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Alghe imbroglione

Gli esseri umani, si sa, sono molto bravi a barare, ma non sono gli unici: molti altri animali lo fanno, e perfino qualche pianta. L’ultima new entry nel club degli imbroglioni è una microscopica alga unicellulare.
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Gli esseri umani, si sa, sono molto bravi a barare, ma non sono gli unici: molti altri animali lo fanno, e perfino qualche pianta. L’ultima new entry nel club degli imbroglioni è una microscopica alga unicellulare.
 
Quando si tratta di mentire, le dimensioni non contano. E non serve neppure una particolare intelligenza. Il campionario di bluff che la natura mette in campo fa impallidire i più abili giocatori di poker: insetti che si fingono rami, gechi e uccelli mascherati da cortecce, ragni camuffati da formiche e polpi che imitano serpenti. Perfino alcune piante, nel corso dell’evoluzione, sono diventate maestre d’inganni e di astuzie, come si legge nell’ultimo libro dell’etologo Giorgio Celli Le piante non sono angeli. Le piccole orchidee del genere Ophrys, per esempio, attirano i propri insetti impollinatori copiando l’aspetto e l’odore delle loro femmine. La pianta di patata, invece, fa fuggire a zampe levate i fastidiosi afidi che banchettano sulle sue foglie rilasciando il feromone del loro peggior nemico: la coccinella.
 
Le alghe non sono angeli
La notizia che anche le microscopiche alghe unicellulari siano capaci di imbrogliare ha sorpreso perfino il biologo che le ha smascherate. William Driscoll, del Dipartimento di Ecologia e Biologia evolutiva dell’Università dell’Arizona, racconta la sua scoperta in un articolo pubblicato sulla rivista Evolution.
 

William Driscoll nel suo laboratorio con un campione di alghe (Immagine: Beatriz Verdugo/UANews)

Parte del suo dottorato di ricerca riguardava alcune alghe tossiche unicellulari del genere Prymnesium, note anche come alghe d’oro per i loro pigmenti accessori che conferiscono alle cellule una lucentezza dorata. Lontane parenti delle diatomee, queste alghe microscopiche vivono per lo più negli oceani, ma da qualche anno stanno invadendo anche le acque dolci degli Stati Uniti, destando qualche preoccupazione. Le tossine che producono, infatti, causano un grave inquinamento ambientale e risultano letali per i pesci, anche se finora sembrano essere innocue per gli esseri umani e il bestiame. Molti scienziati pensano che si siano evolute come armi chimiche per tenere alla larga altre alghe e microrganismi che competono per la luce solare e le stesse risorse nutritive.
 
Isolando diversi ceppi della specie Prymnesium parvum, Driscoll si è accorto che alcuni crescevano più rapidamente di altri e non producevano alcuna tossina. Perché? Le tossine, per essere efficaci, devono essere prodotte dall’intera popolazione di alghe. Nell’acqua, infatti, si disperdono velocemente, e le singole cellule non avrebbero alcuna possibilità di sconfiggere i competitori, così come un pesce isolato da un banco ha poche chance di fronte a un predatore.  
 
 
Alcuni esemplari dell'alga unicellulare Prymnesium parvum (Immagine: Gert Hansen)
 
Bugiarde e opportuniste
In apparenza, le alghe imbroglione hanno tutto da guadagnare: finché crescono insieme alle loro sorelle tossiche, queste free rider scroccone possono beneficiare delle armi altrui, investendo le energie e le risorse risparmiate per crescere più in fretta e fare più figli. In simili circostanze, però, la selezione naturale dovrebbe favorire l’egoismo a discapito della cooperazione, e le alghe disoneste dovrebbero ben presto prendere il sopravvento su quelle oneste... ma non è così.
 
Ci sono ottimi motivi per non rinunciare così a cuor leggero alle proprie armi chimiche e al lavoro di squadra. E risultano molto chiari se si osservano queste alghe in azione al microscopio. «Attaccano le altre cellule», spiega Driscoll. «Con i loro due flagelli, nuotano fino alla preda (per esempio una diatomea) e vi si attaccano. A volte ne nasce una colluttazione, e più cellule nuotano fino alla scena, circondano la loro vittima e rilasciano più tossine, poi la mangiano».
 
