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Addio alla grande mente della scienza italiana

Un ricordo di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina o Fisiologia nel 1986, venuta a mancare lo scorso 30 dicembre all'età di 103 anni.
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«Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo, sono la mente».

Per ricordare Rita-Levi Montalcini, il sito web del suo istituto di ricerca, l'Istituto Europeo per la Ricerca sul Cervello (European Brain Research Institute-EBRI), accoglie con una delle sue frasi più famose. Una frase che descrive alla perfezione in poche righe la scienziata premio Nobel che alla fine del 2012 (il 30 dicembre) è venuta a mancare all'età di 103 anni. Una perdita che ha commosso l'Italia intera: in tantissimi hanno voluto omaggiare la piccola grande donna, orgoglio della scienza italiana nel mondo, portandole un saluto al funerale, che la famiglia ha pensato di svolgere in forma pubblica a Torino, sua città natale, il 2 gennaio scorso.
 


Il cervello come obiettivo dei suoi studi
Il sistema nervoso e il suo funzionamento, dal punto di vista biologico, sono stati gli obiettivi principali dell'attività da ricercatrice di Rita-Levi Montalcini.
Nata a Torino da una famiglia benestante e colta di ebrei sefarditi, Rita Levi ha iniziato i suoi studi in medicina in un'epoca quando l'istruzione universitaria per le donne era un lusso e quasi un privilegio. Il numero delle studentesse era di gran lunga inferiore ai colleghi maschi e solo poche riuscivano a perseguire la carriera accademica, accedendo a ruoli importanti.
La sua passione per lo studio della mente inizia in questi anni, quando sul cammino incontra un maestro brillante: Giuseppe Levi (nonostante l'omonimia, non c'è correlazione familiare). Biologo dedito agli studi di istologia, Levi è la persona chiave che spingerà Rita Levi a intraprendere lo studio della biologia in maniera rigorosa. Sotto la guida dello stesso maestro, in quel periodo, troverà sulla sua strada anche due studenti eccellenti che verranno insigniti del premio Nobel qualche anno prima di lei: Salvador Lurìa e Renato Dulbecco, scomparso lo scorso anno (come abbiamo ricordato anche qui in Aula di Scienze).

Laboratori ricavati e una passione più forte della guerra

Dopo la laurea in medicina e chirurgia, conseguita col massimo dei voti, RIta Levi prosegue gli studi con la specializzazione in neurologia e psichiatria, ancora indecisa se affrontare la carriera da medico o dedicarsi alle ricerche in laboratorio.
Ma la Storia decide in qualche modo per lei, quando nel 1936, sotto gli anni del Fascismo, lei e la sua famiglia è costretta a fuggire da Torino a causa delle reggi razziali che impediscono ai non ariani di svolgere attività accademica e pubblica. Dopo qualche anno in Belgio, in cui continua i suoi studi da ricercatrice, Rita-Levi riesce a rientrare a Torino, dove allestisce in segreto un piccolo laboratorio per i suoi studi all'interno della sua camera da letto, tentando di replicare le ricerche dell'embriologo tedesco Viktor Hamburger su embrioni pollo, di cui aveva letto in un articolo del 1934.
Ma l'incedere della Seconda Guerra Mondiale porta ancora Rita Levi e la sua famiglia a lasciare Torino per trovare rifugio prima nelle campagne piemontesi e poi a Firenze, dove svolge un periodo come medico e infermiera nell'ospedale da campo del quartier generale anglo-americano.


La svolta americana (durata una vita)
Nonostante gli anni burrascosi sotto il regime fascista e la  seconda guerra mondiale, Rita Levi riesce a proseguire le sue ricerche e la fama della qualità e del rigore degli studi di Rita Levi giunge alle orecchie dello scienzato Hamburger, ritiratosi negli Stati Uniti. E proprio lo studioso tedesco, finita la guerra mondiale, segna una svolta nella carriera di Rita Levi: il suo invito per proseguire gli studi presso i suoi laboratori all'Università Washington a Saint Louis (Missouri, USA), è l'inizio di una carriera internazionale che trattiene Rita Levi negli Stati Uniti per oltre 30 anni, fino al suo ritiro dall'università nel 1979. Il legame con l'Italia però la portano a collaborare attivamente anche con laboratori italiani e dal 1969 al 1978 è anche nominata direttore dell'Istituto di Biologia Cellulare del CNR.

Un Nobel "costruito" in America, ma che onora l'Italia

Sono quindi gli anni americani a sancire le scoperte che la portano al Nobel in Fisiologia o Medicina nel 1986, che le viene conferito insieme a Stanley Cohen, biochimico americano e suo collega di ricerche, per «le scoperte dei fattori di crescita». In particolare, a Rita Levi si deve la scoperta del fattore di crescita per le cellule nervose o, come viene comunemente chiamato con il suo nome inglese, Nerve Growth Factor (NGF), mentre Cohen è l'autore delle ricerche sul fattore di crescita delle cellule dell'epidermide (Epidermal Growth Factor, EGF).
La scoperta dei fattori di crescita è stato di fondamentale importanza per iniziare a capire come le cellule si accrescono e si differenziano e attraverso quali meccanismi di regolazione. I fattori di crescita sono molecole proteiche prodotte dalle cellule in loco e usate come segnali di accrescimento da comunicare alle cellule circostanti. Prima degli studi di Rita Levi agli inizi degli anni Cinquanta, ben poco si sapeva di come le cellule del sistema nervose potessero svilupparsi in un sistema intricato di cellule nervose (e non solo) in collegamento tra loro.
Oggi i fattori di crescita sono anche uno degli elementi base dei terreni di coltura usati per effettuare gli esperimenti di biologia cellulare in vitro.

Dopo il Nobel: l'impegno scientifico e sociale

Ma la sola descrizione dell'abnegazione in campo scientifico di Rita Levi-Montalcini, continuata dopo il ritiro universitario nella fondazione dell'EBRI, non restituisce un quadro completo della sua persona. Rita Levi è infatti stata amata anche per il suo poderoso impegno per la valorizzazione delle donne in campo scientifico: a lungo si è spesa in prima persona per far passare il messaggio che la ricerca scientifica eccellente può e deve anche essere un compito delle donne. Allo stesso tempo, si è a lungo battuta perché alle donne scienziato di valore fossero riconosciuti i giusti meriti in campo accademico (ancora oggi solo poche donne, rispetto alla controparte maschile, sono a capo di dipartimenti, laboratori o facoltà universitari).
E il suo impegno civico si è concretizzato anche nella fondazione di un ente dedicato al supporto economico di studentesse africane, deisiderose di intraprendere gli studi, la Fondazione Rita Levi-Montalcini.
Ricordare Rita Levi Montalcini allora significa non solo riconoscere la sua grande mente da scienziata e amante del sapere (la famiglia ha raccontato che la professoressa ha studiato fino a quasi gli ultimi istanti della sua vita), ma soprattutto rivolgere uno sguardo affettuoso e riconoscente a chi si è battuta con forza e grinta per la parità dei diritti delle donne negli studi e nella scienza.

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