Come studiare un animale a partire da pochi, frammentari, resti fossili? Questo è lo scoglio più grande della paleontologia: il suo oggetto di studio non esiste più. Se escludiamo i discendenti, il loro DNA è scomparso da tempo (è stato recentemente calcolato che ha un tempo di dimezzamento» di 521 anni), e persino la composizione chimica dei tessuti non viene in aiuto, perché i fossili sono, in realtà, rocce sedimentarie che hanno preso la forma di quei tessuti man mano che questi si disgregavano.
Tutto ciò da cui devono partire gli scienziati è quindi la forma del reperto, ma a volte questo è talmente incompleto che è veramente difficile recuperare le informazioni necessarie, prima di tutto per quanto riguarda il posto dell’animale nelle filogenesi. Ora la paleontologia ha uno strumento in più: la stampa in 3D.
Oggi questa tecnologia, nata in ambito industriale poi diffusasi anche in campo medico e nel design, sta diventando sempre più avanzata.
Un team della University of Texas at Austin sulla rivista Palaeontology ha presentato infatti un lavoro sulla filogenesi di due specie di multiplacofori (un gruppo di molluschi estintosi nel Permiano) risalenti al Devoniano (390 milioni di anni fa) avvalendosi anche della stampa 3D.
Per prima cosa i ricercatori sono ricorsi a un’altra tecnica all’avanguardia e già ampiamente utilizzata, la microtomografia (µCT), cioè una scansione ai raggi X a scala micrometrica dei frammenti. Grazie a particolari algoritmi, secondo protocolli già ampiamente collaudati in paleontologia, hanno ricostruito digitalmente l’aspetto dell’animale. Le fasi e i risultati di questa operazione sono riassunte nel video seguente.
I fossili virtuali così ricomposti sono poi stati analizzati con tecniche filogenetiche: secondo i ricercatori, sebbene venga confermata l’affinità con un gruppo attuale, quello dei Poliplacofori (chitoni), non ne farebbero parte. Come già ipotizzato, rispetto ai Poliplacofori, i Multiplacofori sarebbero quindi uno stem-group, ovvero tra i chitoni non ne esistono discendenti viventi. Alcuni tratti morfologici sarebbero quindi dovuti a una convergenza evolutiva, invece che a una discendenza filogenetica.
A questo punto i dati sono stati ulteriormente elaborati e, grazie alla stampa 3D, è ora possibile tenere in mano una replica (in questo caso addirittura un po’ ingrandita) dell’animale. O almeno la migliore interpretazione che, al momento, siamo in grado di dare.