 

Alghe del genere Prymnesium al microscopio, intente a divorare una diatomea (Immagine: William Driscoll)


Più che repellenti per dissuadere i competitori, quindi, le tossine possono diventare delle vere e proprie armi di attacco che le graziose alghe dorate, nei panni di spietati killer, usano per stordire o immobilizzare la preda. Un comportamento che ricorda molto la pianta carnivora Dionaea muscipula, meglio nota come venere acchiappamosche, che pur potendo svolgere la fotosintesi, non esita a trasformare le sue foglie in trappole mortali per insetti e altri incauti animaletti.

 
Ma cosa scatena l’istinto predatorio delle nostre alghe, trasformandole da tranquille dottor Jekyll a inquietanti signor Hyde? Quando i tempi sono favorevoli e i nutrienti in acqua abbondano, le alghe si comportano da perfetti autotrofi e si accontentano della fotosintesi per ottenere energia dalla luce solare. Ma in carenza di sostanze nutritive, cambiano ruolo ecologico da produttori a consumatori, diventando temibili cacciatrici: cominciano a nuotare intorno in cerca di prede che sopraffanno con le loro tossine.
 
Mors tua, vita mea
Perché, allora, alcuni ceppi hanno smesso di produrre tossine? Driscoll e la sua squadra hanno una teoria su come si sia evoluta la loro attitudine a barare. Hanno osservato che, non appena i nutrienti scarseggiano, la popolazione tossica cessa di crescere, mentre i truffatori continueranno a moltiplicarsi. Potrebbe trattarsi, quindi, di un adattamento allo stile di vita di queste alghe, soggette a periodiche esplosioni numeriche note come fioriture. 
 
 

          Una moria di pesci presso il Lake Hanna, in Florida, dovuta a una fioritura dell'alga tossica Prymnesium parvum (Immagine: MyFWC Research)

«Durante una fioritura, vengono uccise tutte le prede o un’enorme quantità di esse, quindi perché produrre tossine e andare alla ricerca di qualcosa che non c’è? Potrebbe essere meglio pensare solo a crescere senza prendersi la briga di continuare a cercare prede, perché sono finite», spiega Driscoll. È questa, in sintesi, la strategia un po’ cinica ma vincente delle alghe imbroglione: nell’abbondanza di nutrienti, fanno fotosintesi come tutte le loro compagne; quando i nutrienti scarseggiano, approfittano delle prede cacciate dalle altre; e quando anche le prede finiscono, possono contare su maggiori riserve per tirare avanti, mentre le loro sorelle tossiche, ormai stremate, passano a miglior vita.
 
Conoscere il nemico per annientarlo
Driscoll puntualizza che «stiamo solo iniziando a capire quali meccanismi mantengono la cooperazione tra i microbi. La teoria è fortemente inclinata verso gli organismi pluricellulari. Solo da poco si è iniziato a pensare che anche i microbi possano collaborare» e a far luce sulla loro complessa e sorprendente vita sociale. Per capire meglio i geni e le vie biochimiche che controllano la produzione di tossine nelle alghe, il gruppo sta ora indagando quali geni siano attivi nei ceppi tossici rispetto a quelli non tossici. Un compito arduo, perché tutti i genomi finora sequenziati sono molto diversi da quello di queste alghe, e molti geni isolati dai ricercatori sono nuovi e di funzione ignota.
 
Questi sforzi sono giustificati: scoprire i meccanismi molecolari della guerra chimica, del comportamento truffaldino e della crescita ottimale potrebbe portare a nuove applicazioni, e soprattutto rivelare un tallone d’Achille per frenare le fioriture algali. I ricercatori puntano infatti a minare le capacità competitive da cui dipende il successo di queste popolazioni, studiando il modo in cui la selezione naturale opera durante una fioritura. Ma Driscoll si spinge oltre. La capacità delle alghe imbroglione di continuare a crescere quando per le loro sorelle tossiche non è più possibile, ricorda in qualche modo le cellule tumorali, che possono proliferare a discapito di quelle normali. Questo vantaggio immediato, però, senza un controllo si rivela molto miope, una sorta di boomerang o di arma a doppio taglio. Alla lunga, infatti, interferisce con il funzionamento di base e la sopravvivenza dell’organismo di cui tutte le cellule fanno parte.
 
«Quello che si può vedere con le nostre alghe è una versione – anche se molto meno estrema –  di una storia simile, perché un vantaggio a breve termine nel non produrre tossine può interferire con la capacità competitiva a lungo termine della popolazione», spiega il ricercatore. L’egoismo e la truffa, insomma, sono strade pericolose, e per scongiurare scenari infausti è più saggio spartirsi onestamente le risorse e cooperare. Chissà, magari anche le nostre azioni, prima o poi, ne terranno conto.

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