Un punto di riferimento per la genetica e per la ricerca sul cancro in Italia e nel mondo. Renato Dulbecco si è spento il 20 febbraio 2012 a quasi 98 anni portando con sè il riconoscimento unanime da parte dell’intera comunità scientifica.
Medico, appassionato di fisica, ha speso la maggior parte della sua vita studiando la biologia e la genetica fino ad ottenere il massimo riconoscimento che uno scienziato possa ricevere: il Nobel. Nel 1975 infatti Renato Dulbecco è stato insignito, assieme a David Baltimore e Howard Temin, del premio Nobel per la Medicina per i suoi studi sulla genetica dei virus e la loro interazione con le cellule (e il DNA) umano.
Brillante negli studi fin da giovanissimo
La vita di studio di Renato Dulbecco è stata segnata fin da subito dall’eccezionalità. Entra infatti all’Università di Torino per studiare Medicina a soli 16 anni, eccellendo durante tutti i suoi anni universitari e incontrando sul suo percorso due figure fondamentali della scienza: Rita Levi Montalcini e Salvador Luria, entrambi futuri Premi Nobel. L’incontro dei due studiosi sarà anche cruciale per l’avvio della sua carriera internazionale: seguendo le orme dell’uno e i consigli dell’altra, dopo la laurea, l’inevitabile chiamata al fronte durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e alcuni anni di ricerca a Torino, si trasferirà negli Stati Uniti, prima in Indiana e poi in California. Negli USA Dulbecco rimarrà per diversi anni, compiendo gli studi sulla genetica dei virus (in particolare sui fagi, virus che attaccano cellule batteriche, e i virus oncogenici, cioè che causano il cancro) che lo porteranno al Nobel. Nel 1972 tornerà per pochi anni nel Vecchio Continente presso i laboratori londinesi dell’Imperial Cancer Research Fund, per poi rientrare a fine anni Settanta in California, presso il Salk Institute.
Gli studi su virus e cancro
Gli studi compiuti da Renato Dulbecco sono stati senz’altro fondamentali per capire come alcuni virus possano essere associati allo sviluppo di alcune forme di tumori. Mentre era risaputo da alcuni anni, non senza ampie discussioni scientifiche, che alcuni virus potessero essere implicati nell’oncogenesi, non si riusciva a capire quale potesse essere il meccanismo secondo il quale il virus agisse come agente trasformante delle cellule sane in cellule cancerose. Studiando ceppi di Papovavirus, fu chiaro che il genoma dei virus oncogenici (o parte di esso) andava a integrarsi nel genoma ospite, generando poi prodotti proteici in grado di sostituire le corrispondenti proteine cellulari. Un altro importante passo avanti nella comprensione della genetica dei tumori Dulbecco lo ha compiuto consolidando l’ipotesi del ruolo delle mutazioni nell’evoluzione del cancro.
Il Nobel e lo studio della genetica dei tumori
Il Nobel e lo studio della genetica dei tumori
La svolta del Nobel è stata per Dulbecco l’incentivo per occuparsi più approfonditamente di genetica umana in senso stretto e a guardare allo studio dei tumori come un mal funzionamento di alcuni particolari geni. L’approcciarsi di moderne tecniche di sequenziamento del genoma gli darà l’intuizione di lanciare, tra il 1985 e il 1986, un appello alla comunità scientifica internazionale per unire le forze nel Progetta Genoma Umano, ovvero la prima mappatura completa del genoma dell’essere umano, che dopo qualche anno prenderà forma sotto l’elgida di un consorzio internazionale a guida americana. Dulbecco tornerà in Italia per guidare il Progetto Genoma Umano per il suo Paese natale, per rientrare ancora una volta negli States a compito concluso, non senza amarezze.
Chi lo ha conosciuto e avuto accanto come ricercatore, lo ricorda come maestro generoso e assetato di conoscenza di «scienza utile per l’uomo». Renato Dulbecco, uno dei pochi Nobel italiani per la medicina, rimarrà senz’altro a lungo nei ricordi e nelle pagine dei libri di scienza di questo Paese.