La crisi di mezz’età non è un fenomeno solo umano, secondo lo studio dello psicologo Alexander Weiss. Da uno studio fatto su più di 500 primati, sembra che anche scimpanzé e oranghi nel mezzo del cammin soffrano di un calo di benessere.
U shaped curve of happiness
La curva della felicità nell’uomo ha la forma di una U, insomma proprio come la bocca di uno smile, e ci ricorda che i momenti più sereni della nostra vita riguardano l’infanzia e la vecchiaia. Questo significa però che nel periodo centrale della vita, approssimativamente tra i 45 e i 55 anni, viviamo secondo questa teoria il picco di minor felicità, da cui è nata la denominazione di crisi di mezz’età.
Fino a oggi si è sempre pensato che le motivazioni di questa crisi fossero soprattutto di tipo sociale ed economico: a quell’età si fanno i conti con i propri traguardi sia lavorativi che affettivi, e molto spesso la vita reale non rispecchia le proprie aspettative. Eppure, secondo lo studio condotto dallo psicologo Alexander Weiss, la crisi di mezz’età potrebbe essere un fenomeno non solo umano, ma comune anche ai primati.
Se fossi una scimmia
Grazie a un questionario fornito alle persone più vicine a 508 scimmie che vivono in cattività, scimpanzé e oranghi, ha potuto trovare un’analoga curva a U anche per quello che riguarda il benessere degli animali. Come lo stesso autore ammette, lo studio, pubblicato questo mese su PNAS, è assolutamente antropocentrico. Infatti gli intervistati dovevano rispondere a domande sulla percezione dello stato d’animo delle scimmie, anche in base alla loro facilità nel socializzare o nell’ottenere quello che volevano (cibo o oggetti vari). Infine Weiss ha chiesto alle persone coinvolte come si sarebbero sentite, immedesimandosi nella scimmia in oggetto per una settimana.
Frans de Waal, noto etologo della Emory University di Atlanta, Georgia, di cui abbiamo già parlato su Aula di Scienze, afferma che per avere dei risultati più oggettivi si sarebbe aspettato una valutazione del benessere animale grazie alla misurazione di alcuni ormoni dello stress (per esempio il cortisolo). Comunque ammette che quasto studio potrebbe far cambiare prospettiva sulla crisi di mezz’età. «Invece che ascrivere questa crisi alle implicazioni della vita professionale o ad altri fattori socioeconomici e culturali» ha dichiarato in un’intervista su Nature «potrebbe darsi che alcune condizioni fisiologiche, come i livelli ormonali o la capacità di regolare le emozioni a livello cerebrale possano avere un ruolo determinante».
Crisi psicologica o condizione fisiologica?
Lo studio di Weiss avrebbe spostato quindi l’accento della crisi di mezz’età da un problema sociale a uno fisico. Addirittura lui stesso si spinge a ipotizzare una condizione fisiologica creata per spingere le persone a uscire da una impasse, per stimolare il soggetto a cambiare in un momento in cui le risorse a disposizione sono maggiori rispetto a quando si è bambini o anziani. «Sentirci infelici può essere il modo che ha la natura di motivarci a battere il ferro finché è caldo. Può essere frustrante, ma in questo modo il cervello ci spinge a migliorare le nostre condizioni, segnalandoci di alzarci e iniziare a darci dentro mentre si è nel pieno delle forze. Penso sia un messaggio potente e positivo», ha detto Weiss in una intervista del National Geographic. Lo stesso Weiss ammette che a questo punto le sue sono illazioni in attesa di conferme, e di sicuro la sua provocazione non cadrà nel vuoto.
Infatti nella comunità scientifica non tutti sono stati di ampie vedute come de Wall nell’accogliere i risultati della ricerca di Weiss. Questo non dipende solo dal metodo scelto per trarre le conclusioni dello studio, ma anche dal fatto che per molti non esistono evidenze sufficienti per parlare di una reale crisi di mezz’età. È il caso di Alexandra Freund, psicologa dell’Università di Zurigo, intervistata dal Guardian, che manifesta il suo scetticismo: «In letteratura non ci sono abbastanza evidenze che la crisi di mezz’età esista davvero. E se esistono indicazioni di un declino del benessere emotivo o soggettivo si tratta di indicazioni minime e in molti studi per niente presenti».