Per tutta la durata della loro esistenza, gli organismi viventi sono il prodotto della capacità di adattarsi alle particolari condizioni in cui si trovano: questo perché le esigenze nel periodo dello sviluppo sono diverse da quelle della vita adulta, oppure perché l’ambiente può cambiare in modo repentino, costringendo a rimodulare il proprio metabolismo. Molta di questa versatilità dipende dalla capacità di regolare l’espressione dei geni a seconda delle circostanze. Anche se ogni cellula contiene lo stesso DNA – e quindi la stessa informazione genetica – i geni attivati cambiano a seconda del tessuto o degli stimoli ricevuti: per questo, l’espressione di un gene viene spesso paragonata al funzionamento di un interruttore che, a seconda dei casi, può essere acceso o spento. Un nuovo studio dimostra però che il meccanismo è molto più dinamico e versatile di come l’abbiamo immaginato finora.
Che cosa fa sì che un gene sia acceso o spento?
La cellula dispone di meccanismi che permettono di decidere quando un gene debba essere espresso e quando no. Seppure esistano geni che vengono espressi dalla cellula in continuazione (sono i cosiddetti geni housekeeping), nella maggiorparte dei casi l’espressione di un gene viene regolata a seconda delle necessità: ci sono geni che vengono espressi solo in determinati momenti (ad esempio durante la proliferazione) oppure solo in certi tessuti, come nel caso dell’insulina, prodotta esclusivamente dalle cellule del pancreas. Per decidere se un gene debba essere attivato oppure no, la cellula mette in atto quella che viene in gergo chiamata "regolazione dell’espressione genica". Tra gli elementi che vi partecipano, ci sono i fattori di trascrizione: si tratta di proteine che si agganciano a determinate sequenze del DNA (i cosiddetti promotori) e attivano l’espressione del gene che si trova nelle immediate vicinanze. Si conoscono molti tipi diversi di fattori di trascrizione, in grado di assemblarsi per formare strutture proteiche anche di notevoli dimensioni, chiamati complessi trascrizionali. Tra le principali funzioni di questi complessi vi è la capacità di richiamare su un determinato gene la polimerasi, l’enzima che permette la trascrizione di una sequenza di DNA in RNA messaggero, il quale, a sua volta verrà poi tradotto in proteina.
Espressione genica 2.0: al di là dell’interruttore on/off
Sulla base del modello appena descritto, si possono avere due stati funzionali dei geni: accesi, se i fattori di trascrizione si trovano legati dalla sequenza del promotore, oppure spenti, nel caso contrario. Ma le cose sembrano essere più complicate di così. Un studio pubblicato sulle pagine della rivista Nature ha recentemente messo in discussione il modello on/off di espressione genica. In base ai risultati ottenuti dai ricercatori dell’Università del North Carolina, i fattori di trascrizione possono trovarsi legati al DNA anche senza innescarne la trascrizione. Si tratta di una condizione intermedia che i ricercatori hanno battezzato treadmilling, vale a dire una corsa sul posto, come quella che si fa sul tapis roulant. In base al vecchio modello, il gene sarebbe "on", perché il complesso trascrizionale è legato al promotore. Ma, in base ai nuovi studi, non è necessariamente così: i fattori di trascrizione passeggiano sul posto, in attesa di un ulteriore stimolo molecolare che inneschi la corsa vera e propria lungo il DNA: solo a questo punto la trascrizione del gene viene attivata.
Un nuovo sguardo sulla regolazione dell’espressione genica
Lo studio mette in luce un nuovo modo di guardare all’espressione genica: lo stato di attivazione di un gene non è più solo bianco o nero, ma può avere sfumature di grigio altrettanto importanti. I fattori che determinano l’espressione vanno al di là del semplice legame del complesso trascrizionale: ad essere importante sarebbe anche la stabilità di questo legame, così come la sua durata. I fattori trascrizionali possono "passeggiare" sul DNA, ma, solo se il legame diventa stabile, si avrà l’attivazione del gene; e tanto più a lungo si protrae questo legame, tanto più il gene verrà espresso.
La scoperta è particolarmente importante per due motivi. Primo, perché fornisce indizi su come le cellule reagiscano ai cambiamenti dell’ambiente esterno e quali siano i tempi di reazione per modulare l’espressione di un gene. Secondo, perché individua una nuova strada per intervenire su malattie con base genetica: basti pensare a certi tumori, spesso riconducibili alla mancata o alla eccessiva espressione di un gene.
La speranza è che in futuro si potranno controllare i fattori che permettono al complesso trascrizionale di passeggiare sul DNA e quelli che invece favoriscono la formazione di un legame stabile: in altre parole, si potrà intervenire in modo più fine sull’espressione di un gene, modulandone durata ed intensità.
La speranza è che in futuro si potranno controllare i fattori che permettono al complesso trascrizionale di passeggiare sul DNA e quelli che invece favoriscono la formazione di un legame stabile: in altre parole, si potrà intervenire in modo più fine sull’espressione di un gene, modulandone durata ed intensità.