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Bosone di Higgs: intervista a Ugo Amaldi

È stato ancora una volta un seminario tenutosi al CERN a far parlare di fisica i mezzi di comunicazione di tutto il mondo. Solo qualche mese dopo l’esperimento italiano che avrebbe individuato neutrini più veloci della luce, stavolta è stata la caccia al bosone di Higgs a finire sotto l’occhio di bue mediatico: la particella non è stata «vista», ma i ricercatori hanno un’idea molto più precisa di dove andare a cercare. Per aiutarci a comprendere il senso dei risultati italiani presentati durante il seminario abbiamo intervistato Ugo Amaldi
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È stato ancora una volta un seminario tenutosi al CERN a far parlare di fisica i mezzi di comunicazione di tutto il mondo. Solo qualche mese dopo l’esperimento italiano che avrebbe individuato neutrini più veloci della luce, stavolta è stata la caccia al bosone di Higgs a finire sotto l’occhio di bue mediatico: «la particella di Dio» non è stata «vista», ma i ricercatori hanno un’idea molto più precisa di dove andare a cercare. Per aiutarci a comprendere il senso dei risultati italiani presentati durante il seminario abbiamo intervistato Ugo Amaldi.

Una visualizzazione al computer di uno degli eventi registrati dall’esperimento ATLAS (Immagine: CERN)

Il 13 dicembre scorso la comunità scientifica e i media di tutto il mondo erano in fibrillazione per il seminario organizzato al CERN di Ginvevra in cui i portavoce di due dei più importanti esperimenti in corso, ATLAS e CMS, hanno comunicato lo stato di avanzamento nella caccia al bosone di Higgs, l’uncia particella prevista dal Modello Standard che non è ancora stata «fotografata» sperimentalmente. Risultati che parlano italiano Alla fine, il bosone di Higgs non è stato trovato, ma gli italiani Fabiola Gianotti e Guido Tonelli, coordinatori rispettivamente del progetto ATLAS e del progetto CMS, hanno espresso la soddisfazione delle migliaia di persone che hanno lavorato agli esperimenti e di coloro che li hanno seguiti dall’esterno, perché si è notevolmente ristretto dove bisogna andare a guardare: se il bosone di Higgs esiste deve avere un’energia di circa 125 gigaelettronvolt (GeV). Della Gianotti, inoltre, la battuta migliore del seminario: «sarebbe stato molto carino da parte del bosone di Higgs essere qui con noi» («it would be very kind of Higgs boson to be here»). Il direttore delle ricerche del CERN, Sergio Bertolucci, anche lui italiano, ha dichiarato alla stampa che questi risultati «hanno ridotto i possibili nascondigli della tigre da un’intera giungla a un piccolo cespuglio in cui abbiamo intravisto degli ondeggiamenti». Per raggiungerli i team dei due esperimenti hanno lavorato parallelamente e senza comunicare tra di loro, in modo da non inquinare i dati. Infatti, perché si possa parlare effettivamente dell’avvistamento di una particella all’interno dell’anello del Large Hadron Collider (LHC) che scorre sotto il suolo svizzero e francese, l’evento deve essere registrato contemporaneamente da due apparecchi sperimentali indipendenti, come sono ATLAS e CMS. Per addentrarci nei dettagli dell’esperimento e per capire quali possono essere i risvolti per la ricerca in questo settore, ci siamo rivolti a Ugo Amaldi, professore dell’Università di Milano Bicocca, presidente della Fondazione Tera e autore di numerosi libri di fisica. Professore, che cosa è stato effettivamente comunicato a tutto il mondo con il seminario dello scorso 13 dicembre? La cosa più importante che è stata annunciata, e si tratta di un fatto accertato, è che la particella di Higgs, quella che rivela l’esistenza del campo di Higgs, ha una massa inferiore ai 130 GeV. È un risultato molto importante, perché con i risultati ottenuti con Lep che si sono chiusi nel 2000, io e il mio gruppo di ricerca al CERN avevamo dimostrato che il bosone di Higgs doveva avere una massa superiore ai 114 GeV. Dato che entrambi gli esperimenti di cui si è parlato il 13 dicembre scorso al seminario hanno escluso la possibilità che il bosone di Higgs abbia un’energia superiore a 130 GeV, è stata individuata una finestra di energia dentro la quale la particella che cerchiamo può esistere. Non solo, ma i due esperimenti hanno anche escluso qualche GeV nella «parte bassa» di questo intervallo, passando da un limite inferiore di 114 GeV dei nostri esperimenti agli attuali 117. La cosa interessante che discende da questo fatto accertato è in accordo con quanto prevede il modello della supersimmetria. Infatti, se i risultati di ATLAS e CMS ci avessero indicato un intervallo con energie più grandi, per esempio oltre i 250 GeV, questo sarebbe stato inconsistente con i modelli supersimmetrici, che prevedono una particella di Higgs leggera, inferiore ai 135-140 GeV, come effettivamente indica la finestra tra 117 e 130 GeV. Questo non è un fatto sperimentale, ma diciamo è un’indicazione interessante per la supersimmetria.  

