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Cellule staminali tumorali: viaggio all’origine della malattia

Tre recenti studi forniscono le tanto attese prove dell'esistenza di cellule staminali tumorali. Ma cosa sono esattamente?
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L’esistenza delle cosiddette cellule staminali tumorali, cellule progenitrici causa della formazione e del mantenimento nel tempo dei tumori, è uno dei quesiti a lungo dibattutti nella comunità scientifica che si occupa di ricerca sui tumori. Ora tre studi, pubblicati in contemporanea sulle prestigiose riviste scientifiche Nature e Science agli inizi di agosto, cominciano a fornire prove ed evidenze della loro esistenza. Ma cosa sono esattamente queste cellule e perché è importante studiarle?

La capacità delle cellule tumorali di proliferare in modo aggressivo e la difficoltà di eliminarle con le terapie oggi a disposizione rappresenta uno degli aspetti più frustranti della ricerca oncologica. Negli ultimi anni, è stata formulata una nuova teoria che potrebbe cambiare il modo in cui guardiamo ai tumori e, cosa più importante, cerchiamo di curarli. L’ipotesi riguarda l’esistenza di cellule staminali tumorali, una teoria che è stata a lungo oggetto di dispute tra i ricercatori. Adesso, tre nuovi studi forniscono, in tumori diversi, la tanto attesa dimostrazione dell’esistenza di queste cellule, vale a dire di un gruppetto di cellule cancerose responsabili, da sole, della formazione dei tumori e del mantenimento della malattia nel tempo.
 
Che cosa sono le cellule staminali tumorali?
Il termine nasce dal parallelo con la controparte «sana». In una persona adulta, le cellule staminali sono quelle che danno origine a tutte le cellule di un certo tessuto, come ad esempio le cellule staminali del midollo osseo generano globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Oltre alla capacità di differenziare in tutti i tipi di cellule presenti in un certo tessuto, le cellule staminali possiedono anche un’altra proprietà: quella di autorinnovarsi. In altre parole, le cellule staminali possono generare copie di se stesse, che garantiranno per tutta la vita di una persona una fornitura continua di cellule più differenziate e mature.
Per analogia, si chiamano cellule staminali tumorali quel piccolo gruppo di cellule che è in grado di proliferare praticamente all’infinito e di dare origine alle altre cellule che costituiscono il tumore (in cui spesso sono infatti presenti cellule a diversi stadi di maturazione).
 

Il principio alla base dell'ipotesi delle cellule staminali tumorali: la terapia convenzionale elimina la maggior parte delle cellule tumorali, ma risparmia la frazione quiescente di cellule staminali cancerose, che con il tempo rigenereranno l'intero tumore (schema in basso). Una terapia davvero efficace dovrebbe mirare ad eliminare proprio le cellule staminali tumorali, estirpando il tumore alla radice ed ostacolando il rischio di ricadute (schema in alto) (Immagine: Wikimedia Commons)

Da dove nasce l’ipotesi delle cellule staminali tumorali?
L’idea che alla base della generazione continua di cellule tumorali ci sia una popolazione di cellule con caratteristiche staminali deriva in gran parte dall’osservazione dei pazienti oncologici. In molti tipi di tumori è infatti possibile riscontrare un andamento tipico, che può essere grossolanamente riassunto così (vedi immagine): al paziente affetto da tumore vengono somministrati farmaci in grado di uccidere tutte le cellule che proliferano molto velocemente, come sono appunto quelle dei tumori. Questa terapia riesce in genere ad eliminare la maggior parte delle cellule cancerose, diminuendo drasticamente la massa del tumore, fino quasi a farlo scomparire. A volte, però, dopo un periodo di tempo che varia a seconda del tumore (da pochi mesi fino a molti anni), la malattia ricompare nuovamente.
Sulla base di queste osservazioni, i ricercatori si sono chiesti come fosse possibile che la malattia, apparentemente scomparsa, potesse riemergere addirittura anni dopo la terapia. Dove finiscono le cellule tumorali per tutto quel tempo? Perché la ricaduta della malattia non si ripresenta subito dopo la fine della terapia, come sarebbe logico attendersi?
Una delle risposte più affascinanti dal punto di vista biologico riguarda proprio l’esistenza di cellule staminali tumorali: queste cellule (che, come la controparte sana, si troverebbe in uno stato di semi-ibernazione) non proliferano tanto quanto le altre cellule del tumore e sarebbero quindi protette dall’azione della chemioterapia. In aggiunta, è possibile che queste cellule staminali del tumore possano annidarsi in siti «protetti» del nostro corpo, dove possono rimanere indisturbate per molto tempo, anche anni, fino a quando uno stimolo arriva a risvegliarle, causando la ripresa della malattia. Ad esempio, nel caso dei tumori del sangue è stato ipotizzato che le cellule staminali leucemiche vadano a rintanarsi all’interno del midollo osseo, proprio nella stessa «nicchia» che accoglie e protegge le cellule staminali sane.
 
