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Dal centro della Terra prove tecniche di "quinta forza"

Esiste la "quinta forza" in natura? Uno degli argomenti più dibattuti nel campo della fisica sembra aver trovato un nuovo piccolo tassello di comprensione. E che potrebbe aiutare a studiare meglio uno dei misteri del nostro Pianeta: la composizione del "cuore" terrestre.
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Esiste la "quinta forza" in natura? Uno degli argomenti più dibattuti nel campo della fisica sembra aver trovato un nuovo piccolo tassello di comprensione. E che potrebbe aiutare a studiare meglio uno dei misteri del nostro Pianeta: la composizione del "cuore" terrestre.
 
Che cosa ci fanno insieme un gruppo di fisici delle particelle elementari dell’Amherst College, in Massachusetts (USA), e un geofisico dell’Università del Texas (USA), di stanza ad Austin? Hanno studiato il modo di "utilizzare" la Terra per andare in cerca della fantomatica “quinta forza” della natura e utilizzarla, chissà, per indagare la struttura del mantello terrestre. Quella che a prima vista potrebbe sembrare una storia di ordinaria fantascienza rappresenta invece una ricerca pubblicata nientemeno che su Science.
 
Non c’è quattro senza cinque?
Se sfogliate un libro di fisica scoprirete che le forze presenti in natura sono quattro: la forza elettromagnetica, che per esempio lega al nucleo gli elettroni di un atomo; la forza gravitazionale, che ci tiene incollati a terra e «move il Sole e le altre stelle»; la forza nucleare forte, che tiene insieme protoni e neutroni all’interno dei nuclei atomici; la forza nucleare debole, responsabile della maggior parte dei decadimenti degli elementi radioattivi. Da dove salterebbe fuori allora la “quinta forza”? Il condizionale è d’obbligo perché, sebbene sia stata postulata a partire dalla fine degli anni Ottanta da diversi fisici, al momento resta soltanto un’ipotesi. Secondo diverse estensioni del Modello Standard, la quinta forza si eserciterebbe tra fermioni, tra le cui fila figurano elettroni, protoni e neutroni, che si trovano a lunga distanza tra loro. In particolare si tratterebbe di un’interazione tra gli spin di queste particelle che sarebbe mediata dallo scambio di una particella esotica di massa nulla chiamata "unparticle".
 
Laggiù nel mantello
Se il quadro teorico vi sembra complicato, vedrete che quello sperimentale non è da meno. Per testare l’esistenza della quinta forza bisogna infatti "mettere in connessione" un set di fermioni preparati ad hoc in laboratorio, per esempio degli elettroni, con delle particelle identiche che devono trovarsi a migliaia di chilometri di distanza e delle quali dobbiamo sapere praticamente tutto. Non basta. Visto che gli scienziati si aspettano che l’interazione sia molto debole, per avere la speranza di captare la quinta forza, il numero di particelle, con le quali bisogna fare interagire quelle che abbiamo predisposto in laboratorio, deve essere enorme. Dove si può andare a scovare un mastodontico serbatoio di elettroni, per esempio, distanti migliaia di chilometri e dei quali conosciamo densità, energia e soprattutto orientazione dello spin? Larry Hunter, professore di fisica dell’Amherst College e coordinatore della ricerca, ha pensato che il posto perfetto fosse il mantello, lo spesso strato che separa la crosta terrestre dal nucleo ferroso del nostro pianeta. I modelli geologici attuali ci dicono che il mantello è costituito in gran parte da minerali del ferro. Sappiamo anche che gli spin delle particelle che compongono gli atomi di questi materiali, cioè elettroni, protoni e neutroni, si allineano all’intenso campo magnetico terrestre che imperversa da quelle parti.
 

Rappresentazione artistica dello schema sperimentale: lo spin dei geoelettroni del mantello terrestre (punti rossi) dovrebbe interagire in linea teorica con lo spin delle particelle dei laboratori in superficie (detector). Le frecce rosse in corrispondenza dei geoelettroni indicano l'orientazione del loro spin, un vettore localmente parallelo e opposto al campo magnetico terrestre (linee bianche). (fonte: Marc Airhart / Università del Texas, Steve Jacobsen / Northwestern University)

 
A caccia di geoelettroni
Per prima cosa gli scienziati dell’Amherst College hanno così creato una mappa virtuale dei valori attesi per le densità e le direzioni degli spin di quelli che hanno chiamato geoelettroni, gli elettroni, cioè, dei minerali presenti nelle viscere della Terra. Per farlo si sono avvalsi dei dati ottenuti in laboratorio da Jung-Fu “Afu” Lin, professore associato della Jackson School of Geosciences dell’Università del Texas, che riguardano gli spin elettronici di minerali sottoposti a condizioni di alta temperatura e pressione, paragonabili a quelle presenti all’interno della Terra.
 
 

Simulazione al computer della densità di spin-elettronici all'interno del mantello in un piano che contiene l'asse di rotazione terrestre e il laboratorio di Amherst, in Massachusetts. Le frecce nere indicano soltanto la direzione degli spin elettronici, mentre la scala colorata si riferisce alla densità locale degli spin (fonte: Daniel Ang, Larry Hunter / Amherst College)

 
Utilizzando questi dati si è poi passati alla misurazione vera e propria, cercando di osservare se gli elettroni “allestiti” in vari laboratori avessero potuto avere differenti energie a seconda della direzione in cui erano orientati i loro spin rispetto al campo geomagnetico, cioè rispetto agli spin dei geoelettroni. «Sappiamo, per esempio, che un magnete ha un’energia più bassa quando è orientato parallelamente al campo geomagnetico: è il principio di funzionamento della bussola», ha sottolineato Hunter. «Nei nostri esperimenti riusciamo a eliminare questa interazione magnetica e a verificare se esiste qualche altra interazione che possa essere interpretata come un’interazione a lunga distanza tra gli spin del nostro apparato e gli spin degli elettroni che si trovano all’interno della Terra, allineati con il campo magnetico terrestre. È questa l’interazione spin-spin a distanza che cerchiamo».
 
Fisica delle particelle o geofisica?
Al momento i ricercatori statunitensi hanno fornito solo un limite superiore alla presenza dell'interazione spin-spin tra due elettroni, la cui intensità è risultata inferiore a circa un millesimo di quella della forza gravitazionale. Questo significa che, se esiste, la quinta forza sarà la più “debole” tra le forze presenti in natura. Ma potrebbe essere comunque utile, come spiega Jung-Fu “Afu” Lin, «soprattutto per i geoscienziati, che potrebbero sfruttare l’interazione spin-spin a lunga distanza per avere informazioni sulla geochimica e la geofisica della parte più interna della Terra. Forse», conclude Lin, «l’aspetto più sorprendente di questa ricerca è proprio questo, che la fisica delle particelle potrebbe essere utilizzata per studiare il cuore del nostro pianeta».

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