Gli apparati sperimentali di CMS durante una fase di manutenzione (Immagine: CERN)

I risultati di ATLAS e CMS si sono quindi solamente limitati a restringere l’intervallo di energia dove si dovrebbe poter trovare la particella di Higgs?
No, entrambi gli esperimenti ci hanno detto anche altro. La rilevanza dei risultati è data anche dal fatto che nell’intervallo di energia 117-130 GeV ci sono degli eventi, ovvero come chiamiamo in gergo tecnico gli scontri tra protoni, in più rispetto a quelli che ci si aspetterebbe se la particella di Higgs non esistesse. Mi spiego più in dettaglio. Il Modello Standard ci permette di calcolare quale numero di eventi con particolari configurazioni finali ci aspettiamo che accadano in quell’intervallo di energia. Tra tutte quelle possibili ce ne sono alcune che possono esistere solamente prevedendo il contributo della particella di Higgs. Quindi quello che si fa è che si va a osservare esattamente quante configurazioni finali che prevedono il decadimento del bosone di Higgs si sono verificate. Ebbene, i risultati di ATLAS e CMS hanno registrato un numero di occorrenze in eccesso rispetto a quello che noi fisici chiamiamo rumore di fondo.
Questa parte dell’esperimento è più difficile di quella di cui abbiamo parlato prima, perché bisogna conoscere tutti i possibili canali di decadimento del bosone di Higgs, canali che sono popolati dalla fisica che già conosciamo. È su questo che bisogna riconoscere un grande merito al lavoro di tutte le migliaia di ricercatori che hanno lavorato ai due esperimenti, perché entrambi gli esperimenti funzionano molto meglio di quanto di potessimo aspettare e le analisi sono di estrema sofisticazione. È qui che tra tutti i partecipanti al seminario e tra tutti quelli che conoscono la fisica sta il maggiore piacere intellettuale, perché non ci interessa solo sapere se il bosone c’è o non c’è, ma giudicano la qualità dell’analisi dei dati da cui possono arrivare anche eventuali scoperte.
Quindi è d’accordo con chi sostiene, come Sergio Bertolucci, che probabilmente nel 2012 si arriverà a un risultato definitivo sul bosone di Higgs?
Il numero di eventi registrato dipende da quanto tempo la macchina ha funzionato. È stato sottolineato più volte come l’acceleratore abbia dato cinque volte più eventi rispetto a quello che ci si aspettava per il 2011. Si tratta di un fattore enorme, ma nonostante questo, il numero di eventi in eccesso rispetto al rumore di fondo sono complessivamente una manciata, sufficienti a dire che in quella zona c’è qualcosa. Non solo, ma questi eventi che sono stati registrati concordano con quanto ci aspettiamo dalla particella di Higgs. Ma che significato hanno queste osservazioni? Facendo i conti con i dati presentati, la probabilità che questi eventi in eccesso rispetto al rumore di fondo, registrati su più canali da entrambi gli esperimenti, siano una fluttuazione statistica è dell’ordine del 5%. Vorrebbe dire che questo risultato è probabile al 95%. Ecco, su questo punto c’è maggiore divisione tra i fisici, almeno a sentire anche le discussioni che avvengono nei corridoi del CERN. Perché determinare davvero quanto sia questa probabilità non è semplice, dato che intervengono molti fatti sistematici difficili da valutare.
Visto quanto bene hanno funzionato gli apparati sperimentali finora, ha ragione Sergio Bertolucci, perché l’anno prossimo si potrebbe aspettarsi di moltiplicare il numero di eventi per un fattore tre o quattro. Quindi gli eventi aumentano, passando da una manciata a qualche decina, e a quel punto il calcolo statistico probabilmente potrebbe far scendere a uno su un milione la probabilità che ci sia una fluttuazione. Uno su un milione è la fluttuazione statistica accettata dal CERN e dalla comunità scientifica tutta per dire che c’è una scoperta. Quando la fluttuazione statistica ottenuta mettendo insieme i risultati di ATLAS e di CMS sarà inferiore a uno su un milione, allora potremo dire di aver scoperto la particella di Higgs.

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