Aula di scienze

Aula di scienze

Persone, storie e dati per capire il mondo

Speciali di Scienze
Materie
Biologia
Chimica
Fisica
Matematica
Scienze della Terra
Tecnologia
I blog
Sezioni
Come te lo spiego
Science News
Podcast
Interviste
Video
Animazioni
L'esperto di matematica
L'esperto di fisica
L'esperto di chimica
Chi siamo
Cerca
Science News

Per una città neutrale si parte dai quartieri

Smart Sustainable Districts nasce per ripensare le città con azioni locali. Ne parliamo con Mario Grosso, ingegnere ambientale e autore Zanichelli

leggi

Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma, Torino: sono le 9 città italiane selezionate dalla Commissione europea per la Missione di Horizon Europe 100 città climaticamente neutrali e smart entro il 2030. Nel nostro paese si erano candidate ben 37 città, e le amministrazioni interessate festeggiano. Ora, però, bisogna rimboccarsi le maniche.

Meglio fare un passo indietro: che cos’è la neutralità climatica? Che cos’è una Missione di Horizon Europe, e che cosa c’entrano le città?

Obiettivo: neutralità climatica in Europa per il 2050

Come spiega Chiara.eco, Horizon Europe è il successore di Horizon 2020, cioè l’attuale Programma quadro dell’Unione europea per il finanziamento della ricerca e innovazione per il periodo 2021-2027. Oltre 95 miliardi di euro dei contribuenti europei sono gestiti attraverso il programma quadro, per finanziare la ricerca scientifica europea in accordo con gli obiettivi di sviluppo concordati. Le Missioni fanno parte di Horizon Europe e sono nate per supportare obiettivi precisi, ambiziosi e misurabili. Al momento sono previste 5 missioni, di cui ben 4 sono del Green Deal (adattamento ai cambiamenti climatici, salvaguardia delle acque, tutela del suolo e città neutrali), e una sulla salute (prevenzione e trattamento del cancro). Tutte e 5 le missioni hanno la stessa scadenza per il traguardo: il 2030.

Per quella data le «città neutrali» puntano ad aver azzerato le proprie emissioni, ovvero a produrre una quantità di gas serra sufficientemente piccola da essere bilanciata da quella assorbita dal pianeta. Ė lo stesso obiettivo che l’Unione Europea si è impegnata a raggiungere entro il 2050, ma è anche quello che chiede al mondo intero l’accordo di Parigi per mitigare gli effetti più nocivi del cambiamento climatico. La “vera” neutralità climatica è quella globale, ma per raggiungerla può essere utile stabilire obiettivi a diverse scale, come una paese o appunto una città.

Per approfondire il tema del cambiamento climatico, puoi leggere il nostro speciale realizzato in occasione della della 26esima conferenza delle parti (COP 26) che si è svolta nel 2021 a Glasgow, in Scozia.

Il senso della missione «città neutrali» è che le 100 città selezionate facciano da apripista, sperimentando soluzioni che possano essere applicate in molte altre città europee, portando l’Unione più vicina al traguardo. Questo perché Il 70% delle emissioni climalteranti vengono dalle città, che infatti consumano il 65% dell’energia, e in Europa ospitano ben il 75% della popolazione.

Ma quando si tratta di ripensare le città, forse la cosa migliore è partire dalle sue sottounità.

Il libro bianco di Smart Sustainable Districts

Da tempo si parla di smart cities, e l’esigenza di rendere gli spazi urbani più vivibili e sostenibili non è nuova. La pandemia, che ci ha costretto a riorganizzare la condivisione degli spazi e gli spostamenti, ha intensificato il bisogno di una città migliore per tutti. È quello che ci chiede anche l’Agenda 2030 (obiettivo 11: città e comunità sostenibili), e si potrebbero fare molti passi avanti nei prossimi anni soprattutto grazie a finanziamenti europei, incluso il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Questo breve video tratto da Arteologia spiega come potrebbero cambiare le città attraverso alcuni esempi virtuosi:

