In una puntata di The Big Bang Theory, Sheldon Cooper, fisico teorico nonché non plus ultra dei nerd protagonisti della nota serie televisiva americana, demolisce dal punto di vista scientifico una delle scene più famose del primo Superman, quella in cui il supereroe scende in picchiata per salvare la protagonista femminile Lois Lane che sta precipitando nel vuoto dopo essere caduta da un elicottero. Ecco cosa dice Sheldon alla povera Penny, la sua dirimpettaia, per convincerla che quella scena trabocchi di imprecisioni scientifiche: «Ammettiamo pure che Superman possa volare. Lois Lane cade con un’accelerazione di 10 metri al secondo quadrato, Superman si tuffa per salvarla e protende due braccia d’acciaio. Miss Lane, che ora viaggia a 200 chilometri all’ora, ci sbatte contro e resta istantaneamente affettata in tre pezzi. (…) Se lui l’amasse», conclude Sheldon, «le avrebbe dato una morte più misericordiosa, facendole raggiungere il marciapiede.»
Non di sola fiction vive il fisico
Se credete che nerd del calibro di Sheldon Cooper siano solo una riuscita invenzione televisiva, la storia che vi stiamo per raccontare vi farà probabilmente cambiare idea. I protagonisti sono Riley Connors, Katie Dexter, Joshua Argyle e Cameron Scoular. Sono quattro ventenni inglesi che studiano fisica a Leicester. Anche loro, come Sheldon, sono appassionati di film di fantascienza, in particolare di Star Wars. Il caso vuole che l’Università di Leicester abbia istituito da qualche anno il Journal of Physics Special Topics, una rivista pensata per aiutare gli studenti degli ultimi anni a prendere confidenza con i meccanismi della peer review e con la scrittura di articoli scientifici che trattino temi anche non tradizionali.
Il posto perfetto, devono aver pensato i quattro, per dimostrare che cosa avrebbero dovuto vedere sul serio Han Solo, Luke Skywalker e la principessa Leila a bordo della navicella Millennium Falcon che accelera fino alla velocità della luce nell’iperspazio: non già una miriade di scie infinite di stelle, come si vede in Star Wars, bensì un disco di luce molto luminoso come quello mostrato qui sotto.
Effetto Doppler a velocità della luce. O quasi
Tutta colpa dell’effetto Doppler, il fenomeno che associamo istintivamente alla frequenza della sirena di un’ambulanza, che aumenta se ci avviciniamo e diminuisce se ci allontaniamo da essa. Quando si ha a che fare con la luce, cioè con onde elettromagnetiche, avviene qualcosa di molto simile: se per esempio riuscissimo ad avvicinarci a una sorgente luminosa con velocità prossime a quella della luce, percepiremmo una frequenza luminosa maggiore rispetto a quella emessa dalla sorgente.
Gli scienziati chiamano questo fenomeno blue shift, cioè spostamento della luce verso il blu, ovvero verso frequenze elettromagnetiche sempre più elevate. Può accadere così che una frequenza luminosa inizialmente percepibile dall’occhio umano diventi molto grande, uscendo da quella porzione dello spettro elettromagnetico chiamato, non a caso, visibile.
Il parabrezza dell’astronave
È proprio questo l’effetto del quale non hanno tenuto conto i creatori di Star Wars. Infatti, ci spiegano i ragazzi di Leicester, agli occhi di chi si trovasse a bordo della Millennium Falcon che accelera forsennatamente la frequenza della luce emessa dalle stelle aumenterebbe, prima spostandosi verso il blu e poi uscendo dalla luce visibile per passare nello spettro dei raggi X, che per l’uomo sono invisibili. Contemporaneamente però diventerebbero percepibili nello spettro del visibile tutte le frequenze infrarosse che in condizioni normali non riusciremmo a vedere. Ed ecco allora che, incorniciato dal parabrezza del Millennium Falcon, spunta all’orizzonte un bellissimo disco luminoso, risultato “visibile” della radiazione cosmica di fondo, l’eco elettromagnetico del Big Bang che permea in modo uniforme tutto l’universo. Niente male, non c’è che dire. Ma ai quattro studenti inglesi non basta.
Pare infatti che i raggi X provenienti dalle stelle eserciterebbero sulla Millennium Falcon una pressione paragonabile a quella che si registra in fondo all’oceano pacifico: questo farebbe rallentare notevolmente la navicella, a meno di non avere a disposizione risorse energetiche supplementari. Per non parlare della resistenza strutturale dell’abitacolo e delle radiazioni subite dall’equipaggio. Insomma, un vero disastro. Che spinge addirittura Katie Dexter, una delle giovani autrici dello studio, ad affermare che «nei prossimi film la Disney dovrebbe tenere più in considerazione le implicazioni fisiche dei viaggi alla velocità della luce.» Se ritenete forse un po’ eccessiva quest’ultima considerazione, provate a immaginare cosa direbbe di tutta questa storia Sheldon Cooper: «Ottimo lavoro, giovani Cavalieri Jedi, continuate così. Che la forza sia con voi!»