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I primi 13 giorni di vita di un embrione riprodotti in laboratorio

Messa a punto una tecnica che ha permesso per la prima volta di coltivare embrioni in laboratorio oltre il limite dei 7-9 giorni imposto dall'impianto in utero
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All'inizio sono due gameti che si incontrano e danno vita ad uno zigote che inizia il suo viaggio verso l'utero e intanto si divide, si divide e si divide ancora in cellule sempre più piccole. Lo zigote diventa morula e dopo qualche giorno, quando da due si è passati a poche centinaia di cellule, diventa blastocisti. Sono passati 4 giorni e la blastocisti è arrivata all'utero ma per qualche giorno ancora resta in sospensione, aumentando le sue dimensioni e iniziando il processo di differenziazione che darà vita a tutte le strutture dell'organismo. Finalmente, sette giorni dopo la fecondazione, la blastocisti prende possesso di quella che sarà la sua "casa" per le prossime 40 settimane circa, l'utero. Questo processo, chiamato impianto, è uno passaggio cruciale per lo sviluppo dell'embrione ma è rimasto finora una sorta di "buco nero" inesplorato per gli scienziati perché nessuno era mai riuscito a coltivare embrioni in laboratorio più a lungo di 7-9 giorni. Due gruppi di ricercatori, uno inglese e l'altro americano, sono riusciti ad abbattere questo limite coltivando, di fatto, embrioni in vitro per 13 giorni grazie ad una matrice che riproduce l'ambiente uterino. Si tratta della prima volta in cui la fase dell'impianto viene spostata dal grembo materno ad un ambiente artificiale, sollevando chiaramente anche qualche riflessione etica.  

Risultati con sorpresa

I risultati, pubblicati su Nature e Nature Cell Biology, sono frutto del lavoro indipendente di due gruppi di ricercatori della Rockefeller University di New York e dell'università britannica di Cambridge. Il secondo era riuscito precedentemente a riprodurre in vitro la fase di impianto della blastocisti di topo. Grazie alle informazioni ottenute da quello studio, i ricercatori hanno potuto identificare le condizioni migliori e il substrato ottimale per permettere ad un embrione umano di sopravvivere oltre il limite previsto per l'impianto (7-9 giorni) riuscendo per la prima volta a mantenere in vita un embrione umano in laboratorio per 13 giorni e ad analizzarne lo sviluppo nei dettagli. E le sorprese non sono mancate. Innanzitutto, sono state osservate differenze inaspettate nell'aspetto post-impianto tra l'embrione murino e quello umano, a prova del fatto che quanto viene appreso nei modelli animali non è sufficiente a chiarire l'inizio della vita umana. L'aver messo a punto questa tecnica, quindi, ha permesso di osservare processi biologici specie-specifici altrimenti impossibili da conoscere. Un altro aspetto interessante analizzato è stato "l'autonomia" dell'embrione, in grado di auto-organizzarsi in vitro, quindi senza nessun input materno, fino a 12 giorni dopo la fecondazione. L'inizio del "dialogo" con il corpo materno, quindi, ritenuto necessario per lo sviluppo embrionale a partire dal settimo giorno, può avvenire in una fase successiva.

Dettagli molecolari e aspetti clinici

Quelle elencate sopra sono solo le prime di una lunga serie di osservazioni che saranno rese possibili dal fatto di aver alzato l'asticella della sopravvivenza in vitro degli embrioni. La fase dell'impianto è uno dei passaggi critici che spesso porta al fallimento delle tecniche di riproduzione assistita. Poter "fotografare" questo passaggio cruciale, quindi, potrebbe contribuire a migliorare notevolmente questa pratica clinica, oltre a favorire la comprensione delle cause di aborti precoci e di altri problemi legati alle fasi iniziali della gravidanza. A livello molecolare, d'altra parte, le aspettative a lungo termine riguardano un miglioramento della coltivazione delle cellule staminali e una conoscenza sempre maggiore del percorso che porta un piccolo mucchietto di cellule a differenziarsi nella moltitudine di tipi cellulari che compongono il nostro organismo.  

Un limite da modificare?

Poter coltivare un embrione in laboratorio anche nella fase post-impianto porta con sé ovviamente dei risvolti etici. Nella maggior parte dei Paesi che permettono la ricerca scientifica su embrioni umani (l'Italia non rientra fra questi) questa non si può protrarre per più di 14 giorni, momento nel quale compare la stria primitiva, primo abbozzo di sistema nervoso. Questo limite imposto dalle linee guida bioetiche era avvallato da un reale limite "tecnico", in quanto gli embrioni in vitro non potevano sopravvivere così a lungo. Ora che questo scoglio è stato superato, sostengono i ricercatori, è forse giunto il momento di rivedere questo limite al fine di trovare un giusto compromesso tra sensibilità etica e necessità da parte della ricerca scientifica di far luce su alcune patologie delle fasi iniziale di gestazione.   Immagine box di apertura: Gist Croft, Alessia Deglincerti, and Ali H. Brivanlou/The Rockefeller University Immagine banner: Flickr  
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