A questo scopo nel 2021 il consorzio Poliedra del Politecnico di Milano ha lanciato il progetto Smart Sustainable Districts. Oltre 100 ricercatori del Politecnico, dagli ambiti più diversi, hanno lavorato a un libro bianco, cioè una guida per orientare amministrazioni, aziende e cittadini verso processi di rigenerazione urbana e transizione ecologica delle città. La scala di intervento esaminata è quella del distretto, ovvero una porzione di spazio urbano caratterizzata da certe relazioni e connessioni, spaziali e sociali, sulla quale sia possibile prendere decisioni (governabile) e dove sia possibile misurare gli impatti.

Il libro bianco è stato pubblicato lo scorso aprile, tra gli autori abbiamo parlato col professor Mario Grosso, ingegnere ambientale esperto di gestione rifiuti e mobilità.

Mario Grosso ha pubblicato per Zanichelli, nella collana Chiavi di lettura, Dove vanno a finire i nostri rifiuti?  e L’ultima auto a benzina.

Rifiuti: esperimenti in corso

«A livello di distretto, o comunque locale, non è sempre facile creare dei modelli virtuosi per la gestione dei rifiuti, e in grado di lasciare un segno significativo»

Con queste parole Mario Grosso introduce il tema fondamentale della raccolta dei rifiuti. Per esempio, nel libro bianco si citano alcune esperienze di compostaggio di comunità. Una scuola o un condominio possono impegnarsi a raccogliere i rifiuti organici (come i resti di cibo o lo sfalcio dei prati) in una compostiera comune. Il risultato del compostaggio è un ammendante che migliora le caratteristiche del suolo. I comuni da tempo fanno la differenziata dei rifiuti organici, che poi sono avviati nei grandi impianti di compostaggio industriale. Tuttavia, il compostaggio può anche essere realizzato a scala più ridotta, perché è un processo abbastanza semplice. Si tratta, infatti, di agevolare i processi di decomposizione che avvengono naturalmente in presenza di sufficiente ossigeno e umidità. Una compostiera non è altro che un semplice contenitore che facilita gli scambi con l’aria esterna.

Secondo Grosso:

«Un problema di cui bisogna tenere conto è che in ogni caso il compostaggio va gestito. Non basta usare i rifiuti giusti, bisogna fare attenzione all’aerazione e all’umidità. Non è un’attività in sé complicata, e per le scuole è anche educativa, ma richiede da parte della comunità un certo impegno, e in modo continuo.»

Questo, mi spiega, è un tema ricorrente in tutto il progetto. Una città sostenibile non si costruisce solo su infrastrutture e innovazione, occorre una collaborazione attiva di tutti gli attori coinvolti, cittadinanza compresa.

Sulla gestione dei rifiuti puoi guardare questo webinar a cui ha partecipato Mario Grosso:

Tornando ai rifiuti, a livello locale è possibile incentivare l’economia circolare, cioè un sistema di produzione e consumo che punta a trasformare gli scarti di un’attività in risorse per un’altra, e a mantenere così i materiali economicamente produttivi il più a lungo possibile. Per fare questo è necessario partire «dalla testa e ripensare la fabbricazione degli oggetti, che devono essere facilmente riutilizzabili/riparabili, e poi disassemblabili nelle loro componenti, che possono essere a loro volta riutilizzate o riciclate. Non è possibile ridisegnare i singoli prodotti partendo dai quartieri, ma qui si può affrontare l’economia circolare dalla coda», applicando nuovi modelli di business che indirizzino la domanda.

