Un nuovo alleato per la lotta contro i tumori sembra essere stato trovato: è una molecola molto efficace in laboratorio e in prove su animali. Prima di essere certi della sua efficacia anche nell'uomo, bisognerà aspettare i dati della sperimentazione clinica. Vediamo intanto come funziona e perché si ripongono su essa molte speranze.
Un recente studio, pubblicato dalla rivista scientifica PNAS, ha dato nuovo entusiasmo alla ricerca in campo oncologico: un farmaco volto a neutralizzare la molecola CD47 sarebbe in grado di rallentare la crescita e la diffusione di molti tipi diversi di tumore. I risultati appaiono molto promettenti, ma le indagini – per ora condotti esclusivamente in provetta e su animali da laboratorio – dovranno essere confermate nei prossimi anni per accertare l’efficacia del nuovo farmaco nell’uomo.
E il CD47 disse al sistema immunitario: «non mangiarmi!»
La molecola al centro di questo studio, chiamata CD47, è una proteina presente sulla superficie di molte cellule: la sua funzione è quella di evitare che la cellula venga eliminata (o, in termini tecnici, fagocitata) dalle cellule del sistema immunitario, come macrofagi e cellule dendritiche. In altre parole, il CD47 comunica il messaggio «sono innocuo, non mangiarmi!» alle cellule che fanno da sentinella al nostro organismo. Il problema insorge quando anche cellule che andrebbero eliminate esprimono il CD47, come le cellule tumorali: attraverso l’espressione di questa molecola, le cellule del tumore divengono invisibili al nostro sistema immunitario, che di fatto finisce per ignorarle e permette loro di espandersi senza controllo.
CD47 e tumori: una pericolosa alleanza
L’interesse per il CD47 è aumentato quando gli scienziati si sono accorti di tre caratteristiche fondamentali di questa molecola: primo, il CD47 è presente sulle cellule di praticamente tutti i tipi di tumore; secondo, il CD47 è espresso molto di più sulle cellule tumorali che sulle cellule sane; terzo, tanto più le cellule tumorali di un paziente esprimono la molecola CD47, tanto più bassa è purtroppo la sua aspettativa di vita. Tutti questi elementi hanno acceso l’interesse dei ricercatori sul CD47, ora visto come un potenziale bersaglio di nuove terapie anti-tumorali.
Nello studio pubblicato recentemente sulle pagine di PNAS, i ricercatori sono andati a studiare che cosa succedesse alle cellule del tumore se venivano private dell’effetto protettivo del CD47. Utilizzando un’altra proteina (un anticorpo diretto contro il CD47 e chiamato comunemente anti-CD47), le cellule tumorali hanno smesso di crescere e le dimensioni del tumore sono diminuite notevolmente. Fatto ancora più intrigante, l’anticorpo anti-CD47 ha un’azione ad ampio spettro, in grado di colpire cellule di tumori molto diversi, come il carcinoma del seno, della prostata, delle ovaie, del colon, della vescica, ma anche tumori del fegato e del cervello (in particolare, il glioblastoma).
Anti-CD47: come agisce?
Il nuovo farmaco si basa su un anticorpo anti-CD47, vale a dire una proteina che blocca la funzione del CD47. Poiche a questo punto il CD47 non è più in grado di urlare al sistema immunitario “non mangiarmi!”, macrofagi e cellule dentritiche sono ora libere di attaccare le cellule tumorali e fagocitarle. L’effetto di questo farmaco contro il CD47 è stato osservato non solo in provetta, ma anche in topolini trapiantati con cellule tumorali: in una notevole percentuale degli animali trattati, l’espansione e la diffusione del tumore sono state arrestate.
Troppo presto per gridare al miracolo
Come non ci stancheremo mai di ripetere, è necessaria molta cautela ogni volta che si maneggiano i risultati di questo tipi di studi. Non perché l'indagine non sia affidabile, ma perché la strada per arrivare a determinare l’efficacia di una simile cura è ancora molto lunga. Un primo elemento da considerare è che, sebbene la nuova terapia abbia mostrato efficacia sulle cellule tumorali trapiantate nei topi, diversa potrebbe essere la sua azione sui tumori che si sviluppano spontaneamente all’interno del corpo: come noto da diversi anni, le cellule tumorali sono in grado di sopravvivere e di diffondersi anche grazie alla loro capacità di modificare l’ambiente circostante (chiamato in gergo microambiente tumorale). Di questo microambiente fanno parte altre cellule (non necessariamente tumorali) e molecole che aiutano il tumore a sopravvivere, costituendo un ulteriore ostacolo contro cui l’efficacia di nuove terapie deve necessariamente essere testata.
Se anche il farmaco si dovesse rivelare efficace, è poi necessario considerare a fondo i possibili effetti collaterali. La molecola CD47 è infatti presente anche in cellule sane (come molte cellule del sangue) e la somministrazione del farmaco potrebbe avere importanti effetti collaterali. I topolini trattati con il farmaco anti-CD47 sono diventati infatti anemici, ma si sono poi ripresi nel giro di circa quindici giorni. Se una ripresa tanto rapida avverrà anche nell’uomo, solo ulteriori studi clinici potranno dircelo.
Il tumore si combatte su più fronti e con diverse terapie
Un ultimo elemento da considerare è l’interazione con altri farmaci già utilizzati per la terapia dei tumori. Proprio per la capacità delle cellule tumorali di sviluppare molto velocemente dei meccanismi di resistenza ai farmaci, c’è oggi la tendenza ad utilizzare combinazioni di farmaci diversi, piuttosto che puntare tutto su un unico farmaco. Perché queste combinazioni siano efficaci è necessario che i diversi farmaci non entrino in competizione l’uno con l’altro e, soprattutto, che la loro somministrazione non produca intollerabili effetti collaterali, che potrebbero minare la salute del paziente piuttosto che migliorarla.
Per rispondere a tutti questi interrogativi, dovrebbe partire a breve uno studio di sperimentazione clinica nell’uomo (chiamato studio di Fase I), il cui scopo sarà proprio verificare se l’impiego di anti-CD47 nell’uomo è privo di rischi e di pericolosi effetti collaterali. Se questa fase verrà superata, si passerà alle fasi successive di sperimentazione, volte a verificare se questo farmaco è davvero efficace nel limitare la crescita del tumore in pazienti affetti da tumore: la strada verso il miracolo è ancora molto lunga.