Aula di Scienze

Aula di Scienze

Persone, storie e dati per capire il mondo

Speciali di Scienze
Materie
Biologia
Chimica
Fisica
Matematica
Scienze della Terra
Tecnologia
I blog
Sezioni
Come te lo spiego
Science News
Podcast
Interviste
Video
Animazioni
L'esperto di matematica
L'esperto di fisica
L'esperto di chimica
Chi siamo
Cerca
Science News

DNA: la cura si cela tra i pioli della scala

Una sostanza in grado di attorcigliarsi alla doppia elica del DNA promette di cambiare l’approccio terapeutico a molte malattie
leggi

Una nuova molecola ha visto la luce nei laboratori della University of Texas di Austin: si tratta di una sostanza in grado di attorcigliarsi alla doppia elica del DNA e di rimanervi legata per ben sedici giorni, un vero record rispetto ad altre molecole con proprietà simili. Si tratta di una scoperta che potrebbe rivoluzionare l’approccio terapeutico a molte malattie in il cui colpevole è il DNA: non solo malattie ereditarie, ma anche tumori o malattie infettive.

Le molecole intercalanti il DNA
Si chiamano così le molecole che si inseriscono nella doppia elica del DNA. Ricorrendo alla classica definizione del DNA come una scala a pioli attorcigliata su se stessa, le molecole intercalanti sono quelle in grado di infilarsi tra i pioli della scala, rimanendovi alloggiate per un tempo più o meno lungo, a seconda della loro conformazione chimica. Tra le molecole intercalanti, una delle più conosciute ai biologi molecolari è senza dubbio il bromuro di etidio: si tratta di una sostanza fluorescente, la cui struttura ad anelli aromatici le permette di intercalarsi ai pioli del DNA. Quando ciò avviene, la sua fluorescenza aumenta di venti volte: una proprietà che viene sfruttata in laboratorio per vedere il DNA, ad esempio nei saggi di elettroforesi in gel di agarosio.

Elettroforesi in gel di agarosio: quando esposto alla luce ultravioletta, il DNA legato al bromuro di etidio viene visualizzato come una banda fluorescente (Immagine: Wikimedia Commons).

 
Proprio per la capacità di legarsi al DNA, le molecole intercalanti sono però anche in grado di interferire con i processi di trascrizione e replicazione, un fenomeno che può favorire l’insorgenza di mutazioni. Se da un lato queste sostanze devono quindi essere maneggiate con cura, dall’altro la loro capacità di interferire con le normali funzioni del DNA può essere sfruttata a scopo terapeutico, ad esempio per spegnere geni pericolosi o difettosi.

 
La chiave sta nella specificità
A rendere la nuova molecola così speciale sono due proprietà. La prima, la capacità di rimanere legata al DNA per un tempo di gran lunga superiore a quello di altre molecole simili: sedici giorni, un tempo sufficientemente lungo per poter modificare in modo duraturo l’attività biologica delle cellule. La seconda proprietà è senza dubbio la specificità con cui avviene il legame. Mentre altre molecole, come il bromuro di etidio, si legano al DNA in modo aspecifico (cioè senza nessuna preferenza per una particolare sequenza di basi), non è così per la molecola sintetizzata dai chimici texani. In questo caso, è possibile modulare (agendo a livello della struttura chimica) la capacità della molecola di legarsi ad una sequenza di DNA piuttosto che un’altra. In altre parole, si può guidare la molecola verso un particolare gene, preservando il resto del genoma dai suoi effetti.

La molecola intercalante sintetizzata dai chimici della University of Texas di Austin: la figura mostra il modo in cui la molecola (in blu) si attrociglia alla doppia elica del DNA (in marrone) (Immagine: University of Texas at Austin)

HIV: un esempio di impiego terapeutico
Prendiamo il virus dell’HIV, responsabile della Sindrome da Immuno-Deficienza Acquisita (AIDS). Il genoma di questo virus (del gruppo dei retrovirus) ha la capacità (una volta convertito da RNA in DNA) di integrarsi all’interno del DNA della cellula infettata, instaurando così un’infezione latente. Anche se il ciclo infettivo dell’HIV è piuttosto complesso da descrivere, si può dire che il virus rimane all’interno dell’organismo per un tempo anche molto lungo, senza dare segni della propria presenza. Salvo poi, in circostanze particolari, riattivarsi e innescare la malattia. Cosa possiamo fare per evitare che ciò avvenga? Diversi sono gli approcci tentati negli ultimi anni, ma nessuno è finora stato in grado di risolvere in modo definitivo il problema. Completamente diversa sarebbe invece la prospettiva dei pazienti HIV-positivi se si potesse tenere sotto controllo il virus attraverso una molecola che, legandosi in modo specifico al genoma dell’HIV (ma non agli altri geni), mantenesse l’infezione latente per un tempo indefinito. Lo stesso approccio si potrebbe applicare anche per spegnere altri geni in modo specifico, come quelli responsabili di malattie ereditarie o tumori.
La molecola che promette tutto ciò è stata appena sintetizzata e non c’è dubbio che siamo ancora agli albori di questa storia. Ma rispetto al passato, un primo fondamentale paletto è già stato piantato: quello di identificare il DNA come bersaglio ultimo di terapie altamente specifiche, aprendo la strada ad un approccio completamente nuovo alla terapia di molte malattie.
1 Commenti
m

michele

27 febbraio 2023 alle 11:56

molto bello grazie

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento