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Carta ingiallita: la chimica del tempo che passa

L'ossidazione della cellulosa è il fenomeno colpevole dell'ingiallimento della carta. Un nuovo studio ci porta più vicini alla comprensione della chimica che si cela dietro questo fenomeno.
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Combattere l'ingiallimento della cellulosa, componente fondamentale della carta e quindi di molti libri e documenti storici, è uno dei crucci di storici e restauratori. Un recente studio getta nuova luce sui dettagli dei meccanismi coinvolti in questo fenomeno.


Per molti storici dell’arte e restauratori, uno dei nemici numero uno è l’ingiallimento della carta. Non solo perché compromette l’estetica di antiche opere d’arte e manoscritti, ma anche perché ne mette a serio repentaglio i contenuti. Le fastidiose macchie giallognole che fioriscono con il tempo sulla superficie della carta possono infatti cancellare del tutto i dettagli di un disegno o rendere illeggibili intere parole.
 

La pagina ingiallita di un volume di meccanica risalente al 1832 (Immagine: Wikimedia Commons)

Da molto tempo si sa che l’ingiallimento della carta è dovuto all’ossidazione della cellulosa, il principale componente della carta, così come veniva prodotta artigianalmente nel passato. Con il tempo, la cellulosa tende infatti a ossidarsi, un processo che altera l’assorbimento della luce da parte della carta e le fa assumere il caratteristico aspetto ingiallito. Responsabili di questo cambiamento sono in particolare i cosiddetti cromofori, molecole generate proprio dall’ossidazione della cellulosa. Fino ad oggi non era chiaro quali cromofori, nello specifico, fossero responsabili dell’ingiallimento, ma un articolo in uscita sulla rivista Physical Review Letters potrebbe gettare nuova luce sulla questione.
 
Cromofori, il colore delle molecole
Chimicamente parlando, i cromofori sono le parti di una molecola in grado di emettere una particolare colorazione. In condizioni basali, i cromofori si trovano in una situazione energeticamente stabile e non emettono alcun colore. Tuttavia, quando colpiti dalla luce, i cromofori assorbono l’energia luminosa e acquisiscono uno stato energetico superiore (fenomeno detto di eccitazione). Per ritornare nelle condizioni di equilibrio energetico che possedevano inizialmente, le molecole devono rilasciare l’energia incamerata: lo fanno emettendo energia sotto forma di radiazione luminosa. La luce rilasciata colpisce con una particolare lunghezza d’onda i nostri occhi, che la percepiranno come colore.
Un gruppo di ricercatori ha esaminato in dettaglio le lunghezze d’onda emesse dai diversi cromofori presenti nella carta ingiallita dal tempo, concludendo che i principali responsabili sarebbero i cromofori aldeidici. Dal punto di vista strettamente chimico, si tratta di cromofori che possiedono un particolare gruppo chimico, detto appunto aldeidico: un atomo di carbonio legato a un atomo di ossigeno (con un doppio legame) e a un atomo di idrogeno (come mostrato nella figura sottostante).
 

La formula di struttura di un'aldeide generica (Immagine: Wikimedia Commons)

 
Cancellare le macchie del tempo?
La scoperta potrebbe avere un’immediata ricaduta pratica nelle metodiche di restauro e recupero di antichi documenti: attraverso l’uso di sostanze chimiche che agiscono come riducenti (e, lavorano, quindi in senso opposto ai processi di ossidazione), i ricercatori sperano di mettere a punto un sistema che consenta di rimuovere o prevenire le odiate macchie giallastre. Gli esperti mettono però in guardia dai possibili rischi: l’uso sconsiderato di simili agenti chimici potrebbe finire per danneggiare in modo ancora più grave i documenti trattati.
Ancora una volta, prevenire è meglio che curare e un’approfondita conoscenza dei meccanismi alla base dell’ossidazione della carta è comunque uno strumento utilissimo per limitare le condizioni che favoriscono il deterioramento di documenti antichi.

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