Le proteine anti-gelo che permettono ai pesci ghiaccio di sopravvivere nelle acque antartiche funzionano anche in senso opposto, impedendo ai cristalli di ghiaccio di sciogliersi appena raggiunta la temperatura di fusione.
I Notothenioidei, spesso chiamati «pesci ghiaccio», sono un sottordine di pesci diffusi nell'emisfero meridionale. Le specie che vivono più vicino al polo hanno nei loro fluidi corporei particolari proteine che si legano ai cristalli di ghiaccio e ne impediscono l'accrescimento, permettendo agli animali di non congelarsi.
Diversi animali, e persino piante, possiedono analoghe proteine anti-gelo ma i pesci ghiaccio sono diventati ormai un esempio classico nei testi didattici e divulgativi per spiegare come l'evoluzione permetta alle forme viventi di colonizzare anche gli ambienti più inospitali.
Ora una nuova ricerca pubblicata sulla rivista PNAS, ha invece svelato il rovescio della medaglia di questa elegante trovata evolutiva dei Notothenioidei: le stesse proteine che impediscono ai cristalli di ghiaccio di accrescersi, impediscono anche a questi ultimi di sciogliersi quando le temperature sono superiori allo zero.
Giaccio sovrariscaldato
Era noto da tempo che in condizioni di laboratorio le AFP (Anti-freezing proteins) potessero creare ghiaccio sovrariscaldato, cioè cristalli che sono stabili a temperature superiori al normale (e quindi non si sciolgono), ma ora un team internazionale di biologi ha dimostrato che questo accade normalmente anche all'interno dei pesci ghiaccio.
Per stabilirlo, i ricercatori hanno campionato i Notothenioidei presenti nel Canale di Mcmurdo in Antartide, quasi perennemente bloccato da ghiaccio durante il periodo invernale. I pesci sono stati trasferiti in laboratorio e monitorati in speciali acquari dove i ricercatori potevano alzare e abbassare a piacimento la temperatura. I campioni di siero hanno rivelato che, grazie alle proteine anti-gelo, i nuclei di ghiaccio resistevano anche quando la temperatura dell'acqua era superiore anche di un grado rispetto al punto di congelamento, che per l'ambiente interno dei Notothenioidei è stato valutato -1 °C.
Ma succedeva la stessa cosa anche in natura?
I biologi sono tornati a pesca nel gennaio del 2013 (estate nell'emisfero australe), in un momento in cui le acque del Canale di Mcmurdo erano diventate calde in modo anomalo. Anche in questo caso, nonostante la temperatura fosse di mezzo grado superiore a quella di congelamento, nel siero dei pesci continuava a esserci il ghiaccio, stabilizzato dalle proteine AFP.
Questo, secondo i ricercatori, significa che i pesci non hanno possibilità di disfarsi dei nuclei di ghiaccio presenti nei loro tessuti quando le acqua sono più calde. Come fanno, allora, a evitare che si accumuli troppo ghiaccio? I ricercatori azzardano l'ipotesi che sia il sistema immunitario a riconoscere il ghiaccio incapsulato dalle proteine e a riuscire così a disfarsene, oppure è anche possibile che il ghiaccio possa accumularsi senza interferire seriamentel col ciclo vitale dell'animale.
In ogni caso, questi strambi pesci non hanno ancora finito di insegnarci l'evoluzione...
Immagine in apertura: Marrabio2 via Wikimedia CommonsImmagine box: Uwe kils via Wikimedia Commons