Con i suoi giganteschi monoliti disposti a cerchio, Stonehenge è uno dei più importanti luoghi rituali e siti archeologici che siano giunti fino a noi dal neolitico. Così importanti che è difficile immaginarne uno in grado di reggere il confronto. Eppure, a poco più di 3 chilometri da Stonehenge, gli archeologi hanno rinvenuto le tracce inequivocabili di un sito neolitico ancora più grande: una Super-Stonehenge formata da 90 monoliti disposti a semicerchio, la traccia di uno dei siti più monumentali del neolitico giunti fino a noi.
Alcuni dei giganteschi monoliti che formano il sito neolitico di Stonehenge, in Inghilterra (Foto: Wikimedia Commons).
Alla ricerca di una Stonehenge nascosta
Luogo di guarigione o di sepoltura, sito rituale o osservatorio astronomico? Quale funzione svolgesse Stonehenge presso i nostri antenati del neolitico è ancora oggetto di dibattito tra antropologi e archeologi. Quel che è certo è che questo sito era un centro nevralgico della cultura neolitica, per raggiungere il quale le persone erano disposte ad affrontare anche lunghi viaggi lungo le piane del Galles: a testimoniarlo le ossa degli animali qui rinvenute, la cui composizione in termini di isotopi dimostra che provenivano da luoghi molto lontani.
Un ruolo così importante che gli archeologi sono convinti da tempo che esista una Super-Stonehenge, ovvero un sito molto più esteso dell’affascinante cerchio di monoliti a noi noto. Da qui l’idea di scandagliare tutta l’area circostante, alla ricerca di indizi che possano svelare qualcosa in più sulle abitudini rituali dei nostri antenati del neolitico: idea che, cinque anni fa, si è concretizzata nello Stonehenge Hidden Landscapes Project, una collaborazione internazionale tra archeologi inglesi e austriaci. L’obiettivo del progetto è stato quello di descrivere nel modo più dettagliato e, allo stesso tempo, meno invasivo possibile l’area che circonda il sito di Stonehenge.
Non sempre serve scavare, a volte basta una fotografia tridimensionale del terreno
Uno degli aspetti più interessanti di questo studio è che per ottenere la mappa della Stonehenge interrata gli archeologi del Ludwig Boltzmann Institute non hanno dovuto smuovere nemmeno un pugno di terra. L’utilizzo di georadar e magnetometri ha infatti permesso di mappare con una precisione senza precedenti un’area di circa quattro miglia quadrate. Entrambe le tecnologie sono ampiamente usate nelle indagini di prospezione geofisica, ovvero di analisi del sottosuolo finalizzate a sondare siti minerari o petroliferi. Da alcuni anni, queste stesse tecnologie trovano applicazione anche nella ricerca archeologica, diminuendo il rischio di danneggiare strutture interrate.
Il georadar o GPR (dall’inglese ground penetrating radar) fornisce una mappatura del sottosuolo basata sulle onde elettromagnetiche riflesse dal terreno. Se il segnale emesso dal GPR incontra nel terreno superfici con caratteristiche fisiche diverse, le onde verranno riflesse in modo differente: una differenza captata dallo strumento e utilizzata per ricostruire le discontinuità nel sottosuolo, come quelle dovute, per esempio, a un pozzo o una tomba interrati.
Un magnetometro funziona in modo analogo, ma il suo sensore rileva il campo magnetico di strutture interrate: la mappatura con questo strumento è possibile perché edifici o ammassi sepolti hanno un campo magnetico molto diverso da quello terrestre. Quando il magnetometro è associato a un GPS, la mappatura raggiunge un livello di precisione dell’ordine dei centimetri.
In questo video la ricostruzione tridimensionale della Super-Stonehenge (Fonte video: Ludwig Boltzmann Institute).
Una Super-Stonehenge di 4500 anni fa
La mappatura della Super-Stonehenge nascosta ha evidenziato 90 monoliti seppelliti sotto appena un metro di terreno. Questi giganteschi blocchi di pietra, che risalirebbero ad un’epoca antecedente a circa 4500 anni fa, sono alti oltre 4 metri e sono disposti ad arco, come a formare un’immensa arena lunga quasi mezzo chilometro: forse il luogo di riti di gruppo cui partecipavano centinaia di nostri antenati? Gli archeologi ipotizzano che, in origine, i monoliti disposti a semicerchio fossero addirittura duecento, ma in parte siano poi stati spostati e utilizzati in altri siti, come ad esempio il cerchio di Stonehenge a noi noto. Prima di trarre conclusioni affrettate, è evidente che questi risultati dovranno essere confermati da scavi ad hoc; ma, se così fosse, tutti questi indizi confermerebbero che l’area di Stonehenge sia stato uno dei più grandi siti neolitici (e forse uno dei più antichi) al mondo.
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