Una COP sul clima come quella che si è appena conclusa a Baku, in Azerbaijan, non è solo un modello politico senza eguali, nei pregi e nei difetti, ma anche un peculiare progetto urbanistico temporaneo. Una COP è una città che si forma dal nulla per due settimane, con le sue regole, i suoi principi di funzionamento, le sue infrastrutture, per poi essere dismessa alla fine dei lavori.
Le conferenze delle parti sono il format politico creato al summit di Rio nel 1992 per risolvere tre grandi problemi con i beni comuni dell'umanità: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la desertificazione. Quella sui cambiamenti climatici è la più famosa, anche perché è l’unica che si svolge con cadenza annuale, tutti gli anni dal 1995 a oggi escluso il 2020: tutte le parti coinvolte nella lotta al riscaldamento globale si ritrovano in una città a rotazione per aree geografiche per coordinare le misure, gli sforzi e gli impegni reciproci.
Chi partecipa a una COP?
Ci sono diversi modi per accedere a una COP: si entra come membri di una delegazione, quelle che nel gergo si chiamano party, «le parti» della convenzione, che includono i paesi ma anche le comunità indigene, i sindacati e gli altri soggetti coinvolti nel negoziato. Si può altrimenti partecipare come observer, cioè come componenti della società civile e delle organizzazioni ambientaliste. Sono soggetti che qui, a differenza di altri contesti politici (come ad esempio l’assemblea generale ONU, il G20, il G7 e così via) hanno un peso politico sostanziale, anche se non hanno il potere di prendere decisioni. Entrano nelle stanze negoziali, possono far sentire la propria voce. Si può poi entrare come press, rappresentanti dei media. Queste sono le tre categorie principali di badge per la COP, ma ognuna di queste macro-aggregazioni contiene diverse possibilità e sfumature al proprio interno, i confini non sono così netti.
Questo processo politico, creato nel 1992 durante il summit di Rio per essere aperto e inclusivo, si sta rilevando anno dopo anno sempre più penetrabile e talvolta infiltrabile. Uno dei temi più discussi delle ultime COP sul clima è stato la presenza delle lobby e dei portatori di interessi in disaccordo con la lotta ai cambiamenti climatici: le aziende energetiche legate ai combustibili fossili, all’agribusiness e all’industria della carne, le società di consulenza che guidano le strategie di entrambi. La loro partecipazione è in una zona grigia e di difficile regolamentazione: a volte questi lobbisti entrano come osservatori di associazioni di settore, talvolta invece partecipano come party, cioè accreditati dai singoli paesi, e quindi con la possibilità di accedere alle stanze dove vengono prese le decisioni. A Baku tanti sono stati accreditati direttamente dal paese ospitante che, secondo il Guardian, avrebbe steso un «tappeto rosso» ai petrolieri.
Tutti insieme appassionatamente
Alla COP29 di Baku erano accreditate oltre 60 mila persone. Come detto, il vertice per due settimane funziona come una città, che di solito è sviluppata all’interno di un grande centro congressi. A Baku il governo dell’Azerbaijan ha scelto di usare lo stadio olimpico come base operativa. Le stanze del potere politico vero e proprio, quello che potremmo definire il centro della metropoli temporanea, erano all’interno della struttura vera e propria dello stadio, nei corridoi dove di solito camminano i tifosi prima o dopo la partita. Il resto degli spazi erano aggregati dentro una tensostruttura che si sviluppava intorno allo stadio olimpico, divisi, come da tempo succede, in una blue zone – la COP politica vera e propria, dove hanno accesso solo gli accreditati – e una green zone, uno spazio più commerciale e fieristico, dove possono entrare anche persone non coinvolte del negoziato, pagando un normale biglietto. In realtà anche dentro la blue zone esiste una zona «expo», un’area padiglioni dove paesi, organizzazioni scientifiche, gruppi di interesse organizzano presentazioni ed eventi per tutta la durata dell’evento. Il risultato di questa sovrapposizione di spazi, eventi e intenzioni è un flusso enorme di informazioni e spesso anche di rumore, intorno alle meeting room e alle sale plenarie dove si svolge il negoziato vero e proprio, che a Baku è stato particolarmente cruento, soprattutto negli ultimi giorni.
La peculiarità delle COP è proprio la loro simultaneità spaziale e temporale: tutto avviene nello stesso luogo, negli stessi giorni, e nei corridoi della blue zone si incrociano capi di stato e di governo, ministri, attivisti, scienziati, lobbisti. È uno dei motivi per cui sono eventi così affascinanti da seguire, pur con tutti i problemi politici e il bisogno di innovare il modello: quello della “riforma” di queste conferenze è stato, non a caso, uno dei grandi temi di Baku e COP29, ispirato da giuristi, esperti e scienziati. Dobbiamo urgentemente trovare il modo di salvarne i pregi (apertura, inclusività) e neutralizzarne i difetti (infiltrabilità, lentezze, ritualità estrema). La crisi climatica ha bisogno di un modello più snello e veloce, perché non è quella del 1992, quando furono inventate le conferenze sul clima.
Il logo ufficiale della COP29, svoltasi a Baku, in Azerbaijan, dall’11 al 24 novembre 2024 (immagine: Wikipedia)
Foto di gruppo dei leader mondiali impegnati alla COP29 (immagine: Wikipedia)