Esempi di alcune punte di lancia tipiche delle culture paleoindiane (Immagine: Wikipedia).
Sulla scia di questo inaspettato ritrovamento, gli studiosi hanno iniziato a chiedersi perché mai un’arma tanto antica si trovasse al largo delle coste della Virginia. Iniziò così a prendere piede l’idea che la colonizzazione del Nord America non fosse avvenuta tramite lo Stretto di Bering, piuttosto ma dall’Europa Occidentale. Muovendosi lungo un gigantesco ponte di ghiaccio, i nostri antenati si sarebbero mossi da Est a Ovest, fino a raggiungere, attraverso la Groenlandia, le coste orientali del continente americano.
A sostenere questa ipotesi vi erano soprattutto alcuni dettagli della manifattura: la lama di Chesapeake era infatti molto simile a quelle appartenute ai pastori solutreani, le cui tracce sono state rinvenute in Francia. Qui inizia però ad emergere una prima incongruenza: la cultura solutreana risale a circa 22 000 – 17 000 anni fa, un intervallo di tempo che non è compatibile con il periodo in cui il ponte di ghiaccio avrebbe consentito il passaggio verso le Americhe. A questa incoerenza cronologica se ne aggiungono altre. In un articolo pubblicato dalla rivista Journal of Archaeological Science: Reports, gli studiosi sottolineano la grave mancanza di una documentazione accurata del ritrovamento. A dispetto delle dichiarazioni del capitano e di quanto riportato dagli studiosi sostenitori della teoria del ponte di ghiaccio, mancano delle vere prove. Anche la documentazione fotografica sembra addirittura mettere in discussione l’identità del battello che ha compiuto il ritrovamento, mostrando una barca di dimensioni ben diverse dalla Cinmar.
Beringia, la patria dei primi colonizzatori
Troppe imprecisioni, troppi dettagli inaccurati e, stando a quanto sta tristemente emergendo, troppa fiducia riposta per oltre 40 anni in un ritrovamento mal documentato. Fino a quando non verranno documentate in modo preciso le modalità del recupero dei reperti, la teoria del ponte di ghiaccio tra Europa e Nord America rimane poco più di una fantasiosa speculazione. Come tale, non è al momento accettabile come teoria alternativa a quella dell’istmo di terra della Beringia, la cui attendibilità è rinforzata invece da numerosi studi indipendenti.
Le tappe di colonizzazione del continente americano: lo Stretto di Bering torna ad essere il punto più probabile per il passaggio dei primi colonizzatori (Immagine: Wikimedia Commons).
In un articolo apparso sulla rivista Science nel 2014, alcuni studiosi statunitensi e inglesi suggerivano che i primi colonizzatori non solo attraversarono la Beringia, ma vi stanziarono per lunghissimo tempo: un dato corroborato anche da analisi genetiche condotte sul DNA mitocondriale. Ripercorrendo a ritroso la discendenza matrilineare di una particolare mutazione, gli scienziati hanno concluso che i progenitori di alcuni gruppi di nativi americani vissero a lungo isolati in piccole comunità, molto probabilmente nella zona dello Stretto, favorendo il consolidarsi della mutazione nel patrimonio genetico dei discendenti. In aggiunta, studi sempre più approfonditi hanno permesso di rinvenire, mediante carotaggi, fossili di insetti, piante e pollini, a dimostrazione del fatto che l’ambiente ecologico era compatibile con la sopravvivenza dell’uomo in queste regioni. Quel che ancora manca all’appello sono veri reperti archeologici, forse seppelliti nel fondo dell’oceano: è proprio questo l’ultimo tassello che manca per dimostrare in modo inconfutabile il passaggio attraverso la Beringia e accantonare in modo definitivo l’ipotesi di un’improbabile ponte di ghiaccio sulla Groenlandia.
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