoteliale alle accelerazioni e in microgravità, su delle proteine che causano l'Alzheimer e il Parkinson e sulle cellule ovariche. Ho testato una tuta sensorizzata e con tessuti innovativi, che consente di dare maggiore comfort all’astronauta e di misurarne i suoi parametri durante il lavoro. Una società dell’autonomotive ha sviluppato e inviato dei campioni di tessuti per capire come possano proteggere dalle radiazioni. Poi abbiamo portato della pasta preparata in maniera differente, per verificare se questo processo in qualche modo rispondesse anche ai requisiti degli astronauti.

In questo articolo puoi scoprire quali sono i principali settori coinvolti nella space economy.

Lei è stato extraterrestre per tre settimane. Andare lassù è un’esperienza che cambia le persone?

In parte si torna uguali, nel senso che bisogna sempre viaggiare con la testa tra le stelle, ma mantenere i piedi a terra. Sono andato lì grazie all’Aeronautica Militare, al Paese, quindi con un forte senso di appartenza a delle istituzioni. Però è vero che si rientra con la consapevolezza di aver fatto un’esperienza straordinaria, di aver visto un’infrastruttura come la Stazione Spaziale Internazionale che è il risultato di uno sforzo di trent’anni, di aver visto l’Italia dallo spazio e la Terra 16 volte al giorno nella sua bellezza. È vero che da lassù non si vedono i confini. Gli unici che ho visto sono quelli dettati dalla distribuzione delle luci quando voli di notte: in quel caso vedi una geografia completamente differente. Inoltre guardare oltre l’orizzonte e vedere quel nero, quelle stelle lontane, effettivamente fa riflettere e fa tornare con la consapevolezza che c’è molto ancora da esplorare.

Durante le missioni spaziali nascono anche delle amicizie? Con gli altri astronauti vi sentite ancora?

La nostra missione è stata di 21 giorni, quindi abbastanza breve. Con i colleghi che erano residenti nella Stazione Spaziale Internazionale ci eravamo sentiti prima e ci siamo incontrati anche dopo e abbiamo stabilito dei rapporti di conoscenza più forti. L’amicizia vera e propria è nata con i compagni di viaggio e di avventura, con cui abbiamo trascorso tanti mesi durante la preparazione e con cui abbiamo vissuto l’esperienza molto intensa del volo. Con loro ci sentiamo ancora quasi quotidianamente.
Devo aggiungere che l’addestramento alle situazioni di emergenza ti fa rendere conto che, per quanto tu possa essere preparato, in realtà hai bisogno dell’altro. È il gruppo ad andare nello spazio e a portare a casa il risultato. Così, anche se ognuno di noi aveva dei programmi nazionali, ciascuno ha supportato gli altri e questa è un’esperienza umanamente molto forte. Insomma: nello spazio i rapporti di amicizia si creano e sono un valore aggiunto fortissimo di questa attività.

Lei è andato in orbita nel 2024. Quanto tempo prima aveva capito di voler fare l’astronauta e qual è stato il suo percorso?

Penso di poter individuare una data molto precisa: il 12 aprile 1981, il decollo del Columbia, la prima missione dello Shuttle. Ricordo che su di me ha avuto un impatto fortissimo, stimolando un grande interesse per lo spazio e per la scienza in generale. Però questa è una condizione necessaria ma non sufficiente: è fondamentale studiare e farlo con passione perché è quella che poi ti spinge ad aprire gli orizzonti della tua conoscenza.
Nel mio caso, il percorso è stato abbastanza classico: ho fatto il liceo scientifico, poi sono entrato nell’Aeronautica Militare. In Accademia ho studiato Ingegneria spaziale. Intanto l’Aeronautica Militare riprese ad avere un coinvolgimento più diretto nei programmi spaziali nazionali e fui portato all’interno di questo settore. Però non esistono percorsi lineari: dopo ingegneria spaziale sono andato per cinque anni a occuparmi di aeroplani turboelica. Si tratta di un mondo completamente differente, che ho dovuto ristudiare e reimparare e che peraltro è stato un’esperienza straordinaria, ma mentre facevo quello ho preso una seconda laurea in Ingegneria astronautica. Quando si hanno delle passioni, lo studio non è qualcosa che ti danno, ma è qualcosa che cerchi e che insegui. Nel mio caso, una vocazione personale ha trovato collocazione nell’Aeronautica Militare.
Ho iniziato il percorso come cosmonauta con un primo avvicinamento nel 2009, in modo molto rapido, a Star City vicino a Mosca. Poi ci sono tornato per fare l’intero corso come cosmonauta, primo europeo dai tempi dell’Unione Sovietica. Da lì in avanti è diventato un percorso di addestramento più classico.

Che strada deve intraprendere chi sta andando a scuola e sogna di volare nello spazio?

Non ci sono una ricetta magica o un percorso obbligatorio. Attualmente i profili più tradizionali cioè ingegneri, piloti e scienziati – non necessariamente militari – sono quelli che trovano per formazione e approccio mentale una più facile collocazione nel mondo del volo spaziale. Con la new space economy, con la commercializzazione dello spazio, con l’apertura ai privati, ci saranno però opportunità molto maggiori sia dal punto di vista numerico, sia dal punto di vista della tipologia di professionalità richieste. Non escludo che nel prossimo futuro delle persone con altri profili possano andare lassù.
Detto questo, lo spazio non è solo il mondo degli astronauti, ma è fatto di tantissime professionalità. Pensiamo ad esempio all’importanza di capire come evolve la legislazione nel contesto spaziale e quindi degli studi sulla parte più legale e quindi umanistica. Io dico ai ragazzi che non c'è un percorso unico. L’importante è fissare l’obiettivo e poi darsi volontà, tempo e pazienza per arrivarci.

Lei invece che sogno spaziale ha nel cassetto?

Il primo sogno per un astronauta è rimanere vicino al mondo operativo. Immaginare di poter tornare un giorno a volare sicuramente affascina e non potrebbe essere diversamente, altrimenti non faremmo questo mestiere con passione. Devo dire che mi affascinano anche l’idea di poter contribuire a rendere l’Italia uno dei Paesi che abbia una parte di una nuova stazione spaziale e magari, un domani, di essere un docente universitario che insegna a un ragazzo che può fare un dottorato su una stazione spaziale, in un modulo italiano. Diciamo che il sogno di Walter Villadei per i prossimi 15 anni è rimanere in questo straordinario settore, guardando a tutte le opportunità che ci saranno vicino alla Terra o più lontano verso la Luna. Sarei onorato e felice di poter continuare a dare il mio piccolo contributo.

BIOGRAFIA
Nato nel 1974 a Roma, Walter Villadei è colonnello dell’Aeronautica Militare, per la quale ha svolto numerosi incarichi e ha preso parte a diverse operazioni internazionali. È laureato in Ingegneria aerospaziale e in Ingegneria astronautica. Nel 2011-2012 è stato il primo europeo dai tempi dell’ex URSS a completare l’addestramento da cosmonauta a Star City, in Russia. Nel 2021 ha iniziato un percorso di addestramento da astronauta alla NASA grazie a un accordo fra Aeronautica Militare e Axiom Space. Nel giugno 2023 ha partecipato a un volo spaziale suborbitale dal New Mexico con la compagnia privata Virgin Galactic, come comandante della missione Virtute 1. Fra il 18 gennaio e il 9 febbraio 2024 ha effettuato la missione Axiom-3 Voluntas nella Stazione Spaziale Internazionale, diventando l’ottavo italiano ad andare in orbita. Da marzo 2022 è il responsabile dell’Ufficio di Rappresentanza dell’Aeronautica Militare negli Stati Uniti, presso la città di Houston, per le attività di accesso allo spazio e del commercial spaceflight.

immagini di copertina:
Walter Villadei dentro la Stazione Spaziale Internazionale (crediti: Aeronautica Militare)
Walter villadei durante l'addestramento da cosmonauta (crediti: Aeronautica Militare)

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