I primi passi alla scoperta delle cellule staminali tumorali
Per testare la veridicità di questa teoria, molti ricercatori si sono buttati anima e corpo nello studio di questo speciale gruppo di cellule tumorali. Tra gli approcci più utilizzati, quello di isolare frazioni di cellule tumorali, trapiantarle e verificare se il tumore era in grado di ricrescere a partire solo e soltanto da quel gruppo di cellule. Questa strategia ha dato risultati incoraggianti, soprattutto nel campo delle leucemie. Tuttavia, i risultati ottenuti sono stati giudicati da parte della comunità scientifica come non pienamente esaustivi, se non addirittura controversi.
Una delle critiche più ricorrenti riguarda il modo in cui si è deciso di studiare le cellule staminali tumorali. La strategia del trapianto, pur indicando la capacità delle cellule trapiantate di dare origine ad un nuovo tumore, pecca di aderenza a quello che è lo sviluppo naturale di un tumore. Per spiegare questo concetto basti immaginare la cellula tumorale al centro di una catena di eventi a cascata: all’inizio sono solo poche cellule, poi sempre più: la massa del tumore si amplia, ma il fenomeno non si limita a questo. Le cellule tumorali iniziano a produrre molecole e fattori di crescita che aiutano il tumore a crescere ancora di più, ma finiscono per influenzare anche le cellule dei tessuti adiacenti. Queste ultime, anche se non sono strettamente cellule tumorali, finiscono per partecipare e sostenere attivamente l’espansione del tumore. Nell’insieme, tutte queste molecole, fattori di crescita e cellule adiacenti formano quello che viene definito «microambiente tumorale».
I detrattori dei primi approcci sperimentali si appigliano proprio a questo: se le ipotetiche cellule staminali tumorali vengono estirpate dal microcosmo in cui si sono sviluppate, le loro caratteristiche intrinseche verranno inevitabilmente cambiate. Per dirla con le parole di uno dei ricercatori più impegnati in questo settore che ha pubblicato uno dei tre recenti studi, Cédric Blanpain dell’Università Libera di Bruxelles, questo approccio “ci dice cosa queste cellule sono in grado di fare, non cosa fanno normalmente”.
 

Glioblastoma: un tumore del cervello utilizzato dal gruppo di Luis Parada per gli studi sulle cellule staminali tumorali   (Immagine: Wikimedia commons)

La nuova alba delle cellule staminali tumorali
La domanda rimasta irrisolta fino ad oggi è quindi: come si comportano, se davvero esistono, le cellule staminali all’interno di un ambiente tumorale «naturale»? È possibile studiarle senza bisogno di manipolarle e trapiantarle in un altro animale?
Per rispondere, tre gruppi di ricercatori sono ricorsi a metodi di marcatura genetica delle cellule con coloranti fluorescenti, in modo da poterne seguire passo passo le mosse in base alla distribuzione del colore. Così facendo, sono emersi dati a supporto della teoria delle staminali tumorali in almeno tre modelli animali murini: quello di adenomi intestinali, del glioblastoma e di tumori della pelle.
Ad esempio, utilizzando un modello di adenomi intestinali (tumori benigni che tuttavia possono degenerare), ricercatori dell’Università di Utrecht, guidati dallo staminalista Hans Clevers, hanno dimostrato, in un articolo apparso su Science, che i diversi tipi di cellule comunemente rinvenute in un tumore spontaneo derivano tutte da un’unica cellule staminale iniziale, come indicato dalla presenza di un unico colore nelle diverse cellule.
Risultati simili sono stati ottenuti anche dal gruppo di Luis Parada, dell’Università del Texas (USA), nel caso del glioblastoma, uno dei tumori al cervello più aggressivi. Oltre a confermare l’origine del tumore da un’unica cellula, in questo studio pubblicato su Nature viene fornita anche la dimostrazione di come le cellule staminali tumorali siano responsabili del riaffiorare della malattia dopo trattamento.
E alle stesse conclusioni sono pervenuti anche gli studi sui tumori della pelle in modelli animali murini, effettuati dal gruppo di Cédric Blanpain e pubblicati anch’essi su Nature.
 
Il futuro delle ricerca sulle cellule staminali tumorali
Fermo restando che ogni tumore è una patologia a sé e che i risultati degli studi qui discussi dovranno trovare conferma in altri modelli, questi esperimenti forniscono, per la prima volta, la dimostrazione dell’esistenza di cellule staminali tumorali all’interno dell’ambiente «naturale» in cui la malattia si sviluppa e prende poi piede. L’ipotesi che quanto osservato fino ad oggi dai ricercatori sia effetto di artefatti sperimentali perde quindi forza e cresce l’entusiasmo per quello che promette essere un cambiamento drastico nel modo in cui biologi e medici guarderanno alla più temuta patologia dei nostri giorni.
La vera sfida adesso non sarà più colpire le cellule proliferanti del tumore, bensì andare a stanare ed eliminare quella piccolissima frazione di cellule che, nascosta nelle retrovie, permette al tumore di rigenerarsi all'infinito.

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