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Danni collaterali

Gli effetti dei cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale hanno e avranno una portata molto più estesa di quella che possiamo immaginare. Come si adatterà l’agricoltura a tutto ciò? In Africa c’è chi è già al lavoro per strappare terra coltivabile al deserto.
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Gli effetti dei cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale hanno e avranno una portata molto più estesa di quella che possiamo immaginare. Non si tratta solo di eventi estremi, di  calotte polari e di ghiacciai, della disponibilità di acqua dolce e delle barriere coralline che si ammalano, ma anche di come la nostra agricoltura dovrà adattarsi a tutto ciò. Ad esempio in Africa si è già al lavoro per strappare terra coltivabile nientemeno che al deserto. 

Degli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura abbiamo parlato di recente a proposito del caffè selvatico, indispensabile per mantenere elevata la biodiversità genetica delle cultivar ma che potrebbe estinguersi in pochi decenni. Ora un nuovo studio pubblicato su PNAS affronta invece il problema della viticoltura: come cambierà lo scenario della produzione di vino a livello mondiale?

 

Uva del Chianti (Immagine: francesco sgroi via Flickr)

Attualmente il cuore della produzione vinicola mondiale è naturalmente il bacino del mediterraneo, con l’Italia e la Francia capofila, ma importanti regioni vinicole si trovano anche in Cile, California e Nord-America Occidentale, intorno ai grandi laghi nel Nord America Orientale, in Nuova Zelanda, Sud Africa e Australia, mentre sono in Cina le regioni produttrici che si stanno espandendo più velocemente negli ultimi anni. Ma la vite è una pianta molto esigente: come ben sanno i buongustai enologici, basta poco in termini di andamento delle condizioni ambientali (in primo luogo temperatura e umidità) per rovinare una buona annata o, al contrario, renderla memorabile.

Modelli climatici
Secondo le analisi dei ricercatori, basate sul confronto tra 17 dei più aggiornati modelli climatici, con il riscaldamento globale nei prossimi decenni assisteremo a un declino delle regioni produttrici ora strategiche, tra le quali appunto il bacino del mediterraneo, ma a fronte di un generale ampliamento verso nord delle zone idonee alla coltivazione della vite.

In rosso le aree attualmente idonee alla coltivazione della vite ma destinate a scomparire a metà del secolo, in verde quelle attualmente idonee ma che non scompariranno, in blu le aree che in teorie saranno coltivabili in futuro (Immagine: PNAS)

Cosa comporterà tutto questo? In primo luogo i produttori attuali di certo non cederanno le terre senza combattere: aumenterà cioè l’irrigazione, con ovvie ricadute sulle falde idriche a loro volta già compromesse dai cambiamenti climatici. Ma i ricercatori puntano l’indice su un altro aspetto legato all’ambiente: alcune delle future regioni vinicole si trovano nel bel mezzo di aree di alto interesse conservazionistico. In particolare tra pochi decenni negli Stati Uniti Occidentali sarebbe, in teoria, possibile la coltivazione della vite anche dentro il parco dello Yellowstone, compromettendo il successo della Yellowstone to Yukon initiative, che dal 1997 preserva il corridoio naturale che esiste appunto tra lo Yellowstone e lo Yukon, essenziale per mantenere uniti gli habitat di specie che si diffondono su ampi areali come il grizzly (Ursus arctos) e il lupo (Canis lupus). Un problema analogo potrebbe presentarsi tra poco in Cina, dove il territorio adatto ai vigneti non è ancora del tutto sfruttato, e si sovrappone a quello dei panda. Quanto ci vorrà prima che il mercato del vino reclami anche questi spazi? 

Investimenti a lungo, lunghissimo termine
Mercato e conservazione storicamente non vanno molto d’accordo, poiché quest’ultima è solitamente un investimento a lunghissimo termine: basta pensare all’esperimento, appena lanciato, BiodiversiTREE del Smithsonian Institute, che nel Maryland (USA) sta piantando alberi di diverse specie in un’area prima destinata alle monocolture di tabacco e mais (e quindi col suolo particolarmente impoverito) proprio con l’obiettivo di analizzare, per almeno un secolo, gli effetti dei cambiamenti climatici sull’ecosistema forestale che si andrà formando.

Tuttavia gli autori dello studio su PNAS sono in un certo senso ottimisti, cioè auspicano al fatto che, alla luce di studi come questo, si cominci da subito ad adottare e rafforzare tuutte le misure in grado di conciliare economia e conservazione. Al primo posto sono gli accordi internazionali sulle emissioni, poiché intervenire per ridurre l’incremento della CO2 in atmosfera rallenterebbe anche l’erosione delle attuali aree vinicole, ma misure altrettanto concrete sono già a portata di mano, ad esempio con l’uso di sistemi di irrigazione più efficienti che minimizzino il prelievo di acqua, aumentando la capacità del territorio di sostenere le nostre colture e quindi ritardando la corsa ai nuovi spazi. I ricercatori ricordano anche che la vite qui funge da campione rispetto al cambiamento a cui assisteremo: tutte le colture dovranno venire a patti con una vere e proprie migrazioni dei terreni idonei alla loro coltivazione, e minimizzare i danni è possibile solamente giocando d’anticipo.

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