Dopo i CFC, messi al bando vent’anni fa per i danni allo strato di Ozono, ora preoccupa il contributo all’effetto serra dei loro sostituti
C’era una volta il Freon. Questo il nome commerciale di uno dei più diffusi gas utilizzati dall’industria. Fino agli anni ’90 è stato onnipresente, dai frigoriferi alle bombolette spray. L’utilizzo del Freon, e degli altri clorofluorocarburi (CFC, la classe di molecole a cui appartiene) è relativamente sicuro dal punto di vista della salute umana, ma lo stesso non si può dire per l’ambiente in generale e il nostro strato di ozono in particolare. I CFC non solo sono inquinanti persistenti, cioè le molecole resistono nell’ambiente per lunghi periodi (fino a sette anni), ma tra l’effetto ritenuto più dannoso per l’ambiente è che, essendo altamente reattive, reagiscono con l’Ozono (O3) della stratosfera trasformandolo in Ossigeno molecolare (O2), dando origine al famoso «buco», che consente così il passaggio di una quantità di raggi ultravioletti che risulta dannosa non solo per la salute umana, ma per l’intero ecosistema, poiché queste radiazioni ad alta energia sono in grado persino di danneggiare il DNA.
Tutto cambia a fine ’80 con la ratifica del protocollo di Montreal: i CFC, assieme ad altre sostanze dannose per lo strato di ozono, vengono banditi a livello internazionale, tranne pochissime eccezioni. Il protocollo è infatti citato come uno dei più grandi successi per quanto riguarda gli accordi internazionali per la tutela dell’ambiente.
Dai CFC agli HFC
Il vostro frigorifero e il vostro condizionatore d’aria forse utilizzano un composto alternativo della classe degli HFC, idrofluorocarburi. Tali composti sono sostanzialmente innocui per l’ozono, ma un nuovo studio pubblicato su Science rivela che anche se questi mantengono al fresco il nostro cibo, minacciano di rendere più caldo l’intero pianeta, poiché gli HFC sono potenti gas serra e, sebbene la loro riduzione sia stata uno degli obiettivi del protocollo di Kyoto, come sappiamo questo trattato è stato tutt’altro che un successo poiché gli Stati Uniti e i paesi in via di sviluppo ne sono esclusi e, in ogni caso, non è mai stato vincolante.
Lo studio, firmato da un team internazionale che comprende il Nobel per la chimica Mario Molina (che fu tra i pionieri degli studi sull’effetto dei CFC sullo strato di ozono, e tra i più attivi sostenitori della necessità di regolamentarli) dimostra le ricadute positive del protocollo di Montreal anche sul cambiamento climatico, poiché le sostanze dannose per l'Ozono sono anche gas serra: secondo i calcoli grazie al protocollo è come se nel 2010 ci fosse stato un taglio alle emissioni di anidride carbonica in atmosfera pari a dieci miliardi di tonnellate, ovvero cinque volte la riduzione annuale che, in teoria, prevede il protocollo di Kyoto.
Effetto serra
Intanto, però, la produzione di HFC è continuata ad aumentare praticamente senza ostacoli, e anche se al momento i loro effetti sul clima sono trascurabili, purtroppo la cosa non durerà: a parità di quantità molti HFC sono gas serra anche migliaia di volte più potenti della CO2, e molti di loro persistono nell’atmosfera per decine di anni. Secondo gli autori, senza una regolamentazione della loro produzione, già intorno al 2050 potremmo essere tornati al punto di partenza, cioè gli HFC in atmosfera contribuirebbero all’effetto serra come già stavano facendo i CFC nel 1990, al picco di concentrazione, prima di scendere grazie a Montreal.
La soluzione, secondo gli autori, potrebbe essere semplice: ampliare il protocollo di Montreal per includere gli HFC persistenti e ad alto potenziale come gas serra. Le alternative sono già disponibili e utilizzabili, esistono HFC «buoni» e la classe delle idrofluoroolefine (HFO) sta già prendendo piede come gas refrigerante nei climatizzatori per automobili grazie all’intervento dell’Unione Europea che nel 2011 ha vietato il R-134A, il più comune sostituto del Freon, nella costruzione di tute le nuove auto. Per quanto riguarda i frigoriferi semplici idrocarburi come R-600 (butano) sembrano essere un’alternativa praticabile, e molti dispositivi in vendita ne fanno già uso. Quindi, in mancanza di un accordo internazionale, è già possibile dare un contributo leggendo l’etichetta. Sperando che tra vent’anni non si debba fare i conti con altri effetti indesiderati non previsti...