Alcuni dei reperti di H. naledi recuperati all'interno della Rising Star Cave in Sud Africa (Foto: Lee Berger et al., Wikipedia).
Un gigantesco bottino di fossili nel posto più impensato
Se non fosse stato per due speleologi, forse nessuno si sarebbe mai avventurato all’interno della Dinaledi chamber della Rising Star Cave, ad una profondità di 30 metri e accessibile solo attraverso una feritoia larga appena 20 centimetri. E se quegli speleologi non avessero riportato la scoperta dei resti rinvenuti nella caverna a Lee R. Berger, uno dei paleoantropologi che si è prodigato per lo studio dell'evoluzione umana nella "culla dell'umanità", forse non avremmo mai fatto la conoscenza di Homo naledi. I ricercatori del gruppo di Berger l'hanno chiamato proprio così - naledi - una parola che in Sesotho (una delle lingue locali) significa "stella". E non c'è dubbio che la spedizione sia nato sotto una buona stella, perchè ad attendere i ricercatori nella caverna c'era un gigantesco bottino di fossili: 1550 resti in tutto, appartenenti a circa 15 individui diversi, la maggior parte adolescenti. Si tratta di un numero impressionante di reperti, che fanno di questo ritrovamento un caso unico, soprattutto se si pensa che i reperti recuperati rappresentano solo una minima parte di quelli ancora presenti nella grotta.
Schema in sezione della serie di cunicoli che conducono alla Dinaledi chamber, all'interno della quale sono stati rinvenuti i resti fossili di H. naledi (Immagine: Wikipedia).
Ecco a voi Homo naledi
Studiando con attenzione i reperti rinvenuti, i ricercatori si sono resi conto di avere di fronte un’insolita mescolanza di tratti molto primitivi e di caratteristiche proprie degli ominidi più evoluti, come Homo erectus. Osservando il cranio di H. naledi, si può vedere come il cervello sia piuttosto piccolo (simile a quello di un gorilla), mentre la dentatura comprende denti piccoli, tipici invece degli ominidi più evoluti. Anche il torace ha una struttura simile a quello delle scimmie, ma gli arti sono molto diversi e le mani presentano una struttura simile a quella dei nostri antenati che già erano in grado di manipolare utensili. Anche i piedi e le caviglie sono quelle di individui dotati di postura eretta, nonostante le falangi dei piedi siano ancora incurvate, proprio come quelle di scimmie che ancora vivono sugli alberi. Un simile coacervo di strutture non è mai stato riscontrato prima nei fossili dei nostri antenati: una mescolanza che fa supporre che H. naledi rappresenti a tutti gli effetti una specie a sé.
Un dettaglio delle ossa delle mani di H. naledi (Foto: Lee Berger et al., Wikipedia).
Il mistero Homo naledi
Alla sorpresa della scoperta di una nuova specie di ominide si aggiunge però il mistero del luogo del ritrovamento. Sì perché capire che cosa 15 individui (e forse più) facessero in una caverna scavata nel profondo della roccia - nella quale è praticamente impossibile penetrare - è tutt’altro che immediato. Dai primi rilievi sembra improbabile che si tratti di una circostanza fortuita o che questi individui siano morti in seguito a un crollo o un’alluvione sotterranea. Lee Berger e colleghi propendono piuttosto per un rituale di sepoltura. Se così fosse, si tratterebbe di una scoperta ancora più sensazionale: l’esecuzione volontaria e ripetuta di gesti rituali indicherebbe infatti un livello di evoluzione molto avanzato e potrebbe cambiare il modo cui guardiamo oggi agli antenati del genere Homo che ci hanno preceduto. Per un ripasso sulla storia evolutiva dell'uomo puoi consultare questo Come Te Lo Spiego.
La prossima sfida: datare Homo naledi
Alcuni paleoantropologi hanno accolto l'annuncio della scoperta con un certo scetticismo. Molti studiosi ritengono infatti che le caratteristiche di H. naledi, per quanto uniche, non siano sufficienti a definire una nuova specie: e se si trattasse semplicemente di esemplari molto primitivi di H. erectus? In fondo, l’area in cui è avvenuto il ritrovamento è già nota agli antropologi per essere stata la culla di popolazioni di H. erectus. Per sollevare almeno un po’ della nebbia che ancora avvolge H. naledi servirebbe una datazione precisa dei reperti: datazione che, purtroppo, non è stato possibile ottenere. I fossili di H. naledi non erano infatti inclusi in una roccia, ma sono stati estratti da sedimenti di argilla derivanti dalla degradazione meteorica delle pareti della caverna: una condizione che rende impossibile la datazione con i metodi convenzionali. Purtroppo, anche la possibilità della datazione faunistica (molto utile in casi simili) viene a cadere: la caverna è troppo isolata e non sono stati rinvenuti al suo interno resti di altri vertebrati. I ricercatori sono tuttavia fiduciosi che si potrà presto avere una stima più precisa della datazione dei fossili: nell'attesa che la scoperta venga confermata, non rimane che preparare anche per H. naledi un posticino nell'album di famiglia del genere umano.
Immagine banner: Wikimedia Commons
Immagine box: Lee Berger et al., Wikipedia