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Gruppi sanguigni: le identità nascoste

Mai sentito parlare del gruppi sanguigni Langereis e Junior?

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Qual è il vostro gruppo sanguigno? A, B, o 0? In molti sapranno rispondere a questa domanda e forse anche aggiungere se sono Rh positivi o negativi. Ma se la domanda riguardasse altri gruppi sanguigni, come il Junior o il Langereis? Se non sapete rispondere, non preoccupatevi. Sono in molti a non conoscere nemmeno l’esistenza di questi gruppi: eppure saperlo può essere di fondamentale importanza per alcune persone. Uno studio apparso recentemente su Nature Genetics svela finalmente l’origine molecolare di questi gruppi sanguigni e apre la strada a più accurati test di screening del nostro sangue.
I gruppi sanguigni
Fino all’inizio del Novecento si riteneva che il sangue non avesse «identità» e che potesse essere scambiato tra individui diversi senza complicazioni: una convinzione che portò a conseguenze tragiche in più di un’occasione. Nel 1901 gli studi del Premio Nobel Karl Landsteiner portarono finalmente a definire i gruppi sanguigni AB0, cui seguì più tardi quella del fattore Rh (così chiamato perché identificato per la prima volta nelle scimmie Rhesus).

Il sistema AB0: antigeni e anticorpi definiscono a quale gruppo sanguigno appartiene un individuo e quali tipi di trasfusioni può ricevere (immagine: Wikimedia Commons)

I gruppi sanguigni sono determinati geneticamente, ma mentre il fattore Rh è una proteina espressa sulla superficie degli eritrociti, i fattori AB0 sono determinati da molecole di zucchero, anch’esse esposte sulla membrana dei globuli rossi. Prendiamo il caso di una persona di gruppo AB+: i suoi globuli rossi presentano il fattore A, il B e anche l’Rh. Questa persona potrà quindi ricevere sangue da qualsiasi persona (ricevente universale), ma potrà donare solo a persone che siano anch’esse AB+. Il caso diametralmente opposto si ha con un individuo 0-: il suo sangue è quello più prezioso dal punto di vista delle trasfusioni. Questa persona non esprime alcun antigene e può quindi donare indiscriminatamente il proprio sangue (donatore universale), ma può riceverne solo da individui O. Tutti gli altri casi sono situazioni intermedie. Per chi volesse cimentarsi e fingere per un attimo di essere un medico del pronto soccorso, il sito nobelprize.org mette a disposizione un tutorial nella forma di gioco: dal prelievo di sangue, al test di tipizzazione per capire il gruppo sanguigno e, infine, alla decisione: quale sacca di sangue bisogna trasfondere per salvare la vita al paziente?
I gruppi AB0 o Rh sono certamente i più conosciuti e quelli normalmente tenuti in considerazione per eseguire una trasfusione di sangue. Ma i gruppi sanguigni sono in realtà molti di più. Fino ad oggi si conoscevano una trentina di proteine (antigeni) presenti sulla membrana dei globuli rossi, responsabili dell’appartenenza ad un gruppo sanguigno piuttosto che ad un altro. Grazie allo studio di Ballif, oggi ne conosciamo due in più: due antigeni che per alcune persone potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte.
Junior e Langereis: gli ultimi arrivati nella famiglia dei gruppi sanguigni
Nello studio apparso su Nature Genetics, i ricercatori sono risaliti all’origine genetica dei fattori Junior e Langereis. Si tratta delle proteine ABCB6 e ABCG2, specializzate nel trasporto di molecole attraverso la membrana cellulare. La maggiorparte delle persone risulta essere positiva per questi fattori, ma esiste una piccola fetta della popolazione che è Junior o Langereis – negativa. Si tratta di casi abbastanza rari, ma esistono gruppi etnici che più di altri corrono rischi legati a questi gruppi sanguigni. Ad esempio, si calcola che circa cinquantamila giapponesi siano negativi per il fattore Junior: una condizione che potrebbe causare loro problemi di incompatibilità materno-fetale o in caso di trasfusioni.
L’assistenza medica a queste persone si può trasformare in un calvario quando si renda necessaria una trasfusione: non solo perché è raro avere a disposizione i reagenti adatti allo screening di questi fattori sanguigni, ma anche perché, una volta identificati, i donatori adatti sono rarissimi. Una situazione che potrebbe presto migliorare grazie a questa scoperta. La ricerca di gruppi sanguigni non si ferma però qui: si pensa che quelli ancora da identificare siano almeno una decina.

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