A scuola insegnano che l’acqua distillata, a pressione di una atmosfera, bolle a 100 gradi centigradi. E infatti se si misura con un termometro l’acqua di una pentola in ebollizione, a meno che non vi troviate in alta montagna, il valore sarà intorno ai 100 °C. Quello che è meno noto è che esistono particolari condizioni nelle quali l’acqua può rimanere allo stato liquido quando è a contatto con un materiale anche a decine di gradi oltre la temperatura di ebollizione.
Il fenomeno è noto come effetto Leidenfrost, e anch’esso è facilmente osservabile: a una certa temperatura oltre i 100 gradi centigradi una goccia d’acqua posta su una padella, invece di evaporare istantaneamente, scivola sul piano e può rimanere nella sua forma liquida anche diversi minuti. Questo accade grazie a un cuscinetto di vapore che «protegge» il resto della goccia.
La conoscenza è nulla senza controllo
Qual’è la temperatura alla quale scatta l’effetto Leidenfrost? La risposta è che non si può conoscere facilmente a priori, e il parametro fondamentale per la sua determinazione è la natura del materiale. Un lavoro appena pubblicato su Nature promette appunto di riuscire a controllare meglio questo singolare fenomeno descritto nel lontano XVIII secolo. La chiave è nella proprietà idrofile e idrofobe: più un materiale è idrofilo, cioè più l’acqua tende ad aderire alle sue superfici, più basse saranno le temperature a cui scatta l’effetto Leidenfrost. Al contrario più il materiale è idrofobo, più l’effetto sarà possibile a temperature alte.
Gli scienziati hanno ricoperto delle sfere di metallo con un rivestimento superidrofobico e hanno riscontrato che, una volta riscaldate fino a 400 gradi e messe in acqua a temperatura ambiente, si osservava un effetto Leidenfrost molto stabile. Al contrario, nelle analoghe sfere con superficie idrofila, il cuscinetto di vapore collassava rapidamente generando e l’acqua intorno alla sfere cominciava a bollire.
Quali i possibili utilizzi di tutto ciò?
Questa scoperta tornerà sicuramente utile in ogni situazione ove sia necessario controllare gli scambi di calore, e tenuto conto che l’acqua è di gran lunga uno dei liquidi più usati nei processi industriali, dalla tempratura dei metalli alla produzione di energia elettrica, lo spettro delle possibili applicazioni è molto esteso. Gli autori, ad esempio, suggeriscono che in base a queste nuove conoscenze sarà possibile gestire con più sicurezza situazioni critiche come quella di un reattore nucleare in avaria, dove le esplosioni di vapore sono sempre in agguato (lo abbiamo visto di recente a Fukushima).