I retrovirus endogeni
I retrovirus presentano sulla loro superficie proteine che permettono la fusione del loro involucro esterno con la membrana di una cellula bersaglio. Il loro materiale genetico a RNA può così entrare nella cellula e integrarsi nel suo DNA, dopo essere stato convertito in una molecola di DNA complementare dall’enzima trascrittasi inversa. Ne è un famigerato esempio il virus dell'HIV di cui abbiamo parlato in questo post.
La replicazione di un retrovirus (immagine: Flickr)
Raramente accade che la cellula infettata sia coinvolta nella riproduzione. In questo caso i geni virali possono essere trasmessi alla progenie. Così, quasi l’8% del genoma dei mammiferi risulta costituito da vestigia di retrovirus, detti retrovirus endogeni. Per lo più sono inattivi, ma alcuni conservano la capacità di produrre proteine.
Le sincitine e l'origine della placenta
È il caso delle sincitine, proteine che hanno un ruolo essenziale nella formazione della placenta. Lo ha dimostrato nel 2009 il team guidato da Thierry Heidmann inattivando nei topi i geni di origine retrovirale che le codificano. Grazie alla loro capacità ancestrale di mediare la fusione cellula-cellula per propagare l’infezione, portano alla formazione del sinciziotrofoblasto. Questo tessuto polinucleato (con tanti nuclei) riveste i villi coriali (la parte embrionale della placenta) e deriva proprio dalla fusione di un gran numero di cellule di origine embrionale.
Il ruolo delle sincitine nella formazione della placenta dei mammiferi carnivori (immagine: PNAS)
La cosa straordinaria è che indagando nei genomi dei mammiferi si è scoperto che sono stati infettati almeno sei volte nel corso della loro storia evolutiva, da virus diversi e in modo del tutto casuale e indipendente. Il risultato, però, è sempre lo stesso: la formazione della placenta. Ma ci sono eccezioni: il cavallo e il maiale, per esempio, costruiscono la placenta in modo diverso, un rompicapo durato decenni e che potrebbe avere una spiegazione molto semplice: non sono mai stati infettati dai virus.
Le sincitine e la massa muscolare
Ma torniamo ai muscoli. Utilizzando gli stessi topi, il team ha scoperto un effetto collaterale e inatteso delle sincitine: conferiscono ai maschi una maggior massa muscolare rispetto alle femmine. Come il sinciziotrofoblasto, le fibrocellule muscolari sono polinucleate, sincizi formati dalla fusione di cellule staminali. Nei topi maschi geneticamente modificati (con le sincitine inattivate), queste fibre erano più piccole del 20% e presentavano il 20% in meno di nuclei rispetto ai maschi standard; nell’aspetto ricordavano quindi quelle delle femmine, così come la massa muscolare totale.
Una sezione trasversale di muscolo di topo (i nuclei sono colorati in blu mentre le linee verdi sono le membrane delle fibre muscolari). Nei topi maschi normali (a sinistra) le fibre muscolari appaiono più grandi rispetto ai topi mutanti (a destra), in cui la sincitina è stata inattivata (immagine: François Redelsperger)
A quanto pare l’inattivazione delle sincitine porta a un deficit di fusione durante la crescita muscolare, ma solo nei maschi. Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in caso di rigenerazione muscolare dopo una lesione: nei topi maschi geneticamente modificati era meno efficace, paragonabile a quella osservata nelle femmine.
Se questa scoperta fosse confermata in altri mammiferi, potrebbe rendere conto dello spiccato dimorfismo muscolare che si osserva tra maschi e femmine nei mammiferi, ma non in altri animali che depongono uova. Per ora, coltivando cellule staminali muscolari di diverse specie di mammiferi (topo, pecore, cani, umani) gli scienziati hanno riscontrato per tutte il contributo della sincitina nella formazione delle fibre muscolari. Resta da chiarire l’azione maschio-specifica.
Per approfondire la storia della formazione della placenta nei mammiferi e dei virus endogeni consigliamo due post in inglese e in italiano di Carl Zimmer, e il suo libro A Planet of Viruses.
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