
Caffè tostato (Immagine: GOELE (Own work) [Public domain], via Wikimedia Commons)
Per stimare l’attuale distribuzione del caffè selvatico, per la quale non esistevano dati globali, i ricercatori hanno censito le popolazioni satellite presenti nel sud del Sudan, e assieme ai dati preesistenti sulle popolazioni etiopi hanno ricavato l’areale di distribuzione totale della piante, che comprende anche alcune aree del Kenya. Poi, usando i dati riferiti al bioclima della zona, hanno individuato la zona della regione dove attualmente si presentano condizioni sufficienti per la colonizzazione da parte di C. arabica, cioè dove, dal punto di vista bioclimatico, esistono nicchie adatte oltre a quelle attualmente effettivamente già occupate. Nicchie ideali: insufficienti? A questo punto, grazie ai dati resi disponibili da CGIAR (Research Program on Climate Change) e da Agriculture and Food Security (CCAFS) hanno costruito i modelli predittivi: all’aumentare delle temperature, come si modificherà l’ecosistema dove vive C. arabica? Che effetti avrà sulla sua sopravvivenza? Nella più rosea delle aspettative nel 2080 il 65% delle località bioclimaticamente compatibili con la pianta sarà scomparsa, ma saranno ancora presenti alcune nicchie ideali; nel peggiore degli scenari saranno scomparse anche quelle e la pianta potrebbe, in teoria, essere presente solo in pochissime zone, e nessuna di esse con le caratteristiche ideali alla sua sopravvivenza. Visto che si sta parlando di cespugli di caffè selvatico e non delle immense piantagioni che sostentano il nostro consumo, preso atto dell’enorme danno ambientale, ci si potrebbe però chiedere quale sia, dopotutto, il problema per quanto riguarda la produzione della bevanda. Anche se è da ingenui ritenere che i cambiamenti climatici non causeranno danni economici all’industria del caffè (gli stessi autori degli studi stimano che l'Etiopia in particolare sarà molto colpita), non corre certo il rischio di estinguersi. Oppure no? Meno varietà Ogni pianta coltivata è stata ottenuta per domesticazione, cioè tramite una selezione artificiale dei suoi caratteri geneticamente trasmissibili. Il processo ci dà piante e animali con le caratteristiche che vogliamo, ma ne riduce enormemente la variabilità. Per questo le varietà selvatiche, come quelle antiche, sono preziosissime per mantenere a nostra disposizione la ricchezza genetica necessaria a migliorare le colture a seconda dei nostri nuovi bisogni. Perdere le popolazioni di caffè selvatico, così diverse e adattabili, sarebbe catastrofico sul lungo periodo. Le banche del germoplasma, secondo gli autori, non sono sufficienti, e bisogna attuare da subito opere di protezione in situ ed ex-situ. O siamo già pronti a rinunciare al nostro espresso?