Che forma ha il Sole? E qual è, esattamente, la distanza tra la Terra e la nostra stella? A prima vista sembrano domande piuttosto banali, ma gli astronomi combattono da decenni con questi quesiti, senza riuscire ad agguantare una risposta definitiva.
Che forma ha il Sole?
L’esatta forma del Sole e i potenziali cambiamenti cui essa può andare incontro non sono mai stati definiti in modo convincente. Che il Sole abbia una forma più o meno sferica sfera è difficile dubitarne. Ma, dal punto di vista astronomico, quanto la sua forma si discosti da una sfera perfetta è rimasta una domanda senza risposta per generazioni di astronomi. La domanda è molto più che una questione di lana caprina. Da tempo ci si chiede se le reazioni termodinamiche che avvengono all’interno della nostra stella possano influenzarne la forma: anche piccolissime deviazioni da una forma sferica perfetta potrebbero infatti condizionare la luminosità del Sole e l’intensità dell’energia da esso irradiata, con conseguenti effetti sul clima terrestre.
Esaminare la forma del Sole dalla Terra non è però cosa semplice. La presenza dell’atmosfera e di turbolenti movimenti di aria che rifrangono la luce proveniente dal Sole rendono qualsiasi misurazione inevitabilmente inaccurata. Il vero cambio di marcia in questo tipo di studi si è avuto nel 2010 con il lancio del Solar Dynamics Observatory (chiamato da tutti SDO), un progetto NASA interamente dedicato allo studio della nostra stella.
Attraverso l’analisi dei dati prodotti da SDO, è stato dimostrato che la forma del Sole è molto più vicina a quella di una sfera perfetta di quello che si fosse propensi a pensare. Fatto ancora più interessante, la sua sfericità non sembra risentire in modo particolare della variabilità cui l’attività solare va periodicamente incontro.
Quattro sono i fattori che gli astronomi prevedevano potessero influenzare la forma del Sole: la forza di gravità, la rotazione, il campo magnetico e, infine, l’attività di turbolenza presente subito sotto la sua superficie. Esperimenti precedenti avevano già permesso di escludere che la gravità e la rotazione potessero avere effetti degni di nota sulla forma del Sole, ma cosa dire del campo magnetico solare?
Immaginiamo che il Sole sia una sfera del diametro di un metro. Grazie all’analisi di circa cinquantamila immagini che SDO ha raccolto nell’arco di due anni e mezzo, gli scienziati hanno dedotto che le variazioni nella forma del Sole sarebbero di circa 17 micrometri, lo spessore di un capello umano. I dati sembrano quindi escludere che le variazioni del campo magnetico possano influenzare in modo significativo la forma della nostra stella, anche se per mettere la parola fine alla questione sarà necessario confermare i risultati su tempi di osservazione che vadano oltre gli attuali due anni e mezzo.
Stando ai risultati attuali, è difficile pensare che cambiamenti nella sfericità del Sole possano giustificare gli sbalzi climatici sulla Terra. Non rimane quindi che indagare la turbolenza del plasma sotto la superficie solare: un campo di cui però gli astronomi ammettono sapere troppo poco per poter trarre conclusioni e su cui solo gli studi futuri potranno darci qualche dettaglio in più. Intanto, l’occhio di SDO continua a scrutare il Sole.
Distanza Terra-Sole: la lunga storia dell’Unità Astronomica
Sembra invece aver avuto lieto fine la travagliata storia dell’unità astronomica (abbreviata in AU, astronomical unit in inglese), vale a dire la distanza che separa il nostro Pianeta dal Sole (circa 150 milioni di chilomentri). Dopo secoli di tentativi volti a definire quella che è una delle principali unità di misura all’interno del Sistema Solare, gli astronomi hanno finalmente raggiunto un accordo sulla ridefinizione dell’unità astronomica. L’annuncio ufficiale è stato dato lo scorso Agosto a Pechino, in occasione del convegno dell’International Astronomical Union: il valore dell’unità astronomica corrisponde, per la precisione, a 149.597.870.700 metri.
Ma perché era così importante ridefinire l’unità astronomica?
Sebbene non rientri nel Sistema Internazionale, l’unità astronomica viene comunemente utilizzata dagli astronomi per la misurazione delle distanze su scala cosmica. Ad esempio, se la distanza tra la Terra e il Sole è (per definizione) pari a 1 au, la distanza che separa Urano dal Sole è di 19,18 au.
La prima misurazione della distanza tra Terra e Sole risale al 1672 ad opera di Giovanni Cassini e del collega Jean Richer, i quali, sfruttando il metodo della parallasse, calcolarono questa distanza in circa 140 milioni di chilometri. In particolare, in base alla definizione originaria, l’unità astronomica corrispondeva al «raggio di un’orbita newtoniana circolare, non perturbata, descritta attorno al Sole da una particella di massa infinitesima, che si muova mediamente di 0,01720209895 radianti al giorno (o costante di Gauss)».
Insomma, una definizione non esattamente intuitiva e, cosa ancora più grave, incapace di attribuire un valore preciso all’unità astronomica. Il calcolo dell’unità astronomica si basava infatti sulla costante di Gauss, il cui valore – con grande disperazione degli astronomi – dipende dalla massa del Sole. La disperazione è giustificata dal fatto che la massa del Sole non è costante: seppure in modo infinitesimo, la nostra stella vede diminuire la propria massa man mano che questa viene convertita in energia radiante. In sostanza, se la massa del Sole varia, anche il valore della costante di Gauss cambia e così fa, di conseguenza, il valore dell’unità astronomica.
Un altro inconveniente della vecchia definizione è dato dalla teoria della relatività dello spazio-tempo, così come enunciata da Einstein. Senza entrare in dettagli, basti immaginare che a seconda di dove si trova l’osservatore che esegue la misurazione (potrebbe essere sulla Terra, così come su un altro pianeta), il valore dell’unità astronomica è destinato a variare. Insomma, un terribile grattacapo.
Sole: la stella a 149.597.870.700 metri da noi
E’ con grandissimo sollievo, quindi, che maggior parte degli astronomi ha accolto l’annuncio della nuova unità astronomica, di cui uno dei massimi promotori è stato Klaus von Klitzing, premio Nobel per la fisica nel 1985.
La nuova definizione si basa, questa volta, sulla velocità della luce. E, grazie al cielo, la velocità della luce rimane costante qualsiasi sia il sistema di riferimento preso in considerazione. Di conseguenza, la misura dell’unità astronomica non è più soggetta a cambiamenti dovuti alla posizione dell’osservatore all’interno del Sistema Solare o alla massa del Sole. Se si parte dalla definizione del metro, vale a dire la distanza percorsa nel vuoto dalla luce in 1 / 299,792,458 di secondo, a separare Terra e Sole sono 149,597,870,700 metri – non un metro in più e non uno in meno.
L’annuncio della nuova unità astronomica non ha certo cambiato il modo in cui guardiamo al Sistema Solare e il Sole non brilla di più o di meno a causa della nuova definizione. Seppure inosservato, un cambiamento significativo c’è però stato: l’enorme semplificazione dei calcoli degli astronomi e, in parte, forse anche della loro vita.