Dopo anni di paralisi causati da una malattia neurodegenerativa, Jim Schuermann, trentaseienne americana, è tornata a compiere gesti semplici come mangiare della cioccolata: ad aiutarla un braccio robotico collegato al suo cervello.
Jan Scheuermann è finalmente riuscita a mangiare la cioccolata: una notizia che non farebbe certo scalpore se Jan Scheuermann non fosse tetraplegica da più di quindici anni e completamente incapace di compiere autonomamente un gesto semplice come mangiare da sola. Alzare il braccio, afferrare il cibo e portarlo alla bocca: per la maggior parte di noi questi sono movimenti banali, che ripetiamo distrattamente decine di volte al giorno. Ma Jan Scheuermann non compiva nessuno di questi gesti da anni: se oggi ci è riuscita è grazie al braccio robotico progettato dalla John Hopkins University, in collaborazione con un team di neuroscienziati della University of Pennsylvania.
Jan Scheuermann è finalmente riuscita a mangiare la cioccolata: una notizia che non farebbe certo scalpore se Jan Scheuermann non fosse tetraplegica da più di quindici anni e completamente incapace di compiere autonomamente un gesto semplice come mangiare da sola. Alzare il braccio, afferrare il cibo e portarlo alla bocca: per la maggior parte di noi questi sono movimenti banali, che ripetiamo distrattamente decine di volte al giorno. Ma Jan Scheuermann non compiva nessuno di questi gesti da anni: se oggi ci è riuscita è grazie al braccio robotico progettato dalla John Hopkins University, in collaborazione con un team di neuroscienziati della University of Pennsylvania.
La storia di Jan, tertraplegica da quindici anni
Jan Scheuermann aveva appena trentasei anni quando, nel 1996, comparvero i primi segni di degenerazione spinocerebellare, una grave e rara malattia neurodegenerativa caratterizzata dal progressivo deterioramento delle connessioni che collegano i nervi ai muscoli. Il risultato è che i pazienti affetti da questa malattia non sono più in grado di controllare i movimenti volontari dei muscoli: qualsiasi attività quotidiana, dal vestirsi al mangiare, diventa in breve un ostacolo insormontabile.
Per cercare di ripristinare almeno in parte le capacità motorie di pazienti come lei, gli neuroscienziati sono al lavoro da anni per mettere a punto un sistema in grado di collegare una protesi meccanica al cervello di questi pazienti (ricordiamo che la malattia colpisce le connessioni tra nervi e muscoli, non il cervello, che invece rimane perfettamente funzionante).
Brain-computer interface: dove il cervello e il computer si incontrano
Quello di creare macchine in grado di “interpretare” il pensiero umano e convertirlo in un’azione è un sogno di vecchia data, di cui si è ampiamente nutrita non solo la letteratura, ma anche la scienza stessa. A partire dagli anni Settanta, diversi ricercatori hanno lavorato su progetti di brain-computer interface (interfaccia cervello-computer o BCI). Lo scopo è quello di capire se si possa “mettere in comunicazione” il cervello umano con una macchina o una protesi esterna all’individuo. Grazie a questi studi, alcune persone paralizzate sono riuscite, ad esempio, a controllare il movimento di un cursore sullo schermo di un computer. Ma se è possibile controllare un cursore, perché non provare a controllare qualcosa di più, come ad esempio un arto? E se anche una persona può controllare una protesi robotica, potrebbe farlo in modo abbastanza preciso da permettere di gestire il braccio meccanico come se fosse il proprio? Riuscirci significherebbe riaprire a persone paralizzate la possibilità di comunicare ed interagire – in modo autonomo – con il mondo esterno.
Tornare a mangiare cioccolata
Quando Jan Scheuermann è venuta a conoscenza degli studi condotti alla University of Pennsylvania si è messa subito in contatto con gli scienziati per essere inserita nel loro programma.
I neurochirurghi hanno quindi impiantato nel cervello di Jan dei micro-elettrodi (quadratini delle dimensioni di 4 mm di lato) in grado di “catturare” i segnali che, nella corteccia motoria, controllano i movimenti volontari del braccio e della mano. Questi segnali sono poi stati trasmessi ad un computer che li ha trasformati in comandi per il controllo di un braccio robotico esterno.
I risultati, straordinari, sono sotto gli occhi di tutti, come si può vedere in questo video:
Tra le sequenze più significative del video rilasciato dalla UPMC (tra parentesi sono indicati i minuti e i secondi ai quali è possibile rintracciare la sequenza indicata) segnaliamo:
- I "sette gradi di libertà" del braccio robotico e il tipo di movimenti che consente ai pazienti cui viene collegato (1:31);
- La paziente si esercita nell'utilizzare il braccio robotico per sollevare e spostare oggetti di diversa forma e dimensione (4:23);
- Il successo finale: la paziente tetraplegica è finalmente in grado di afferrare una tavoletta di cioccolata e a darle un morso (6:30).
Già qualche mese fa, un altro gruppo di ricerca aveva riportato risultati simili in due persone tetraplegiche. Sempre grazie all’utilizzo di un braccio robotico, due pazienti erano riusciti a controllare alcuni movimenti del braccio e della mano. Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, mostra un ulteriore e significativo passo avanti nell’utilizzo di queste protesi. Come dimostra il video di cui è protagonista Jan Scheuermann, con il giusto allenamento, i pazienti possono imparare a controllare il braccio robotico con grande precisione: si tratta dei risultati più incoraggianti mai raggiunti finora nell’utilizzo di una protesi robotica da parte di pazienti tetraplegici. Quella che fino a poco tempo fa poteva sembrare vera e propria fantascienza si sta realizzando davanti ai nostri occhi e anche un gesto banale come mangiare della cioccolata può rappresentare un risultato scientifico straordinario. Lo sa bene Jan Scheuermann che, facendo il verso a Neil Armstrong, ha commentato così il successo del braccio robotico: «un piccolo morso per una donna, un morso gigantesco per la BCI (brain-computer interface, ndt)!»