In generale, a livello locale si può condividere l’uso di alcuni oggetti che non è necessario possedere, come già succede nella mobilità. Il libro bianco cita l’esempio di Circular housing, un progetto del Politecnico di Milano che in alcuni quartieri propone il noleggio degli elettrodomestici agli inquilini. La quota di noleggio, basata sul modello pay-per-use (pago in base al consumo) è integrata nell’affitto, e allo scioglimento del contratto il successivo inquilino può nuovamente riutilizzare gli stessi elettrodomestici una volta ricondizionati. Il contratto prevede anche la manutenzione degli oggetti, oltre al corretto smaltimento (si tratta di RAEE) una volta completato il ciclo di vita. Il progetto punta ad aumentare la vita dei singoli elettrodomestici e a eliminare una parte dei rifiuti associati ai traslochi (fino a una tonnellata).

A proposito di rifiuti RAEE puoi leggere questo approfondimento dedicato alle miniere urbane.

Mobilità: cambiare la città, ma anche il comportamento

Passando alla mobilità, l’ingegner Grosso mette subito in chiaro che la priorità, nelle città, è quella di ridurre il traffico privato.

«La diffusione delle auto elettriche è positiva, ma non deve essere un alibi per continuare ad abusare dell’auto privata in città. Infatti, le auto occupano spazio, tanto spazio, sia da ferme che in movimento, e questo non si risolve cambiando la tecnologia di trazione.»

Altri paesi ci insegnano che è già possibile, e da tempo, un altro tipo di città. Nel suo libro L'ultima auto a benzina Grosso spiega che Copenaghen e Amsterdam negli anni Settanta hanno fatto una scelta coraggiosa e hanno costruito le città a misura di bici, eppure questo modello in Italia stenta ad attecchire, nonostante gli incentivi anche tecnologici come la pedalata assistita. Torna quindi il punto cruciale del cambiamento comportamentale.

Ma anche noi abbiamo qualche esempio virtuoso, per esempio a Parma si può arrivare in stazione in bici e lasciarla in consegna alla Cicletteria. Qui le bici si possono anche noleggiare, comprese le cargo bike che consentono di trasportare un bagaglio, la spesa o anche i bambini, e secondo il libro bianco possono essere anche usate dai corrieri nell’ultimo miglio per consegne. Alla Cicletteria c’è anche un servizio di riparazione, e a Parma le bici si possono anche noleggiare in tutta la città, tramite un’apposita app.

Dove non può arrivare la bici (o, ultimamente, il monopattino) può farlo il mezzo pubblico, comprese eventualmente le varie modalità car-sharing. Pensando al futuro Grosso immagina un trasporto pubblico totalmente elettrico, con veicoli più piccoli e leggeri, alimentati con energia rinnovabile anche grazie a pensiline fotovoltaiche. Ma per il momento forse dovremmo solo cominciare effettivamente a pedalare, e non solo chiedere più piste ciclabili.

Guarda questa breve intervista di RaiCultura dove Mario Grosso presenta i contenuti di L’ultima auto a benzina.

Passare dalle parole ai fatti

La «città neutrale» per ora è solo un nome, un’ambizione.

«È facile calcolare quante emissioni comporta una certa attività; è molto più difficile capire da che cosa potrebbero essere compensate».

Questa compensazione spesso è acquistata, ovvero si finanzia un certo progetto (per esempio una riforestazione, anche in un altro continente) nella misura in cui si ritiene che assorba abbastanza CO2 da compensare i gas serra emessi da una certa attività. Tuttavia non si tratta di una scienza esatta, e il meccanismo si presta a forzature (basta pagare e cambiare poco o nulla per essere comunque carbon neutral sulla carta).

Per avere una «città neutrale» entro il 2030 bisognerebbe dare un taglio netto alle emissioni, e lasciare ai meccanismi di compensazione solo una parte residuale. La Commissione europea, però, non ha ancora definito la quota massima di emissioni compensabili.

Per questo motivo è meglio da subito fare attenzione alla retorica, di cui molto spesso si abusa riguardo ai temi ambientali. Una città che in un quartiere si vanta dei suoi progetti virtuosi, sostenibili, e partecipativi, mentre in un’altra zona tollera la distruzione di un parco o inaugura una nuova tangenziale, forse non è sulla strada giusta.

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento