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Henry, il giovane talento che farà battere il cuore

Il nuovo vincitore della National Science + Engineering Competition è un giovane studente inglese di appena 18 anni. Il suo progetto, incentrato sui test di screening per il cuore, chiariscono perché gli atleti di colore siano più a rischio di morte improvvisa e aprono la strada ad esami diagnostici più affidabili.
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Henry Roth, uno studente inglese di diciotto anni, è il nuovo vincitore della National Science + Engineering Competition, uno dei riconoscimenti più prestigiosi riservati a giovani scienziati. I risultati del suo progetto, incentrato sui test di screening per il cuore, chiariscono perché gli atleti di colore siano più a rischio di morte improvvisa e aprono la strada ad esami diagnostici più affidabili. Uno degli episodi che più ha motivato Henry nel suo progetto risale al 2012, quando lo stadio del Tottenham rimase con il fiato sospeso ad osservare Fabrice Muamba, collassato a centrocampo durante una partita di calcio. Trasportato all’ospedale, Muamba si riprese, ma quel giorno il suo cuore rimase fermo per 78 lunghissimi minuti, abbastanza per spingerlo ad abbandonare per sempre la carriera di calciatore. Come Muamba, sono tanti gli atleti di colore colpiti da attacchi cardiaci improvvisi durante le gare, ma non tutti sono altrettanto fortunati. Marc Vivien Foè, centrocampista del Camerun, morì nel 2003 durante la semifinale della FIFA Confederations Cup a causa di una cardiomiopatia ipertrofica mai diagnosticata, una delle cause più frequenti di morte improvvisa negli adulti (una sindrome chiamata SADS, dall’inglese Sudden Adult Death Syndrome).
Il tributo dei tifosi dell'Arsenal in supporto di Fabrice Muamba, poco dopo l'attacco cardiaco che l'ha colpito sul campo nel 2012 (Foto: Wikimedia Commons).
Episodi come questi non sono altro che la punta dell’iceberg di una realtà molto più diffusa e, fino ad oggi, senza una valida spiegazione: gli atleti di colore sono più a rischio di incorre in incidenti fatali sul campo, vittime di attacchi cardiaci improvvisi. Come è possibile che ciò accada, nonostante i test di screening a cui gli atleti professionisti vengono continuamente sottoposti? Il progetto di ricerca di Henry è partito proprio da questo quesito irrisolto, che nella sua mente ha scatenato un'altra domanda: gli atleti di colore sono geneticamente più predisposti a questi eventi, oppure sono i test diagnostici ad essere inadeguati? La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia che si manifesta con un ispessimento della parete del cuore (il termine ipertrofia si riferisce proprio all’aumentata crescita). A causa di questo difetto, il cuore è meno efficiente nel pompare sangue e, con il tempo, può arrestarsi improvvisamente.
Ipertrofia cardiaca, con ispessimento della parete del ventricolo sinistro. La parte del cuore appare molto ingrossata (immagine a destra) rispetto allo spessore normale (immagine a sinistra) (Immagine: Shutterstock).
La tecnica di routine per scoprire se una persona è a rischio si basa sull’ecografia cardiaca, che permette di vedere se la parete del cuore è più spessa del normale. Si tratta di una tecnica molto affidabile ma che, purtroppo, non funziona altrettanto bene negli atleti, nei quali il cuore si presenta già più grande del normale (una condizione benigna nota come “cuore d’atleta”). Per scoprire se un atleta è a rischio di ipertrofia è quindi necessario ricorrere ad un esame alternativo, basato sulla misurazione del picco massimo di consumo di ossigeno sotto sforzo. Se il test è alterato rispetto al normale, il cuore non sta pompando sangue in modo efficiente e  l’atleta è più a rischio di incorrere in attacchi cardiaci sotto sforzo. Grazie a questa tecnica, è stato possibile negli anni individuare molti atleti che, pur in perfetta salute e senza nessun sintomo evidente, erano a rischio di attacchi cardiaci improvvisi. Nonostante la sua efficacia, questo test lascia scoperta una zona grigia di incidenti che continuano a verificarsi soprattutto tra gli atleti di colore. Questa incongruenza che ha fatto suonare un campanello d’allarme nella mente di Henry: e se il valore-soglia utilizzato come riferimento nel test fosse più affidabile nella popolazione caucasica rispetto alle persone di colore? Sull’onda di questa intuizione, Henry – con l’appoggio del team del St. George Hospital di Londra – ha iniziato a raccogliere nuovi dati sul picco massimo di consumo dell’ossigeno, avendo cura di includere nel gruppo di studio un buon numero di persone di entrambe le etnie. Quelli che Henry ha portato sulla scrivania del Dott. Sharma al termine dello progetto erano risultati a dir poco sbalorditivi. La differenza tra i due gruppi era notevole, indicando che il valore-soglia utilizzato fino ad oggi è assolutamente inadeguato a cogliere il rischio di ipertrofia cardiaca nella popolazione di colore. In questa intervista (in inglese), Henry spiega come è nato il suo progetto di ricerca:
Per il suo valore scientifico, la ricerca è valsa ad Henry il premio della British Science Association, un’onorificenza riservata ai giovani scienziati più meritevoli e promettenti. Rimane ancora da chiarire quale sia il motivo alla base di questa differenza, ma senza dubbio la scoperta di Henry ha il potenziale di sovvertire i test diagnostici attualmente in uso, assicurando a tutti gli atleti – anche a quelli di colore – uno screening accurato e affidabile. Immagine banner: Shutterstock Immagine Box in homepage: Shutterstock
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