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Cercasi SUSY disperatamente

La scoperta del bosone di Higgs ha confermato le previsioni del Modello Standard. Che fine farà invece la supersimmetria se da Lhc non emergeranno prove sperimentali della sua validità? I fisici stanno iniziando a chiederselo.
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È elegante, complicata, attraente. I fisici la chiamano SUSY e non vedono l’ora di avere da «lei» anche solo un cenno, uno spiraglio, una chance. SUSY, ovviamente, non è una donna, ma è il diminutivo di supersimmetria (dall'inglese SUper SYmmetry), un insieme molto complesso di teorie in grado di dare risposta ad alcune delle domande più spinose lasciate in sospeso dal Modello Standard, la teoria che descrive le particelle elementari finora conosciute.
Perché esistono particelle con le caratteristiche del bosone di Higgs? Come mai l’higgsone più leggero ha proprio la massa che i fisici hanno misurato a Lhc? È davvero ipotizzabile la Grande Unificazione delle forze esistenti in natura? Sulla carta SUSY ha già risposto brillantemente a queste domande, ma in pratica non si è ancora fatta viva. Che tradotto vuol dire che delle cosiddette superparticelle previste dalla teoria non si è avuta ancora nessuna traccia sperimentale. Neanche utilizzando Lhc.
 
SUSY allo specchio
La peculiarità delle teorie supersimmetriche è quella di associare a ogni particella bosonica, dotata cioè di spin intero, una particella fermionica, dotata cioè di spin semintero. Allo stesso modo, per ogni fermione è previsto un superpartner bosonico. Visto che il Modello Standard inquadra in tutto 24 particelle e un bosone di Higgs, il Modello Supersimmetrico ne prevede dunque altre 24, ma richiede addirittura che esistano cinque diversi tipi di quelli che vengono chiamati higgsoni, cioè che oltre al bosone di Higgs scoperto lo scorso 4 luglio al Cern ce ne siano altri quattro con una massa più grande. Per comprendere la forza di SUSY, basti pensare che grazie alla presenza di queste nuove particelle, il modello prevede un valore della massa del bosone di Higgs più leggero compatibile con i 125 GeV misurati da ATLAS e CMS.
 

Ricostruzione grafica di un evento di collisione tra protoni all'interno del rivelatore CMS del Cern (Immagine: Cern)

Ma c’è di più. Allo stato attuale SUSY è la teoria più soddisfacente in grado di produrre quella che i fisici chiamano Grande Unificazione delle forze e prevede inoltre l’esistenza di particelle che potrebbero costituire la materia oscura, che secondo le rilevazioni astronomiche costituisce la stragrande maggioranza della materia dell’universo. Questo spiega come mai, dopo la ricerca del campo di Higgs, la caccia alle particelle supersimmetriche sia l’obiettivo principale degli esperimenti che si conducono a Lhc.
 
Bella e impossibile?
Certamente le previsioni di SUSY, da sole, non dimostrano la validità della teoria supersimmetrica, ma rappresentano una chiara indicazione della sua plausibilità. Se avete avuto occasione di parlare con un fisico teorico, saprete infatti che l’eleganza delle equazioni e la semplicità dei risultati suggeriscono che una teoria possa funzionare davvero. Anche per questa ragione non sono passate inosservate le dichiarazioni di Mikhail Shifman, uno dei padri di SUSY, che in un lungo articolo apparso recentemente su arXiv.org ha invitato i colleghi ad abbandonare il cammino delle continue modificazioni della teoria supersimmetrica per aggirare il fatto che le sue numerose versioni non abbiano ancora trovato conferma negli esperimenti. «La natura apparentemente non vuole saperne di confermare la teoria, almeno non nella sua semplice forma originaria», sottolinea Shifman.
 
Sempre più complesso
Nel tempo gli scienziati hanno ideato modelli supersimmetrici sempre più complessi per tenere conto dell’assenza di un segnale positivo alle energie ottenute con le generazioni successive di acceleratori. Lhc rappresenta, in un certo senso, l’ultima chance. E Shifman lo sa. «Non siamo divinità e neppure profeti: in assenza di indicazioni sperimentali, in che direzione dovremmo muoverci?» Si tratta di una domanda pesante come un macigno, che deve essere rimbombata forte anche all’ultima conferenza Hadron Collider Physics di Kyoto, in Giappone, durante la quale sono stati presentati i dati delle ultime sessioni di collisioni tra i protoni made in Cern. Per Mikhail Shifman non ci sono dubbi: se neanche utilizzando le energie raggiunte a Lhc si riuscirà a cavare un ragno dal buco, «sarà tempo di pensare a una nuova idea e mettersi a lavoro per svilupparla.»

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