Niente di nuovo sotto il sole
Gli 800 studi analizzati dai 22 ricercatori che hanno preso parte al grosso lavoro di revisione della letteratura sono noti da tempo e hanno già influenzato le linee guida in materia di salute pubblica dell’ultimo decennio. Il World Cancer Research Found, la più grande autorità mondiale che si occupa di prevenzione oncologica, raccomanda di mangiare meno di 500 g di carne rossa a settimana, pochissimi dei quali di carne lavorata. Il team messo insieme dall’IARC ha incrociato tutti dati già disponibili e ha concluso che ci sono indizi sufficienti per affermare che consumare 50 g al giorno di carne processata fa aumentare del 18% il rischio di ammalarsi di tumore al colon-retto. Per quanto riguarda la carne rossa, le prove a suo carico non sono così forti da poterla definire "cancerogena" ma solo "probabilmente cancerogena" e fornire delle percentuali di rischio sarebbe quindi molto più difficile.Cancerogeno sicuro o probabile. L’importanza delle classificazione
Lo IARC ha ideato un sistema di catalogazione delle sostanze cancerogene – o presunte tali – basato su cinque gruppi (o classi). Si va dal gruppo 1, che comprende le sostanze cancerogene per l’uomo, al gruppo 4, dove vengono raggruppate le sostanze probabilmente non cancerogene per l’uomo, passando per il 2A (probabilmente cancerogene), il 2B (possibilmente cancerogene) e il 3 (non classificabili). La carne processata o lavorata è stata classificata come appartenente al gruppo 1, gruppo nel quale rientra anche la radiazione solare, il fumo, l’arsenico e l’inquinamento atmosferico. La carne rossa in generale rientra nel gruppo 2A e trova posto accanto al glifosato, il piombo o la professione del parrucchiere. Questa classificazione è stata motivo di qualche fraintendimento e di paragoni poco corretti (mangiare una fetta di salame è come fumare una sigaretta, per fare un esempio). Questo è dovuto al fatto che non si tratta, come si potrebbe erroneamente pensare, di una classificazione di pericolosità ma di una misura della sicurezza con cui gli scienziati si esprimono sulla cancerogenicità di una sostanza. In altre parole, una sostanza in classe 1 non è più pericolosa di una sostanza in classe 2, ma bensì esistono prove più convincenti del suo effetto sull’uomo. Allo stesso modo, una sostanza classificata oggi in classe 3 perché non esistono studi che ne analizzano l’effetto sullo sviluppo dei tumori, domani, alla luce di nuovi studi, potrebbe balzare in classe 1.
Illustrazione del Cancer Research UK, una delle più prestigiose istituzioni di ricerca sul cancro al mondo, che mostra lo schema dei gruppi previsto dallo IARC (Illustrazione: Cancer Reseach UK)
Questione di numeri
Per lo stesso motivo per il quale non si può stilare una classifica di pericolosità tra sostanze appartenenti a gruppi diversi, non è possibile nemmeno fare paragoni tra agenti cancerogeni dello stesso gruppo. Perché non si possono paragonare i würstel con il fumo o l'inquinamento atmosferico? Perché la classificazione IARC non si occupa di quanto una sostanza sia cancerogena o della stima del rischio, ma semplicemente di quanto siano certe le prove a suo carico. E i numeri lo provano. Secondo le stime più recenti, il consumo di carne processata è associato a 34.000 casi di morte per cancro all’anno in tutto il mondo. Per confronto, l’inquinamento atmosferico ne causa 200.000, l’alcol 600.000 e il fumo un milione.
Comparazione tra la pericolosità del tabacco e della carne (Illustrazione: Cancer Research UK)
18% in più ma di quanto?
Un altro aspetto da considerare per rispondere alla nostra domanda di partenza (la carne rossa è pericolosa per la salute?) è che le indicazioni IARC non sono relative ai singoli individui ma vanno lette in chiave globale. Appurato che il consumo di 50 g al giorno di carne lavorata aumenta il rischio di ammalarsi di tumore al colon del 18% resta da chiedersi: il 18% di cosa? Ed è qui che entrano in ballo i rischi reali di ogni singola persona. Una persona con una storia di familiarità per questa malattia o con importanti fattori di rischio, come ad esempio un’infiammazione cronica del tratto gastrointestinale, avrà già un livello di rischio di base elevato. D’altra parte, può succedere che, per fattori genetici e stile di vita, una persona abbia un rischio basso di partenza di sviluppare il cancro. Il 18% di un rischio piccolo, quindi, causerà matematicamente solo una piccola oscillazione.Tutta colpa dell’eme
Fatte le numerose precisazioni "linguistiche" del caso, l’articolo dello IARC fornisce informazioni interessanti sui meccanismi molecolari che rendono la carne rossa cancerogena. Le carni rosse devono il loro colore a due proteine di cui i loro tessuti sono ricchi: l’emoglobina e la mioglobina. Entrambe contengono il gruppo eme, una molecola che cattura l'ossigeno e lo rende disponibile per la produzione di energia. Ed è proprio al centro del gruppo eme che si trova l’atomo di ferro che, con il suo potere ossidante, è in grado di danneggiare il DNA cellulare soprattutto quando rimane a contatto per lungo tempo con la mucosa dell’intestino. Ma non è tutto. Sembra infatti che dalla digestione della carne si formino alcuni composti che cambiano in peggio il microbioma (cioè le popolazioni di batteri) che colonizza l’intestino. Anche la lavorazione della carne veste un ruolo importante. Negli insaccati e nelle carni lavorate si trovano composti azotati e idrocarburi policiclici aromatici che possono agire direttamente sul DNA. La cottura alla griglia o in padella, infine, porta alla formazione di ammine eterocicliche, anch'esse ritenute potenzialmente cancerogene.Carne sì o carne no?
Lo studio dell’IARC fornisce una fotografia dettagliata di quanto si conosce finora sui rischi associati al consumo di carne rossa. Carne sì o carne no, quindi? Sì, se mangiata nelle quantità raccomandate e se associata a una dieta equilibrata. I risultati dello studio dello IARC, tuttavia, non hanno lo scopo di definire strategie alimentari o di consigliare una dieta piuttosto di un’altra, ma sono una solida base di partenza per formulare nuove raccomandazioni dietetiche. Immagine box: Flickr /CC BY-SA 2.0 Immagine banner: Wikimedia Commons


